L'accordo raggiunto sulla sorte dei lavoratori Ilva di Taranto assomiglia molto ad un gioco delle parti di pirandelliana memoria: ogni attore ha avuto un suo ruolo, intrecciandosi con la parte degli altri.
Naturalmente comprendiamo perfettamente l'interesse del ministro Di Maio ad ergersi a mediatore tra le parti, cercando di apparire come il deus ex machina dell'accordo, riuscendo là dove non erano riusciti Calenda e il PD, giocando in casa, come si suol dire, visto che a Taranto il M5S il 4 marzo ha spopolato, prendendo oltre il 50% dei voti.
Chiaro era anche l'interesse delle burocrazie sindacali a firmare un accordo non troppo penalizzante, volto a far credere ai lavoratori che pur in condizioni sfavorevoli si può riuscire a raggiungere un accordo che salvaguardi in gran parte il lavoro e i posti di lavoro, vecchio refrain utilizzato dai burocrati ogni volta che firmano un cedimento.
L'interesse dei rappresentanti della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal era quello di ridurre il costo del lavoro e al contempo di non sborsare troppi soldi per riparare ai disastri ambientali provocati dai Riva.
I PUNTI PRINCIPALI DELL'ACCORDO
- Arcelor Mittal darà lavoro a 10.700 lavoratori Ilva "spalmati" su tutto il territorio nazionale (tranne lo stabilimento di Genova, per il quale ci sarà una trattativa a parte), 8.200 dei quali a Taranto. Prima di ricevere la proposta di assunzione dovranno sottoscrivere le "dimissioni consensuali" da Ilva, rinunciando quindi alla continuità lavorativa garantita dall'art. 2112 del Cod. civile (cessione di ramo d'azienda) che prevede stesso inquadramento, stessa retribuzione e stesso luogo di lavoro. Dovranno invece accettare lo spostamento eventuale in altro stabilimento del gruppo, livello ed inquadramento diverso.
- Gli esuberi sono 3.100, ai quali verrà fatta una proposta di esodo incentivato (da 15 mila a 100 mila euro lordi) a seconda della data nella quale se ne andranno.
- Il lavoratore, accettando la nuova assunzione, dovrà rinunciare ad intentare qualsiasi causa per eventuali malattie o danni personali derivanti da mancanza di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe potuto adottare (art.2087 Cod. civ.). Questa clausola è valida anche per chi accetta l'incentivo per l'esodo anticipato.
- Chi non verrà assunto, subito potrà usufruire della cassa integrazione a salario ridotto per un periodo massimo di 7 anni.
- Entro otto mesi l'azienda dovrà coprire il 50% della zona del parco minerario più vicina al quartiere Tamburi, il più esposto all'inquinamento.
Nel complesso, a noi sembra che l'accordo rappresenti un ulteriore cedimento sindacale sul piano dei diritti dei lavoratori. Il ministro Di Maio ha sbandierato come una sua vittoria personale la non applicazione del Jobs act ed il ripristino dell'art.18, ma ha potuto farlo sulla base di un falso. Se Arcelor Mittal non rispetterà l'accordo, il sindacato potrà denunciare il comportamento antisindacale, ma il giudice non sarà vincolato ad esprimersi. Dobbiamo anche dire che alcuni articoli dell'accordo, in particolare quelli sulla sicurezza del lavoro, peccano di anticostituzionalità. In ogni caso, è assolutamente falso che non ci siano esuberi. Le misure degli incentivi (fino a 100 mila euro) sembrano enormi, ma bisogna considerare che sono cifre lorde, e che nel meridione d'Italia (ma ormai dappertutto) è molto difficile trovare un lavoro stabile. Neanche l'ambiente, argomento sul quale il M5S aveva capitalizzato alle elezioni del 4 marzo a Taranto, promettendo prima la riconversione dell'Ilva, poi la sua chiusura, è stato salvaguardato. Le dimissioni di alcuni consiglieri comunali tarantini, in disaccordo con Di Maio, la dicono lunga sulle lacerazioni tra vertici nazionali e militanti locali del M5S.
Per quanto riguarda le burocrazie sindacali di FIOM-FIM-UILM, alle quali si è aggiunta USB, ormai da alcuni anni questo è il modello di accordo che viene sottoscritto: esodi incentivati per i lavoratori in esubero (ai quali non si propone più neanche la difesa del posto di lavoro) in cambio di erosione di diritti, anche quelli fondamentali - come la salvaguardia della sicurezza e della salute - per chi resta a lavorare.
Avrebbero potuto battersi per la nazionalizzazione, ma nei mesi scorsi, prima delle elezioni, la FIOM avrebbe disturbato troppo il governo PD, e neanche il M5S, al di là della propaganda, aveva voglia di imbarcarsi in una operazione del genere. L'USB l'ha timidamente proposta, ma senza mobilitazione dei lavoratori non è stata nemmeno presa in considerazione.
In definitiva, questo accordo si regge sulle balle clamorose raccontate a destra e a manca da Di Maio e dai media compiacenti, oltre che sulla complicità dei vertici sindacali. Per la città di Taranto resterà tutto come prima, salvo che gli inquinatori non si chiameranno più Riva, ma Arcelor Mittal. Della serie: cambiano i suonatori, ma la musica resta sempre la stessa. A meno che non entri in gioco finalmente l'autorganizzazione dei lavoratori che, nel quadro di una ripresa più generale del movimento operaio, spazzi via i burocrati sindacali.
