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UN’ ’OPPOSIZIONE DI CLASSE CONTRO GUERRA E IMPERIALISMO

UN’ ’OPPOSIZIONE DI CLASSE
CONTRO GUERRA E IMPERIALISMO


Lo scorso autunno è stato gelido. Governo e padronato hanno gestito l’applicazione del
JobAct e della controriforma della scuola, il logoramento dei contratti, lo smantellamento
del Servizio Sanitario e nuovi regali fiscali a rendite e capitali. Nel frattempo Renzi ha preso
il controllo anche dello Stato profondo (CDP, partecipate e controllate), cercando la svolta
bonapartista e autoritaria con il Plebiscito sulla Riforma costituzionale.
Tutto questo, senza opposizioni di massa. FIOM e CGIL, dopo la capitolazione sul Job Act,
sono sbandate nella vana ricerca di CISL-UIL: i cortei di novembre (FIOM e pubblici) hanno
conseguentemente registrato una scarsissima partecipazione. Anche il sindacalismo di
base è stato incapace di costruire un appuntamento comune. Il movimento della scuola,
nonostante qualche cenno (assemblee LIP, sciopero 13 novembre), sopravvive solo
carsicamente nel contrasto della legge scuola per scuola. Ed il mondo antagonista dello
sciopero sociale è evaporato, travolto dalle fratture del primo maggio milanese.
Nel contempo la Grande Crisi prosegue. Lo dinamica ineguale e combinata del capitalismo,
insieme all’immane intervento monetario delle banche centrali, ha mantenuto un’instabile
equilibrio nell’economia mondiale. Oggi però il rallentamento della crescita cinese, basata
su un livello spropositato di investimenti (50% del PIL), sta già producendo un effetto di
trascinamento, con nuove recessioni (nei paesi emergenti e non): le bolle finanziarie
gonfiate in questi anni per gestire la crisi, rischiano nuovamente di esplodere.
In questo quadro, crescono le contraddizioni tra i diversi poli imperialisti.
Gli USA, sospinti dalla FED, provano a riproporre una propria (debole) egemonia: rivalutano
il dollaro, delineano Grandi Accordi Commerciali che escludono la Cina (TTP e del TTIP),
rilanciano la NATO come strumento di controllo nel mondo.
La Cina esporta capitali (15 volte quelli del 2000), traccia assi di espansione (vie della seta),
delinea i primi strumenti per un’area di influenza (ruolo internazionale dello yuan e Banca
Asiatica d’investimento), flette i suoi primi timidi tentacoli militari (Mar Cinese Meridionale;
portaerei e sommergibili nucleari tattici; base a Gibuti).
L’Unione Europea è in perenne transizione, un processo di integrazione sempre incompiuto:
polarizzata dagli squilibri di una ristrutturazione produttiva continentale; sottoposta alle
spinte centrifughe della crisi, che rilanciano interessi ed identità nazionali; fratturata dalle
diverse linee di sviluppo dei suoi principali paesi imperialisti.
Nel contempo, alcuni paesi a medio sviluppo (Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita, ecc),
terremotati dal cambio di fase della crisi mondiale, giocano una propria politica di potenza,
difensiva o offensiva, per consolidarsi lungo le linee di frattura internazionali.
La guerra è allora la prospettiva del nostro quotidiano. Anzi, diverse guerre.
Quelle dei poli imperialisti, per consolidare o sviluppare le proprie aree di influenza. Quelle
tra potenze, per ritagliarsi un proprio posto al sole, minacciato dalla crisi. Quelle
nazionaliste o religiose, per salvare il proprio sviluppo capitalista disciplinando l’intera
società dietro esercito (o milizia) e bandiera (o croce, o mezzaluna,..). Quelle democratiche
e popolari, contro oppressioni dittatoriali e forze reazionarie. Quelle infine, sociali, per
garantirsi una sopravvivenza nelle barbarie di uno sviluppo accelerato (con enormi
migrazioni di massa verso le metropoli), precipitato in una Grande Crisi di lunga durata.
In questa moltiplicazione dei conflitti e degli attori, si confonde spesso la radice di classe
degli scontri in corso: i fronti della lotta si intrecciano e si sovrappongono, con alleanze
improbabili, complicità clandestine ed improvvisi cambi di campo.


PER UN  NUOVO INTERNAZIONALISMO
PER UN’ ALTERNATIVA SOCIALISTA


◄ Per queste ragioni il PCL aderisce e partecipa, con l'autonomia delle proprie posizioni e
delle proprie proposte, alla giornata di iniziative unitarie contro la guerra del 16 gennaio
2016, a partire dalle manifestazioni previste a Roma e Milano.
Questo appuntamento rappresenta infatti il primo tentativo di costruire una risposta politica
pubblica alla nuova fase che si è aperta lo scorso autunno, con gli attentati di Parigi ed il
nuovo protagonismo imperialista in Medioriente (compresa l’entrata in scena dell’attore
Russo). Una prima risposta tanto più urgente, dal momento che in queste settimane la
NATO e l’Italia stanno preparando nuovi interventi armati (della diga di Mosul alla Libia).
Siamo in piazza per l’urgenza delle cose e per il silenzio della sinistre.
In questa dinamica complessiva, infatti, non siamo semplicemente di fronte all’ennesima
mobilitazione contro un singolo intervento militare. Siamo di fronte al precipitare combinato
di tensioni fra poli imperialisti, nel pieno di una Grande Crisi mondiale, con guerre sociali,
politiche, religiose e di potenza che fra loro si intrecciano e si imbastardiscono.
Per questo, come PCL, riteniamo importante sottolineare le radici di classe di queste guerre.

In primo luogo, contro il nostro imperialismo: quello italiano. Il nostro coinvolgimento è
diretto: non è subordinato ad altre politiche o influenze; è soprattutto al servizio dei
nostri interessi imperialisti, dell'ENI e del grande capitale italiano, oltre che alle glorie
tricolori del governo Renzi. Per questo la mobilitazione contro la guerra non può essere
una mobilitazione generica, pacifista; interclassista, astratta dai concreti interessi che
sorreggono questi interventi militari: per battersi contro questa guerra, bisogna costruire
l’opposizione sociale e di classe contro governo e padronato.

In secondo luogo, l'opposizione alla guerra ha per noi senso solo nella prospettiva
dell’alternativa socialista, unica vera alternativa alla barbarie dell'imperialismo e del
fondamentalismo reazionario. Per questo appoggiamo nei conflitti le forze classiste e
rivoluzionarie, contro la partecipazione ad ampi fronti popolari o Comitati di Liberazione
Nazionale interclassisti; per l’autodeterminazione dei popoli, ma contro alleanze
nazionaliste con forze borghesi (in Siria come nell’Unione Europea).
Questa sono le nostre ragioni e proposte. Ma pensiamo sia soprattutto necessario
sviluppare un fronte ampio di mobilitazione, contro la guerra e contro tutti gli imperialismi o
le politiche di potenza, al fianco delle masse oppresse e sfruttate della nazione araba, del
Medio Oriente, di tutti i paesi coinvolti nei conflitti.
La mobilitazione di oggi allora non deve concludersi qui, deve trovare forme e modalità per
proseguire e soprattutto per allargarsi, costruendo un fronte unitario della sinistra politica e
sociale. Per questo riteniamo utile la costruzione di comitati unitari attorno alla
discriminante dell'opposizione alla guerra, nella diversità di analisi e posizioni, impegnati
nell'organizzazione dell'iniziativa comune.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI