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Lettera aperta a tutte le realtà della sinistra di classe in occasione dell’8 marzo

 


Car* compagne e compagn*,

la fase che stiamo attraversando, determinata dalla pandemia da Covid-19, che sta scaricando i suoi effetti in modo pesante e particolare sulle donne, segna la necessità del più ampio fronte nel campo delle oppressioni di genere.

Il nuovo governo presieduto da Draghi riprenderà il cammino tracciato dai governi precedenti, ma forte del suo presunto “tecnicismo” e puntando tutto sulla immagine del capo super partes alla guida di una squadra di unità nazionale della borghesia e dei suoi partiti. Quale figura più adatta per imporre decisioni che peseranno sulla classe lavoratrice e le masse e popolari?

Il Recovery Fund, 209 miliardi di cui 130 in prestito con tasso “agevolato”, pone già una ipoteca su pensioni, scuola e sanità. A questo si aggiungono le pressioni di Confindustria per lo sblocco dei licenziamenti, per dirottare parte cospicua di quei finanziamenti alle ristrutturazioni industriali e per tentare la mossa di una riforma del fisco chiedendo la cancellazione dell’IRAP e la revisione degli scaglioni IRPEF.

Come giovani e donne stiamo già ora affrontando duramente la crisi pandemica che ha aggravato la situazione di crisi economica preesistente e la fase che ci aspetta, per quanto difficile da prevedere con precisione, non promette nulla di buono. 

I soggetti più colpiti dal Covid da un punto di vista economico siamo proprio noi: su un calo occupazionale di circa 550.000 posti di lavoro il 60% riguarda le donne. A ciò si aggiunge l’aumento della disoccupazione e al contempo le richieste di lavoro part-time per sostenere il doppio lavoro che da sempre contraddistingue la nostra condizione di vita. Molte di noi oggi devono prendersi cura non solo dei figli a casa da scuola, ma anche dei genitori o dei nonni.

Si affianca a tutto questo l’attacco alla salute sessuale e riproduttiva, che vede in campo la minaccia congiunta di forze reazionarie e mondo cattolico. Le regioni Umbria, Marche e ora anche Abruzzo, sotto la guida delle destre, si sono schierate contro l’uso ambulatoriale della RU486, considerata, a torto e senza evidenze scientifiche, una procedura pericolosa, preferendo a questa l’utilizzo della IVG chirurgica (!), in un periodo peraltro delicato e nel quale andrebbe garantita la deospedalizzazione di alcune procedure per evitare il rischio del contagio da coronavirus.

Infine, uno sguardo dovuto a quanto accade tra le mura domestiche, nelle case di tanti paesi del mondo. Durante la pandemia sono aumentati gli episodi di violenza di genere e i femminicidi. Il confinamento ha acuito il fenomeno, pur non essendone la causa, poiché la ricerca di aiuto e l’isolamento non hanno potuto ricevere adeguati e pronti interventi. I percorsi di denuncia e fuoriuscita dalla violenza sono già di per sé molto difficili e dolorosi da affrontare, a maggior motivo in una situazione come questa.

Violenza che purtroppo si abbatte anche su donne immigrate che subiscono le peggiori nefandezze nei luoghi di lavoro, per non parlare della violenza disumana agita sulle donne e le trans all’interno della tratta.

Quando pensiamo a come poter reagire a tutto questo, guardiamo alle esperienze che ci danno la forza per lottare, ammiriamo il coraggio delle donne argentine che hanno ottenuto con la loro lotta una importante vittoria sulla legalizzazione dell’aborto, nonostante il diritto all’interruzione di gravidanza sia comunque rimasto ostacolato dall’obiezione di coscienza e la legge non corrisponda agli elementi e alle rivendicazioni progressive avanzate dalla Campagna Nazionale per il Diritto all’Aborto Legale, Sicuro e Gratuito – la marea verde – e rischi di essere sottoposta a eventuali successive modifiche. Sappiamo bene che le conquiste non sono mai date per sempre (come dimostrano i riflussi reazionari che anche nel nostro paese minano l’applicazione delle Legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza) e che vanno mantenute con la forza e il presidio del conflitto. Le donne polacche non sono certo da meno, per quanto vivano in un contesto molto differente e siano riuscite a costruire tenacemente una lotta estesa contro il fronte antiabortista, cattolico e reazionario.

Ci sono nel mondo realtà di movimento, come in questi ultimi anni quello di Non Una di Meno, che sono state capaci di riportare migliaia di donne in piazza per denunciare il dilagare dei femminicidi, difendere l’autodeterminazione nella salute sessuale e riproduttiva, i propri diritti sociali e le proprie condizioni economiche, alla ricerca di una emancipazione necessaria per mettere la parola fine al patriarcato.

Di questo movimento, pur non potendone condividere da un punto di vista marxista, anticapitalista e rivoluzionario l’impostazione, che non indica la necessità di una rottura rivoluzionaria con questo sistema sociale, noi appoggiamo diverse importanti rivendicazioni di carattere progressivo. Soprattutto riteniamo che sia necessaria la convergenza delle lotte e la più ampia dimensione di massa delle mobilitazioni contro tutte le oppressioni di genere: il tenersi insieme in un fronte ampio, diversamente composto da un punto di vista politico e sindacale ma che si collochi nettamente contro l’alleanza criminale del capitalismo e del patriarcato, in una prospettiva internazionalista.

Un fronte d’azione unitario nelle piazze e soprattutto nei luoghi di sfruttamento. Un fronte che sappia mobilitare le donne e tutte le persone che subiscono oppressione di genere e che ponga all’interno delle strutture sindacali e politiche la necessità di fronteggiare con radicalità questo sistema criminale, oppressivo e violento.
Un fronte che deve nascere da tutt* noi, superando ciascun* steccati e settarismi, atteggiamenti autocentrati e isolazionismi: la gravità del momento storico e la portata degli attacchi che subiamo in quanto donne rende questo fronte non solo necessario, ma dolorosamente urgente.

Bisogna ripartire dal bagaglio della memoria collettiva e depurarla dalle distorsioni della cultura borghese attualmente egemone.

Durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, la grande rivoluzionaria Clara Zetkin aveva proposto di fissare nel mese di marzo la giornata internazionale della donna in omaggio alle operaie che avevano portato avanti le prime lotte radicali contro il capitalismo, nelle fabbriche tessili newyorkesi. Nel 1914 le socialiste tedesche, russe e svedesi scelsero proprio l’8 marzo per celebrare questa giornata. Proprio in quella data nel 1917 le operaie tessili di Krasnaja Nit’ a Pietrogrado furono la scintilla che innescò la Rivoluzione russa.

L’urgenza dell’azione unitaria che dobbiamo mettere in campo oggi, uccise nelle nostre case, ammalate sui posti di lavoro, gravate da compiti di assistenza disumani e da tutti i costi di una crisi sanitaria ed economica globale, richiama ciò che spinse alla ribellione le donne del ‘17.

Questa è la linea di intervento di noi compagne e compagn* del PCL, che oggi come sempre saremo impegnat* in ogni percorso che possa contribuire ad abbattere congiuntamente capitalismo e patriarcato nella prospettiva del rovesciamento di questa società fallita e necrotica.

Una giornata, dunque, di lotta e di mobilitazione, che non può essere taciuta e che deve necessariamente riprendere lo spirito con cui è nata. Oggi come ieri.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione donne e altre oppressioni di genere
IL VIDEO DELL'INIZIATIVA "LE DONNE AL TEMPO DELLA PANDEMIA"  che si è tenuta domenica 7 marzo: