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La patria di chi?

Da Togliatti a... Fassina

Sul lancio della associazione "Patria e Costituzione"

Marx scriveva che “non si può giudicare qualcuno in base a ciò che pensa di sé, ma solo in base a ciò che oggettivamente rappresenta”. La nascita a Roma dell'associazione “Patria e Costituzione” per iniziativa di Stefano Fassina conferma questo concetto.

L'iniziativa rivendica la necessità di marciare «controvento» per rifondare una «sinistra di popolo». Come si può rifondare una sinistra di popolo? Recuperando il valore della Patria e della Nazione, sacrificato nel nome dell'Unione Europea e dei suoi trattati, dichiara solennemente Fassina. Ma il ritorno del nazionalismo sciovinista non è forse il nuovo vento emergente a tutte le latitudini del mondo, nel suo multiforme impasto coi populismi reazionari di ogni specie? Forse, ammette Fassina, ma è questa una ragione in più per «non lasciare alla destra» la bandiera della Nazione e della Patria, per «recuperare la tradizione nazionale della sinistra italiana», per rilanciare il «patriottismo nazionale di Palmiro Togliatti» e della stessa Costituzione. «L'articolo 52 della Costituzione non dichiara forse che la difesa della patria è sacro dovere di ogni cittadino? Perché dunque l'immotivata ritrosia a sventolare la bandiera tricolore?». Solo recuperando la sovranità nazionale si può applicare la Costituzione e sviluppare politiche sociali e di progresso, solo così si può fare argine alla destra: questa è la summa del pensiero di Fassina.


LA MISTIFICAZIONE DEL SOVRANISMO DI SINISTRA 

Se dovessimo limitarci a esaminare il contenuto ideologico intrinseco di questo pensiero, potremmo semplicemente rilevare la mistificazione di fondo su cui si appoggia. Le politiche sociali controriformatrici e reazionarie non sono nate con l'Unione Europea. Si sono dispiegate a partire dalla seconda metà degli anni '70 e si sono sviluppate su scala mondiale nel corso degli anni '80 (Reagan, Thatcher), quando la UE e tanto più l'euro non si erano ancora delineati. Inoltre esse prosperano tranquillamente ben al di là dei confini dell'Unione Europea, sotto le più diverse monete e bandiere nazionali. Trump taglia la spesa sanitaria, colpisce l'istruzione pubblica, allude all'aumento dell'età pensionabile, per finanziare la detassazione dei capitalisti stelle a strisce e i bilanci militari. Putin prolunga l'età pensionabile e affronta le prime serie resistenze sociali perché impegnato a finanziare le proprie ambizioni sovraniste. Teresa May non solo non allarga la spesa sociale come la campagna pro-Brexit aveva promesso, ma la sottopone a una nuova drammatica stretta. Le politiche di rapina sociale a vantaggio dei profitti sono dunque un ricorso universale del capitale nella stagione storica della sua crisi, non un parto maligno dell'Unione Europea. Sono invocate nel nome della "Nazione" non meno che nel nome dell'Unione Europea. L'Unione Europea ha semplicemente rappresentato un quadro concertato di gestione di queste politiche di rapina, a vantaggio delle grandi borghesie continentali.

Siamo dunque rigorosamente contro l'Unione Europea, e contro la truffa di una sua possibile riforma (Tsipras) proprio perché siamo anticapitalisti; non siamo anticapitalisti perché siamo contro l'Unione Europea. Come non lo sono infatti i sovranisti delle più diverse declinazioni. La carriera del patriota Stefano Fassina, già viceministro all'Economia del governo Letta, già sostenitore del pareggio di bilancio in Costituzione, non lascia dubbi al riguardo. Come conferma peraltro la sua contorsione attuale: Fassina contesta la UE nel nome della Patria, ma non rivendica affatto, guarda caso, la rottura con la UE. La sua neonata associazione nazionalista chiede semplicemente una rivisitazione dei trattati tra gli Stati capitalisti (e imperialisti) dell'Unione, per rinnovare il patto tra i diversi interessi nazionali. Evidentemente l'interesse nazionale del capitalismo italiano, seconda manifattura d'Europa, ha consigliato all'ex viceministro di moderare il proprio ardore patriottico.


LA SINISTRA NAZIONALISTA A RIMORCHIO DELLA REAZIONE 
Ma il contenuto dell'iniziativa di Patria e Costituzione non sta nel suo dettato ideologico, sta nel contesto politico che lo sospinge. Altro che iniziativa controvento! L'iniziativa di Patria e Costituzione ha alzato le proprie vele in sintonia col nuovo vento mondiale. Non il vento unionista, che ha già cessato di spirare da un pezzo, ma il vento del nazionalismo e del protezionismo, col suo portato di militarismo e xenofobia. È il vento dell'”America first!”, del nazionalismo cinese, del nuovo militarismo giapponese, del rilancio sciovinista grande russo, del nazionalismo reazionario indù. È il vento che percorre la stessa Europa, con l'ascesa prepotente dei populismi reazionari, l'esplodere delle contraddizioni nazionali (Francia e Italia che si contendono il Nord Africa), l'espansione dei bilanci militari (persino in Germania). In ultima analisi, è l'onda lunga della grande crisi capitalista dell'ultimo decennio.

