La fiducia in Lula delle sinistre riformiste. Da vent'anni. Contro ogni principio di classe
Non è in discussione, com'è ovvio, la denuncia dell'azione golpista della destra reazionaria brasiliana dell'8 gennaio, l'aggressione squadrista al palazzo presidenziale, la natura fascistoide del blocco sociale bolsonarista che essa esprime. La sconfitta del sovversivismo reazionario è il primo compito della sinistra brasiliana.
Ma tutto ciò non implica affatto la fiducia politica nel governo Lula, il governo più a destra tra i governi a guida PT degli ultimi vent'anni. Eppure è questa la posizione pubblica assunta da Potere al Popolo e da Rifondazione Comunista, in perfetta continuità con l'identificazione nel lulismo a partire dal 2002.
«In America Latina negli ultimi anni abbiamo assistito alla ripresa di un’avanzata progressista che spaventa l’imperialismo, le oligarchie locali e la reazione, tanto più in una fase in cui con la guerra e il passaggio al mondo multipolare gli Stati Uniti perdono il loro ruolo di egemonia, di “poliziotti del mondo”». Così dichiarano Rete dei Comunisti, Cambiare Rotta e Opposizione Studentesca D’Alternativa, architravi di Potere al Popolo. Ma allora perché tutte le potenze imperialiste, a partire dagli USA, si sono affrettate a sostenere Lula contro Bolsonaro e la sua ciurma? La rappresentazione del governo Lula come minaccia per l'imperialismo è una battuta infelice. I governi Lula e Rousseff hanno gestito le politiche della borghesia brasiliana e dell'imperialismo internazionale: rigoroso pagamento del debito estero, privatizzazioni e tagli sociali, enorme precarizzazione del lavoro, compartecipazione alle missioni militari. La burocrazia sindacale della CUT ha subordinato il movimento operaio alla concertazione di queste politiche. È proprio per questo che il malcontento sociale di ampi strati popolari è stato capitalizzato dalla destra e dal suo gigantesco blocco reazionario interclassista. La vittoria di Bolsonaro nel 2019 è stata il portato di questa dinamica. Fortunatamente Bolsonaro è stato sconfitto per un pugno di voti il 30 ottobre, ma continua a controllare metà del Brasile e la maggioranza del Parlamento. L'operazione squadrista dell'8 gennaio è fallita, ma la reazione brasiliana è in piedi, purtroppo, mentre le politiche di Lula le forniranno nuovo terreno di pascolo.
I dirigenti di Potere al Popolo e del Rifondazione Comunista hanno presente qual è la composizione del nuovo governo Lula? Il PT si è alleato con partiti e personaggi della destra brasiliana, tra cui il famigerato Geraldo Alckmin nel ruolo di vicepresidente, e con otto partiti borghesi di centro legati alla tradizione liberale di Cardoso. Per di più in un contesto internazionale in cui Lula, a differenza che nei primi anni 2000, non potrà beneficiare della rendita energetica e dei flussi finanziari che essa assicurava. La politica economica e sociale annunciata porta non a caso il segno dell'austerità. Quanto all'apparato dello Stato cui Lula affida la “difesa della democrazia”, è infarcito di elementi reazionari. Non solo ai vertici militari e delle polizie, ma nello stesso potere giudiziario. Basti pensare che la repressione della destra bolsonarista è affidata al giudice Alexandre de Moraes, già ministro della destra, contrario all'aborto e all'eutanasia, fustigatore dei movimenti dei Sem Terra, grande fan della polizia brasiliana e delle sue scorribande nei quartieri poveri delle metropoli contro la popolazione di colore. Sarebbero questi gli esponenti dell'”avanzata progressista e antimperialista”? Suvvia, un po' di serietà.
La verità è che Lula si offre come garante dell'imperialismo e della borghesia brasiliana nel nome della stabilità contro il caos. Il divieto inaccettabile di manifestare per tutto gennaio mira a legare le mani al movimento operaio nella reazione ai golpisti. E favorirà le misure poliziesche contro l'estrema sinistra.
E allora sì, siamo contro Bolsonaro e i suoi squadristi. Ma non nel nome di Lula e della Borsa brasiliana. Bensì dal versante della classe operaia, dei contadini senza terra, della popolazione povera, delle popolazioni indigene, di tutti coloro che hanno diritto a un'alternativa di società e di potere, i soli che sul terreno della lotta di classe e coi metodi della lotta di classe possono davvero sbarrare la strada alla destra.
PaP e PRC si confermano incapaci una volta di più di un posizionamento di classe e indipendente nella politica internazionale. Con ciò confermando, se ve ne era bisogno, che la loro “alternativa” è tutta interna al bipolarismo tra centrodestra (sempre più a destra) e centrosinistra (sempre più liberale). Non senza sconfinamenti campisti. Per cui se l'imperialismo USA non è più l'unico poliziotto del mondo, gli altri candidati poliziotti (“multipolari”) svolgono allora una funzione progressiva. Magari nei panni dell'imperialismo russo che invade l'Ucraina o dell'imperialismo cinese che strangola l'Africa. Anche qui una visione binaria che cancella le classi e i popoli oppressi nel nome del confronto tra “reazione” (presente) e “progresso” (ahinoi inesistente). E se la ribellione eroica in Iran sconvolge lo schema, allora meglio tacere e occuparsi d'altro. Salvo alludere all'immancabile mano americana.
La fiducia politica enfatica nel governo Lula da parte del PRC e di PaP è solo il risvolto di un posizionamento globale opportunista, privo di un ancoraggio classista. Solo una sinistra rivoluzionaria, in Brasile e ovunque, può mettersi al passo del nuovo scenario mondiale e della sua radicalità. L'alternativa di prospettiva storica non è quella tra “reazione e progresso”, ma tra reazione e rivoluzione. Il resto è fumo.