Per il rilancio di una lotta anticapitalista e rivoluzionaria per i diritti civili
Secondo qualcun* quanto accaduto nell’aula del Senato sarebbe disgustoso in un paese civile. In questa sede non possiamo esimerci dal dire che i fatti in questione non mettono in dubbio il grado di civiltà di un singolo paese, ma confermano invece la nostra analisi sul grado di civiltà di un intero sistema.
Facciamo un passo indietro. Il giorno 27 ottobre il Senato è stato chiamato a votare a scrutinio segreto la cosiddetta “tagliola” (voluta da Lega e Fratelli d’Italia) sul DDL Zan. La “tagliola” è un provvedimento previsto dall’articolo 96 del Capo XII del Regolamento del Senato. Si tratta della proposta, che può essere avanzata da singole senatrici e singoli senatori, di non procedere all’esame dei vari articoli di cui si compone un disegno di legge. Quando tale richiesta viene approvata l’iter del disegno di legge in oggetto viene bloccato e sostanzialmente deve essere ridiscusso, dopo almeno sei mesi dal voto, con una nuova proposta di legge, dalla commissione competente. Durante la seduta del 27 ottobre tale misura è stata approvata con 154 voti favorevoli, 131 voti contrari e 2 astensioni, portando alla fine del percorso della proposta di legge “contro omofobia, misoginia e abilismo”.
Prima di tutto, vogliamo esprimere sinceramente la nostra solidarietà e unirci alla sacrosanta rabbia di tutte le persone LGBTQIA+, di tutte le donne* e di tutte le persone con disabilità che continueranno a subire senza alcuna tutela il peso dell’esistenza all’interno di un sistema capitalista, cis-eteronormativo e patriarcale. Una legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, la misoginia e l’abilismo è una necessità urgente e quanto accaduto in questi giorni si configura come un attacco violento e diretto contro la vita di tutte queste persone e come tale va contrastato.
Il voto di pochi giorni fa conferma per l’ennesima volta la bancarotta definitiva e irreversibile di qualsiasi illusione riformista. Qualsiasi proposta di cambiamento calata dall’alto è destinata al fallimento e all’oblio entro questa compagine sociale. Questo non a causa dei contenuti, dei modi o delle forme di tale cambiamento, ma semplicemente perché il sistema capitalista non è e non è mai stato riformabile.
Oltretutto smaschera anche la natura opportunista dei sostenitori della legge a partire dal PD, che cerca già di smarcarsi goffamente dalla sconfitta distribuendo responsabilità e accuse a destra e a manca (peraltro senza tenere conto della propria fronda interna subordinata ai diktat delle gerarchie cattoliche), fino al M5S, che continua ad alternare prese di posizione apparentemente progressiste con uscite degne della più becera reazione, passando per Italia Viva, che per prima ha accolto le richieste di revisione della legge proposte dal centro-destra finalizzate alla rimozione del concetto di identità di genere e della conseguente tutela delle persone transgender e non binarie, e infine per le insignificanti e inconsistenti rimostranze dei radicali (+Europa) e di Liberi e Uguali.
È necessario ribadire che ancora una volta l’avanzamento dei diritti civili non è stato affossato, come si sente dire da più parti in questi giorni, per l’eccessiva radicalità della proposta. Vale la pena ricordare che il DDL Zan è una legge, seppur necessaria, con grandi limiti politici e culturali, caratterizzata da un impianto espressamente punitivo che lascia intatta la struttura su cui si sviluppa l’oppressione e la discriminazione, oltre che dalla tendenza sistematica ad invisibilizzare molte soggettività LGBTQIA+. Altrettanto importante è ricordare che i proponenti e i sostenitori del DDL Zan, lungi dalla linea dura e muscolare di cui sono stati accusati, hanno cercato in più occasioni di giungere a patti con la controparte politica proponendo o accettando talvolta modifiche ulteriormente a ribasso del testo.
Ancora una volta l’illusione è crollata su sé stessa a causa della fragilità delle proprie fondamenta: l’assenza di un movimento ampio e combattivo (malgrado non siano assenti esperienze anche molto positive in diverse città), l’atteggiamento delle direzioni del movimento LGBTQIA+ mainstream volte a delegare tutte le proprie “lotte” in sede istituzionale, l’attuale debolezza del movimento LGBTQIA+ e femminista dopo due anni di pandemia e l’incapacità di far convergere in modo generalizzato le lotte per i diritti civili e la lotta di classe, la lotta transfemminista e le lotte del movimento operaio, in una fase storica di arretramento della coscienza di classe che rende difficile ogni avanzamento – ma persino la difesa – dei diritti civili e sociali, sono fattori che vanno sommati al tradimento operato dal centrosinistra in Parlamento.
D’altra parte non possiamo ovviamente restare indifferenti di fronte all’atteggiamento trionfale tenuto dalle forze reazionarie, clericali e fasciste dopo l’affossamento della legge tantomeno in un periodo caratterizzato da numerose espressioni reazionarie (come, per esempio, l’assalto squadrista alla CGIL oppure le “grandi” manifestazioni No green pass che si avvicendano di continuo nelle nostre città). Questa purtroppo è una vittoria che assume un significato simbolico molto importante nel quadro della conservazione dello status quo classista e patriarcale e nell’ottica di un rilancio dell’offensiva clerico-fascista e oscurantista contro i diritti civili e le soggettività oppresse.
La nostra reazione non può ridursi a sporadiche azioni difensive e a espressioni pubbliche di sdegno e rabbia, come le proteste che in questi giorni stanno animando le piazze di Roma, Milano, Torino e altre città italiane. Ad esse (indubbiamente positive in questo preciso momento) deve legarsi la volontà di organizzarsi e di lottare con pratiche radicali contro capitalismo e cis-eteropatriarcato.
È necessario – ora più che mai – perseverare nell’attuazione di un programma rivoluzionario e di classe che, unendo tutt* l* sfruttat* e tutt* l* oppress* attorno alle parole d’ordine della rottura e del sovvertimento radicale del paradigma capitalistico, possa finalmente portare a compimento una società socialista libera da ogni forma di sfruttamento, violenza e oppressione.