Questo vento apre varchi anche a sinistra. Cattura settori proletari e popolari colpiti dalle politiche di austerità "nel nome dell'Europa”, e dunque portate a vedere nella UE la causa della propria sofferenza, e cattura a rimorchio settori dei gruppi dirigenti riformisti, sino a ieri paladini dell'UE e dei sacrifici, e oggi improvvisati esegeti del nuovo verbo patriottico. Mélenchon, già ministro dell'austerità di Jospin, ha sentito il bisogno di impugnare la spada contro «il veleno tedesco» (testuale), a difesa dell'onore francese. Il suo emulo Fassina, già viceministro di Letta, rispolvera la sacralità dell'Italia. Dirigenti rotti ad ogni avventura cercano la propria salvezza (Fassina) o la propria gloria (Mélenchon) nella spazzatura ideologica della reazione. Via la bandiera rossa, meglio sventolare il tricolore di Francia, proclama Mélenchon ad ogni comizio della sua France Insoumise. Meglio affiancare al rosso il tricolore, suggerisce più prudentemente Fassina.

Entrambi aprono alle campagne anti-immigrati. Non siamo “no border”, esclama Mélenchon, "dobbiamo essere noi a rivendicare la certezza dei confini della Nazione!” Non a caso Mélenchon difende orgoglioso la Guyana "francese”. “Gli immigrati sono un problema, inutile nasconderlo, non possiamo certo accogliere tutti”, gli fa eco Fassina, che per questo chiede la regolamentazione degli ingressi. La ragione esibita da entrambi è che la concorrenza degli immigrati schiaccia i salari degli italiani e dei francesi. Ma invece di battersi per l'uguaglianza dei diritti dei lavoratori immigrati nell'interesse degli stessi lavoratori europei, si contrappone questi ultimi ai primi, naturalmente nel nome della Patria. Questi vecchi (o giovani) arnesi del riformismo sperano con questo di legittimarsi agli occhi del senso comune reazionario di ampi strati di massa, di ricavarne qualche utile elettorale, di ricongiungere la sinistra col “popolo”. In realtà si prostrano al corso politico reazionario che oggi pervade l'Italia e il mondo, lo stesso corso politico cui le loro politiche ministeriali hanno spianato la strada.


L'ALBERO GENEALOGICO DELLO SCIOVINISMO 

È molto significativo che la radice di questa nuova impostazione sia ricercata in Italia nella politica e cultura di Palmiro Togliatti. È in questo caso un rivestimento ideologico appropriato. È vero: «Togliatti sempre rivendicò la sacralità dell'Italia e della nostra Nazione», «la stessa resistenza partigiana fu concepita come resistenza nazionale dai nostri padri costituenti» (Fassina). Per una volta è la verità. Salvo uno spiacevole dettaglio. Proprio nel nome della Patria e della Nazione, Togliatti, su mandato di Stalin e con la piena collaborazione di Secchia, subordinò la resistenza antifascista alla ricostruzione del capitalismo italiano e del suo Stato: restituì ai prefetti il loro posto di comando, riportò Valletta sul trono della FIAT, disarmò i partigiani, decretò l'infame amnistia per gli aguzzini fascisti, calunniò le forze rivoluzionarie della resistenza come nemiche del popolo e dell'Italia. La bandiera della Patria fu il cappio al collo delle potenzialità rivoluzionarie dell'immediato dopoguerra. Le camionette di Scelba contro i lavoratori, i reparti confino contro i comunisti nelle fabbriche furono negli anni '50 il prezzo drammatico della capitolazione togliattiana.

Ognuno alla fine ritrova le proprie radici. Non a caso il fior fiore dell'intellettualità stalinista e togliattiana (Giacché, Santomassimo...) si è affrettato a benedire l'iniziativa di Fassina, ricoprendola di elogi. Il sovranismo di sinistra ha trovato il proprio albero genealogico. “L'Italia proletaria si è mossa” del primo socialismo sciovinista, l'appello ai fratelli italiani in camicia nera di Palmiro Togliatti nel 1936, il tradimento patriottico della rivoluzione partigiana da parte dello stalinismo: il nazionalismo di sinistra ha un lungo solco. La celebrazione dell'8 settembre e del governo Badoglio (!) da parte di Stefano Fassina è solo l'ultima nota senile formato bonsai di una tradizione antica.

Noi stiamo come sempre dall'altra parte della barricata. Quella classista e internazionalista. Quella di Marx, oggi più attuale che mai: "Gli operai non hanno patria” (Il Manifesto del partito comunista, 1848).
Partito Comunista dei Lavoratori