L'elezione del Presidente della Repubblica ha fornito un nuovo campo di osservazione della vicenda politica italiana.
Si conferma la tendenza bonapartista del renzismo. Tutte letture di marca “giustizialista” ossessionate dal cosiddetto “patto del Nazareno”, si sono trovate di fronte a una realtà ben diversa. L'unico patto di sangue che Renzi ha stretto, l'ha stretto con se stesso. Renzi è più che mai il dominus dello scenario politico. Come ogni aspirante Bonaparte tende a porsi al di sopra delle parti politiche, appoggiandosi ora su questa ora su quella per tenersi in equilibrio, senza stringere accordi vincolanti con nessuna. Renzi ha la maggioranza di governo con una parte del centrodestra (NCD); ha una maggioranza con Berlusconi, contro una parte del proprio stesso partito, sulle riforme istituzionali; ha puntato all'alleanza con la minoranza del PD e persino con SEL, tagliando fuori Berlusconi, per mettere al sicuro la maggioranza necessaria per la elezione della Presidenza della Repubblica. Su ogni terreno, di volta in volta, compone la maggioranza di scopo che gli serve. Sul tutto domina incontrastato il disegno fondamentale del renzismo: lo sfondamento politico e istituzionale del “Partito della Nazione”.
Il capo del governo esce rafforzato dalla elezione della Presidenza della Repubblica. Renzi non era nelle condizioni di scegliere come Presidente un uomo o donna della propria diretta scuderia. Ma ha evitato ogni soluzione che potesse configurare un possibile contrappeso al proprio Premierato, o sul piano interno o sul piano delle relazioni internazionali ( Amato). Sergio Mattarella è sufficientemente oscuro per non fargli ombra, sufficientemente debole per non intralciarlo sul terreno della riforma istituzionale, sufficientemente presentabile alla opinione pubblica “democratica” per non penalizzarlo. Peraltro la forza politica di Renzi sul terreno degli equilibri politico/istituzionali è tale da limitare obiettivamente lo spazio di manovra della Presidenza della Repubblica, all'opposto di quanto accadde con Napolitano sullo sfondo dei governi deboli di Monti e Letta. Il fatto che in questi giorni la Presidenza del Consiglio abbia gestito interamente- come mai era avvenuto in tutta la storia repubblicana- la partita dell'elezione del Presidente della Repubblica è già di per sé un evento eloquente. Inoltre la riforma elettorale ed istituzionale attualmente in marcia limita ulteriormente di fatto i poteri reali della Presidenza della Repubblica a favore del Premierato.
Il campo del centrodestra esce terremotato dalla prova del Quirinale. Forza Italia consuma un'ulteriore logoramento dell'eredità berlusconiana senza configurare una possibile egemonia alternativa al proprio interno: la spaccatura che l'attraversa fra area berluscones e gruppo Fitto non pare ad oggi ricomponibile. NCD si trova più che mai al bivio, tra un'alleanza subalterna e umiliante con Renzi e una ricomposizione del tutto virtuale con FI, senza che nessuna delle due ipotesi, tra loro alternative, possa prefigurare un futuro: le imminenti elezioni regionali possono rappresentare un fattore di disarticolazione della sua unità. Al tempo stesso nè FI, né NCD dispongono di un peso politico contrattuale in grado oggi di impensierire il governo. Perchè nessuno dei due può consentirsi il rischio di elezioni anticipate. Le minacce di rivalsa appaiono solo un premio di autoconsolazione all'impotenza. L'unico rischio per Renzi è l'effetto boomerang delle possibili dinamiche di disgregazione dei gruppi parlamentari di FI e NCD: sarebbe la risultante paradossale dell'eccesso della vittoria.
La Lega di Salvini prosegue il proprio rafforzamento sulle macerie del centrodestra, sia in termini elettorali, sia in termini di attrazione di settori politici in disarmo alla ricerca di un porto sicuro. Lo stallo del grillismo agisce a sua volta come effetto e concausa dell'ascesa del salvinismo. Ma l'ascesa del salvinismo non appare in grado a breve termine di ribaltare lo scenario politico dominato dal renzismo.
La minoranza PD, con la sua scelta di subalternità a Renzi, ha contribuito a ridurre il proprio spazio di manovra. Il corpo bersaniano si sforza di vedere nella ritrovata “unità del PD” attorno alla designazione del nuovo Presidente della Repubblica una sorta di propria resurrezione dopo le bastonate prese sulla legge elettorale. Ma si sbaglia. Il rafforzamento politico di Renzi si tradurrà in una nuova emarginazione della vecchia guardia.
