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FIAT, sciopero ad oltranza in Serbia

L'astuzia della storia batte Marchionne

Nel 2008 la FIAT apriva un proprio stabilimento in Serbia comperando il vecchio stabilimento della Zavstava in Kragujevac. L'acquisto è stato un grande affare, una joint venture con il governo serbo, che detiene ancora il 33% delle quote. Governo che ha investito 200 milioni - più altri 500 milioni della Banca Europea - e ha concesso agevolazioni fiscali per 10.000 euro per ogni posto di lavoro creato; per non contare il salario medio degli operai serbi, che con i suoi 300 euro è ben al di sotto della media nazionale. In cambio di queste condizioni favolose per il capitale del Lingotto, la promessa di produrre 300.000 unità all'anno nello stabilimento serbo, grazie alla produzione della Punto, della Cinquecento e di una (allora) “nuova city car che FIAT sta progettando”.

Cosa ne è stato di queste premesse? Una semplice illusione! L'azienda, che aveva dato speranze alla borghesia italiana, tanto che il Sole 24 Ore titolava nel luglio del 2010 "FIAT in Serbia: trentamila posti", ha disilluso tutte le attese. I 30.000 posti sognati si sono fermati ad uno zero mancante (3.668), con l'ulteriore aggrevante di 1.000 esuberi nel 2016; dei tre modelli promessi è rimasta solo la Cinquecento; delle previste 300.000 unità annue prodotte in Serbia, se ne sono prodotte solo 90.000.

Fino a qui nulla di particolare, trattasi semplicemente della cronaca di una delle tante rapine sociali da parte del capitale, in questo caso della Fiat Chrysler. Però all'improvviso irrompe nella scena un fattore inaspettato - pure se si tratta anche in questo caso di un fattore comune nella storia degli ultimi cinquecento anni - ossia la lotta di classe, la lotta dei lavoratori salariati in difesa dei propri interessi contro gli interessi (inconciliabili) degli industriali e dei bachieri. Perché 2.000 dei circa 2.500 dipendenti della FIAT in Serbia stanno scioperando da più di una settimana (a partire del 26 giugno) rivendicando aumenti salariali del 20%, il pagamento degli straordinari e dei bonus di produzione, il rispetto dei diritti sindacali e lo stop dei licenziamenti - anche se il sindacato Samolstani, fortemente legato al governo nazionalista, tenta di utilizzare lo sciopero e il malcontento degli operai per scoraggiare la FIAT a rinnovare il contratto, dando spazio alla Volkswagen, cosa che gioverebbe al governo.

L'astuzia della storia ha battuto Marchionne! Chi è andato a produrre in Serbia per poter fare ultraprofitti grazie alle condizioni di lavoro pessime, con salari miseri, senza diritti e tutele sindacali, affronta uno sciopero ad oltranza per conquistare diritti e tutele sindacali e per aumentare i salari. Chi è andato a produrre in Serbia sperando di superare così la propria crisi economica, conseguenza della crisi generale del capitalismo, smette progressivamente di produrre in Serbia per l'approfondirsi della propria crisi di vendite, e della crisi del capitalismo mondiale ed europeo.
Come si vede, le regole generali del capitalismo e della lotta di classe sono più forti delle manovre e dei magheggi di questo o quell'altro capitalista. In questo quadro è particolarmente positivo che delegati e lavoratori della FIAT in Italia abbiano espresso la loro solidarietà con la lotta dei lavoratori serbi. Questa lotta deve essere l'esempio per i lavoratori italiani, dimostrando che solo una lotta dura, fatta di scioperi ad oltranza ed occupazioni, può portare a casa risultati concreti - come è già successo con i lavoratori della Marelli in Serbia, che hanno conquistato aumenti salariali dopo cinque giorni di sciopero, al quale si sono ispirati i lavoratori FIAT.

Per questo, il Partito Comunista dei Lavoratori esprime tutta la propria solidarietà ai lavoratori serbi, e chiama tutti i sindacati e i lavoratori della FIAT a seguirne l'esempio.
Michele Amura