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Il caso Almasri e la natura dello stato

 


Le «cose sporchissime» dei governi capitalisti

2 Febbraio 2025

«In ogni stato si fanno cose sporchissime per la sicurezza nazionale, anche trattando coi torturatori. Avviene con tutti i governi, tutti», ha dichiarato il famigerato Bruno Vespa a difesa di Giorgia Meloni.
È la candida confessione pubblica della verità più evidente attorno al caso del generale Almasri, torturatore libico, prima arrestato e poi rilasciato con tanto di accompagnamento in Libia.
Non c'era bisogno di Bruno Vespa, naturalmente, per capire la vera “ragione di Stato” dell'atto compiuto. La stessa evocazione dell'interesse nazionale, non meglio precisato, da parte della Presidenza del Consiglio già alludeva in forma cifrata alla verità. Il fatto nuovo è che la verità è stata cinicamente rivelata dal più autorevole ciambellano dell'attuale governo e della sua direzione postfascista.

È interessante notare che la rivelazione della verità è presentata come sua assoluzione. Se “così fan tutti”, perché prendersela con Giorgia Meloni? Semmai dovrebbe essere lodata quale baluardo del superiore interesse nazionale, al pari dei precedenti Presidenti del Consiglio. Non a caso la stessa stampa borghese della cosiddetta opposizione liberale si guarda bene dall'entrare davvero nel merito della vicenda. Anche perché dovrebbe spiegare il proprio immancabile sostegno alle «cose sporchissime» del famigerato patto con la Libia di Mario Minniti e Paolo Gentiloni (2017). Il primo oggi comodamente seduto ai vertici di Leonardo, azienda di guerra rifornitrice di Israele, il secondo commissario uscente dell'Unione Europea, e possibile candidato in pectore in veste di premier di un futuro governo di centrosinistra. Meglio dunque tutelare gli scheletri nei propri armadi, e occuparsi della difesa della magistratura. Giorgia Meloni peraltro non chiede di meglio: si intesta la difesa della Patria e della sua sicurezza, a beneficio dei sondaggi elettorali del proprio partito.

Ma allora questa difesa della patria va chiamata col suo proprio nome: diretta complicità dei governi italiani («tutti») con i peggiori torturatori libici, a garanzia del blocco delle partenze. Ciò che significa finanziamento ed equipaggiamento militare di milizie tagliagola, impegnate nel segregare i migranti, nel riacciuffare quelli che riescono a partire, nell'usare le immagini di corpi torturati come arma di ricatto per estorcere altro denaro alle loro famiglie, nell'usare i migranti come schiavi per lavori infrastrutturali e prestazioni private nelle ville dei loro aguzzini, nello stuprare donne e bambini...

Queste sono le ordinarie cose sporchissime che da quasi un decennio coinvolgono l'Italia in Libia. E non solo l'Italia. Tutti i governi “democratici” della Unione Europea coprono le segregazioni e torture libiche. Non a caso il generale Almasri ha fatto un ampio giro nei paesi europei prima di approdare in Italia, battendo ovunque cassa per i servizi prestati. Peraltro il Patto europeo su Immigrazione e asilo affida di fatto all'Italia il presidio del confine meridionale della UE. L'accordo tra Meloni e Von der Leyen poggia esattamente su queste basi. Il silenzio europeo sulle deportazioni in Albania sono un risvolto di questo accordo.

La verità confessata è uno squarcio di luce sulla natura dello Stato dei governi capitalisti e della loro unione. Se la ragione di stato si appoggia sul crimine e sulla protezione dei criminali significa che il crimine è la ragione d'essere dello stato, quali che siano le mutevoli maggioranze politiche che lo amministrano.
In Italia l'attuale governo a guida postfascista è sicuramente il peggio, ma non a caso si appoggia sulle eredità di chi l'ha preceduto. Le destre reazionarie avanzano in Europa (e non solo), ma grazie ai sentieri tracciati e concimati dalle “democrazie” liberali.
Ovunque il capitalismo genera mostri. Oggi più che mai la verità è rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

Meloni d'Arabia

 