SEL, con la sua scelta di votare Mattarella nel nome del “superamento del Patto del Nazareno”, ha dimostrato una volta di più tutta la propria inconsistenza e tutto il proprio opportunismo. La sinistra nostalgica di un centrosinistra che non esiste più ha finito col prostrarsi ai piedi di chi l'ha seppellito. Ha di fatto contribuito al rafforzamento di quello stesso corso politico renzista destinato a umiliare le sue ambizioni di governo. La nuova legge elettorale con premio di lista e ballottaggio senza apparentamenti, è infatti un colpo mortale alla strategia di Vendola. Mentre la fanfara di un solo giorno sulla ricostituita “unità di SEL e PD” attorno a Mattarella- già di per sé imbarazzante- è stata spenta in poche ore dalla convergenza di Alfano. La soddisfazione de Il Manifesto ( “La sinistra porta a casa la pelle”) aggiunge un tocco grottesco: chi “non voleva morire democristiano” trenta anni fa, sorride oggi beato al proprio funerale. Siamo al trionfo del cretinismo istituzionale.
Il risultato d'insieme è molto semplice. Renzi ha capitalizzato a proprio vantaggio tutte le contraddizioni e meschinità del quadro politico e culturale italiano. Il governo che ha cancellato l'articolo 18 per i nuovi assunti esce rafforzato dall'ultimo passaggio politico istituzionale. E con esso il progetto bonapartista del Presidente del Consiglio.
La sinistra riformista conferma interamente in questo scenario le proprie difficoltà. Cerca di intercettare il vento greco di Tsipras ma non sa in quale direzione politica canalizzarlo e tradurlo. L'operazione di Human Factor imbastita da SEL a Milano, con la presenza dell'intero arco della sinistra “istituzionale”( Civati, Cuperlo, Fassina) ha partorito il topolino della “doppia tessera”( SEL/PD). Il che significa una cosa sola: ognuno resta a casa propria. Parallelamente il raggruppamento di “altra Europa”( Lista Tsipras), appare dilaniato fra due strategie opposte: quella disponibile a ricomporsi col progetto di SEL per evitare la propria auto emarginazione, e quella più autocentrata attorno all'asse della lista originaria nella speranza di intestarsi il successo greco.
Il tutto senza che nessuna delle due ipotesi sia in grado di definire un approdo. E con un carico enorme di inestricabili guerre locali, legate all'avvicinamento delle elezioni regionali. Il caos ligure, dopo l'uscita di Cofferati dal PD, con la zuffa fra Sel e “lista Tsipras” è emblematico.
In reazione all'impasse cronico della crisi a sinistra, e fuori dalle operazioni politiche indicate, Landini e Rodotà sembrano rilanciare l'ennesima versione di una possibile sinistra “sociale”. Una sorta di rete di organizzazioni sociali ( Fiom, Emergency, Libera, comitati per l'acqua e i beni comuni.. ) che promuova iniziative pubbliche e si riservi la possibilità in prospettiva di uno sbocco politico. E' l'idea che una Syriza italiana possa prendere il largo “partendo dalla società”, e non dai ceti politici residuali della sinistra. Ma resta inevaso, tra gli altri, l'interrogativo di fondo: quale risposta di mobilitazione qui e ora contro il rullo compressore di un governo anti operaio e reazionario senza precedenti? Syriza ha beneficiato in misura determinante di una prolungata mobilitazione sociale di massa contro le politiche di austerità. Qui le sinistre infatuate da Syriza, già responsabili della sconfitta del movimento operaio, non avanzano uno straccio di proposta e di azione di massa che sia all'altezza del livello di scontro che renzismo e padroni hanno promosso. Ed anzi le stesse elaborazioni di ingegneria sociale o politica attorno al mito di una “Syriza italiana” mirano a mascherare la rinuncia ad una chiara assunzione di responsabilità su questo terreno. Col risultato di contribuire all'aggravamento della situazione sociale e politica.
Non si esce da questa situazione senza una svolta di lotta, unitaria e radicale, del movimento operaio italiano. La costruzione di una sinistra classista e rivoluzionaria è al servizio di questa svolta. Al tempo stesso, come tutta l'esperienza dimostra, nessuna svolta sociale di lotta può darsi una prospettiva politica reale e uno sbocco proporzionale alle proprie potenzialità anticapitaliste, senza la costruzione di questa sinistra. Lo sviluppo del Partito Comunista dei Lavoratori è la migliore risposta al fallimento della sinistra riformista italiana, e il migliore investimento nel futuro del movimento operaio.