2 Agosto 2021
Un'operazione a vantaggio esclusivo degli azionisti, e a carico dei salariati di tutta Italia
Quando si dice “governo comitato d'affari” si è sicuri di non sbagliare. Ieri come oggi.
Unicredit si candida a inglobare il Monte dei Paschi di Siena con una operazione che ricorda la cessione di Antonveneta a Banca Intesa. Monte dei Paschi è uscito con le ossa rotte dall'esame della BCE: ultimo in graduatoria europea tra le grandi banche in sofferenza. Una montagna di crediti deteriorati, scarse prospettive di sopravvivenza. I quattro miliardi di risorse pubbliche investite a suo tempo nella banca senese per raddrizzarne le sorti non hanno prodotto effetti, se non quello di sostenere i suoi azionisti. A questo punto l'ex ministro del Tesoro Carlo Padoan, divenuto guarda caso presidente di Unicredit, si fa avanti presso MPS, la stessa banca che in veste di ministro aveva ricoperto d'oro e di cui conosce morte e miracoli.
L'offerta è di quelle che non si possono rifiutare. Unicredit si candida a comprare la parte “sana” della banca senese, i crediti deteriorati (2,5 miliardi) vengano dirottati a spese dello Stato su una bad company. Naturalmente per salvare la parte “sana”, Unicredit chiede prezzi di saldo e pone condizioni: «L'aumento significativo dell'utile per azione, la protezione dai rischi di contenzioso legale, una adeguata protezione dello Stato sui prestiti che potremmo acquisire» (Il Sole 24 Ore, 31 luglio). In parole povere lo Stato si carica degli oneri a spese dell'erario pubblico – quindi dei salariati – e Unicredit incassa gli utili garantendo i propri azionisti.
Il governo Draghi sembra intestarsi l'operazione. Draghi e Padoan fanno parte della stessa scuderia del capitale finanziario di cui sono da sempre soci onorari.
Un ex ministro del Tesoro oggi alla testa della principale banca italiana chiede e ottiene l'appoggio di Draghi, ex presidente della BCE, per ingrassare Unicredit. Naturalmente, siccome il significativo aumento dell'utile per azione è condizione dell'affare, Unicredit ha già messo le carte in tavola: 150 sportelli di MPS verranno chiusi, in particolare nel Meridione, 6000 dipendenti verranno espulsi in quanto esuberi; un quarto dell'organico attuale della banca di Siena. Il costo complessivo per lo Stato sarà, secondo il quotidiano di Confindustria, tra i 5 e 10 miliardi. Quasi quanto costa mettere a posto le terapie intensive negli ospedali (12 miliardi).
Per Unicredit tutto procede a gonfie vele. Nel primo semestre dell'anno ha realizzato un utile netto di quasi due miliardi (1 miliardo e 921 milioni, per la precisione, con una crescita progressiva nel secondo trimestre). L'affare MPS servirà dunque a gonfiare ulteriormente il suo portafoglio.
La grande rivale, Banca Intesa, insidiata dall'operazione sul piano della concorrenza, sta studiando le contromosse. Sarà l'acquisizione di Carige la risposta di Banca Intesa a Unicredit? Vedremo.
Tutto lascia pensare che siamo all'inizio di un processo di concentrazione del capitale finanziario in Italia, a spese dei salariati del settore e a carico dei salariati di tutta Italia.
La battaglia per il blocco dei licenziamenti, per la nazionalizzazione senza indennizzo delle aziende che licenziano, non riguarda solo l'industria ma anche le banche. La costruzione del fronte unico di classe passa non solo per GKN e Whirlpool, ma anche per Unicredit e Monte dei Paschi. I salariati sono una classe enorme, colpita ovunque dalle leggi del capitale. Dare coscienza a questa classe, ovunque si produca il conflitto, significa moltiplicare la sua forza, trasformandola in un fattore rivoluzionario.
Di certo solo la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori, può risolvere la crisi bancaria a favore della maggioranza della società. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può realizzare questa misura, come fece un secolo fa la Rivoluzione d'ottobre, diretta da Lenin e da Trotsky.