Naturalmente comprendiamo perfettamente l'interesse del ministro Di Maio ad ergersi a mediatore tra le parti, cercando di apparire come il deus ex machina dell'accordo, riuscendo là dove non erano riusciti Calenda e il PD, giocando in casa, come si suol dire, visto che a Taranto il M5S il 4 marzo ha spopolato, prendendo oltre il 50% dei voti.
Chiaro era anche l'interesse delle burocrazie sindacali a firmare un accordo non troppo penalizzante, volto a far credere ai lavoratori che pur in condizioni sfavorevoli si può riuscire a raggiungere un accordo che salvaguardi in gran parte il lavoro e i posti di lavoro, vecchio refrain utilizzato dai burocrati ogni volta che firmano un cedimento.
L'interesse dei rappresentanti della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal era quello di ridurre il costo del lavoro e al contempo di non sborsare troppi soldi per riparare ai disastri ambientali provocati dai Riva.
I PUNTI PRINCIPALI DELL'ACCORDO
- Arcelor Mittal darà lavoro a 10.700 lavoratori Ilva "spalmati" su tutto il territorio nazionale (tranne lo stabilimento di Genova, per il quale ci sarà una trattativa a parte), 8.200 dei quali a Taranto. Prima di ricevere la proposta di assunzione dovranno sottoscrivere le "dimissioni consensuali" da Ilva, rinunciando quindi alla continuità lavorativa garantita dall'art. 2112 del Cod. civile (cessione di ramo d'azienda) che prevede stesso inquadramento, stessa retribuzione e stesso luogo di lavoro. Dovranno invece accettare lo spostamento eventuale in altro stabilimento del gruppo, livello ed inquadramento diverso.
- Gli esuberi sono 3.100, ai quali verrà fatta una proposta di esodo incentivato (da 15 mila a 100 mila euro lordi) a seconda della data nella quale se ne andranno.
- Il lavoratore, accettando la nuova assunzione, dovrà rinunciare ad intentare qualsiasi causa per eventuali malattie o danni personali derivanti da mancanza di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe potuto adottare (art.2087 Cod. civ.). Questa clausola è valida anche per chi accetta l'incentivo per l'esodo anticipato.
- Chi non verrà assunto, subito potrà usufruire della cassa integrazione a salario ridotto per un periodo massimo di 7 anni.
- Entro otto mesi l'azienda dovrà coprire il 50% della zona del parco minerario più vicina al quartiere Tamburi, il più esposto all'inquinamento.
Nel complesso, a noi sembra che l'accordo rappresenti un ulteriore cedimento sindacale sul piano dei diritti dei lavoratori. Il ministro Di Maio ha sbandierato come una sua vittoria personale la non applicazione del Jobs act ed il ripristino dell'art.18, ma ha potuto farlo sulla base di un falso. Se Arcelor Mittal non rispetterà l'accordo, il sindacato potrà denunciare il comportamento antisindacale, ma il giudice non sarà vincolato ad esprimersi. Dobbiamo anche dire che alcuni articoli dell'accordo, in particolare quelli sulla sicurezza del lavoro, peccano di anticostituzionalità. In ogni caso, è assolutamente falso che non ci siano esuberi. Le misure degli incentivi (fino a 100 mila euro) sembrano enormi, ma bisogna considerare che sono cifre lorde, e che nel meridione d'Italia (ma ormai dappertutto) è molto difficile trovare un lavoro stabile. Neanche l'ambiente, argomento sul quale il M5S aveva capitalizzato alle elezioni del 4 marzo a Taranto, promettendo prima la riconversione dell'Ilva, poi la sua chiusura, è stato salvaguardato. Le dimissioni di alcuni consiglieri comunali tarantini, in disaccordo con Di Maio, la dicono lunga sulle lacerazioni tra vertici nazionali e militanti locali del M5S.
Per quanto riguarda le burocrazie sindacali di FIOM-FIM-UILM, alle quali si è aggiunta USB, ormai da alcuni anni questo è il modello di accordo che viene sottoscritto: esodi incentivati per i lavoratori in esubero (ai quali non si propone più neanche la difesa del posto di lavoro) in cambio di erosione di diritti, anche quelli fondamentali - come la salvaguardia della sicurezza e della salute - per chi resta a lavorare.
Avrebbero potuto battersi per la nazionalizzazione, ma nei mesi scorsi, prima delle elezioni, la FIOM avrebbe disturbato troppo il governo PD, e neanche il M5S, al di là della propaganda, aveva voglia di imbarcarsi in una operazione del genere. L'USB l'ha timidamente proposta, ma senza mobilitazione dei lavoratori non è stata nemmeno presa in considerazione.
In definitiva, questo accordo si regge sulle balle clamorose raccontate a destra e a manca da Di Maio e dai media compiacenti, oltre che sulla complicità dei vertici sindacali. Per la città di Taranto resterà tutto come prima, salvo che gli inquinatori non si chiameranno più Riva, ma Arcelor Mittal. Della serie: cambiano i suonatori, ma la musica resta sempre la stessa. A meno che non entri in gioco finalmente l'autorganizzazione dei lavoratori che, nel quadro di una ripresa più generale del movimento operaio, spazzi via i burocrati sindacali.