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Una Libia per l'ENI

 


Di Maio scorta Descalzi a Tripoli. L'imperialismo italiano alla riscossa

24 Marzo 2021

L'amministrazione delegato dell'ENI, appena assolto per un reato di tangenti, si è precipitato in Libia. Il Corriere della Sera, di proprietà Intesa Sanpaolo, titola festoso: «Il premier libico riceve Descalzi: «Riparte l'amicizia»».
In realtà l'amicizia tra ENI e Libia non era mai finita. Con buona pace dei sovranisti terzomondisti di casa nostra, ENI aveva ottime relazioni con Gheddafi, e Gheddafi con ENI. Il trattato di amicizia tra il governo Berlusconi e Gheddafi nel 2008, con tanto di amazzoni al seguito, era stato sponsorizzato innanzitutto da ENI. L'attuale premier libico di unità nazionale, Dadaiba, sostenuto dalle potenze imperialiste d'Occidente, è un vecchio imprenditore arricchitosi in epoca Gheddafi. È emerso dalla polvere della guerra civile proprio per le radici e le relazioni accumulate nella sua lunga esperienza nel mondo degli affari all'ombra di Mu'ammar. Di affari ha parlato oggi con ENI.

L'ENI non è solo la più grande azienda straniera in tutto il continente africano, ma anche la prima azienda in Libia. L'azienda che occupa il maggior numero di lavoratori libici. In altri termini, il primo padrone in Libia è italiano. Un padrone “a casa loro”.
L'azienda ha avuto, come tutte, le sue difficoltà in Libia dopo il 2010. Fosse stato per ENI, avrebbe continuato a far affari con Gheddafi, perché ordine e disciplina erano garantiti dal Colonnello, con la relativa regolarità dei profitti. Ma quando la rivoluzione araba si è rivolta contro Gheddafi, l'imperialismo francese per interessi propri trascinò l'intervento militare europeo, inclusa una Italia recalcitrante perché sentiva che non era il suo gioco. Si aprì una lunga stagione di instabilità interna e di disgregazione delle strutture statali della Libia. La Francia alla fine si è trovata a bocca asciutta, perché è salita sul cavallo sbagliato (Haftar). Russia e Turchia hanno trovato invece uno spazio insperato. L'Italia sembrava in ogni caso la grande sconfitta della vicenda libica.

Ma ora è il momento atteso della riscossa tricolore. Il nuovo premier libico sa di non avere chance negoziali con Russia e Turchia, in larga parte padrone della scena. Ha un'unica possibile sponda per restare in sella ed evitare la sorte toccata ad al-Serraj: la sponda italiana, cioè la sponda ENI.
L'ENI non ha mai cessato di operare in Libia, neppure nei momenti più difficili. Fornisce il gas, raffina il petrolio libico. La ripresa della produzione petrolifera – da mezzo milione a 1,3 milioni di barili quotidiani – è in buona parte di marchio ENI. L'azienda punta ora a «rilanciare i suoi programmi di ricerca di nuovi giacimenti di gas e petrolio nel deserto e offshore, oltre al rafforzamento di quelli esistenti a El Feel, 800 chilometri a sud di Tripoli, a Abu-Attifel, in Cirenaica, e a Mellita, presso il confine tunisino.» (Corriere della Sera, 22 marzo).

Ma l'ENI non si presenta certo a mani vuote. Porta con sé il ministro degli Esteri Di Maio, che – ci informa il Corriere – «si è fatto interprete politico di queste opportunità». Le opportunità dell'ENI, si intende. Ma non solo. Salini Impregilo è interessata alla costruzione dell'autostrada costiera e alla ricostruzione dell'aeroporto internazionale di Tripoli, su cui battono cassa le imprese turche. Lo scontro fra ambizioni ottomane e rivincita italiana passa anche da qui, dalla spartizione del business della ricostruzione, su cui si affacciano peraltro anche interessi francesi e tedeschi. Non a caso Di Maio tornerà a Tripoli giovedì insieme ai ministri degli esteri di Francia e Germania. L'Italia si candida a capotavola degli interessi occidentali in Libia per recuperarla alla propria area di influenza.

Il Corriere festeggia il tutto perché per anni ha perorato la causa dell'interesse italiano in Libia. Ha una sola preoccupazione: «Ma ci sarà la stabilità necessaria? Banditi, mercenari e milizie garantiranno il ritorno dei tecnici italiani?».
Di certo “banditi, mercenari, milizie” libiche continuano ad essere finanziati dallo Stato italiano per segregare i migranti, tra stupri, torture, sequestri, senza che il Corriere batta ciglio. Evidentemente l'unica “stabilità” che interessa a Banca Sanpaolo è la stessa che interessa a ENI. Quella che, in fondo, assicurava Gheddafi. Vecchia nostalgia canaglia.

Partito Comunista dei Lavoratori