L'imperialismo italiano in manovra

L'imperialismo italiano è in manovra. Il recente viaggio a Riad di Giorgia Meloni può essere visto da angolazioni diverse, ma complementari.
Un aspetto riguarda le relazioni italiane con l'imperialismo USA, e in particolare con la sua nuova amministrazione. Dopo il crollo del regime di Assad, la sostanziale sconfitta di Hezbollah in Libano, il netto ridimensionamento del peso dell'Iran in Medio Oriente, Donald Trump punta a rilanciare gli accordi di Abramo tra lo stato sionista e le potenze del Golfo. Lo fa nel suo proprio interesse. Per concentrare le forze contro l'imperialismo cinese sui mari del Pacifico, Trump ha bisogno di lasciarsi alle spalle un equilibrio stabile in Medio Oriente, naturalmente sulla pelle dei palestinesi. Il coinvolgimento dell'Arabia Saudita è fondamentale per l'operazione. L'Italia si candida al ruolo di mediatrice attiva del progetto, anche al fine di lustrare la propria credibilità presso gli USA.

Ma chi vede solamente questo aspetto rimuove l'altra faccia della medaglia. L'Italia non è a Riad “per conto degli USA”, ma innanzitutto per il proprio interesse imperialista. I paesi del Consiglio del Golfo (Arabia Saudita, Barhein, Emirati, Kuwait, Qatar e Oman) hanno sviluppato una forte proiezione in Africa: tra il 2012 e il 2022 una massa di investimenti pari a 100 miliardi di dollari, prevalentemente nel settore minerario e in infrastrutture (porti, scali aereo portuali, ferrovie): la sola Arabia Saudita annuncia programmi di investimento di 41 miliardi nel prossimo decennio. L'Italia vede nell'Africa la propria proiezione naturale, secondo la dottrina del “Mediterraneo allargato” (...molto allargato), a scapito dell'area di influenza francese, ormai in declino. Da qui l'idea di una “partnership strategica” tra Roma e Riad. Una convergenza di interessi.

Due degli accordi siglati da Meloni in Arabia Saudita riguardano l'intesa tra l'italiana SACE, il gruppo energetico saudita ACWA Power, e la Banca Araba per lo Sviluppo Economico in Africa. La SACE (grande gruppo assicurativo, partecipato dal Tesoro) offre copertura agli investimenti congiunti, e ottiene in cambio laute contropartite per le imprese italiane. Non solo in Africa ma anche nella regione araba. Leonardo offre ai sauditi nuovi sistemi di combattimento aereo e l'ingresso nel progetto di caccia militare d'avanguardia condiviso con Gran Bretagna e Giappone. Fincantieri, già impegnata a costruire la flotta militare del Qatar, entra nel business dei servizi logistici per navi militari saudite. Snam incassa l'accordo per trasportare in Europa idrogeno verde, di cui Riad è il principale produttore mondiale. Pirelli – già partecipata dal Fondo sovrano saudita – ottiene l'apertura di nuovi stabilimenti nel paese..

Il volume d'affari si estende all'esportazione italiana in fatto di macchinari, apparecchiature elettriche, prodotti alimentari, articoli di moda, coinvolgendo più di venti grandi imprese tricolori, mentre calano del 31% le importazioni italiane da Riad.
Un accordo vantaggioso per Roma, stimato in più di 10 miliardi di euro. La IV edizione dell'Arab Italian Business Forum organizzato a Roma dalla Camera di Commercio Italo-Araba plaude entusiasta all'intesa. Con un risvolto importante nella UE: il governo Meloni vuole presentarsi a Bruxelles come avamposto obbligato delle relazioni europee con i paesi arabi e col continente africano. Anche qui scavalcando la Francia.

Il cosiddetto Piano Mattei non è solo propaganda. Nella nuova giungla delle contese imperialiste, l'imperialismo italiano ricerca il proprio posto al sole. Con grandi difficoltà, ma anche una determinazione nuova. In ogni caso, col pieno appoggio del grande capitale di casa nostra.

Certo la disinvoltura non manca alla Presidente del Consiglio: per anni aveva denunciato, dall'opposizione (non senza retorica islamofoba) quel Bin Salman con cui oggi negozia. Ma la contestazione di incoerenza rivolta a Meloni da parte del centrosinistra fa sorridere gli uomini d'affari. Tutti i governi italiani, tutti i partiti borghesi, hanno trafficato negli anni col Regno sanguinario e misogino di Riad .Tutti hanno votato a favore della spedizione navale in Golfo Persico, al fianco di Israele e contro gli houthi. Tutti hanno armato lo stato sionista e coperto la sua barbarie in Palestina. Meloni si muove nel solco tracciato, con una marcia in più. “Io porto risultati”, ha replicato. I capitalisti italiani ringraziano.

Partito Comunista dei Lavoratori