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La parità? In Russia e nel 1917

Quando ottenemmo tutto quello che ora non osiamo chiedere
27 Dicembre 2017
Mai, in nessuna epoca e in nessun paese, le donne hanno avuto una parità maggiore rispetto alla Russia all’indomani della Rivoluzione di Ottobre. Non adesso in Italia, non negli anni 70, in nessun tempo in nessun luogo.
Cosa volevano dunque i bolscevichi per le donne?

Marx e Engels si occuparono prestissimo della questione della famiglia e delle donne. Già nella Condizione della classe operaia in Inghilterra del 1844, Engels descrisse le puerpere che, dopo aver appena partorito, tornavano in fabbrica, con i seni che grondavano latte mentre i loro bambini a casa soffrivano la fame; descrisse le donne incinte costrette a lavorare fino al termine, che non di rado partorivano accanto alle macchine.

Tuttavia fu nell’Ideologia tedesca che Marx e Engels diedero maggiore struttura alla loro visione della condizione femminile, affermando che la famiglia è qualcosa di più di una serie di relazioni biologiche, svelandone lo strettissimo legame con i modi di produzione.

Per la prima volta, la famiglia non era più immutabile: come ogni altro oggetto finito sotto la lente del materialismo marxista, la famiglia venne trattata empiricamente in tutte le fasi storiche e non considerata un assoluto, innato, sempre uguale a se stesso. La famiglia diventò un costrutto sociale determinato dalla dinamica dello scontro tra classi.

In quel meraviglioso libro che è l’Origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato, Engels spiegò come la prima forma di proprietà privata avesse origine proprio nella nascita della famiglia, proprio nel momento in cui le comunità umane divennero stanziali, in quel preciso momento in cui si produsse un surplus di beni da tramandare l’interno della propria linea dinastica. Monogamia, patriarcato, proprietà privata hanno un’origine comune e, a cascata, innescano la nascita della schiavitù, del debito, della moneta, in sintesi di quella società capitalista e patriarcale in cui ci troviamo a vivere ancora oggi. È quel preciso punto storico in cui patriarcato e capitalismo intrecciano le proprie radici che Engels definì come “la sconfitta storica del sesso femminile”.

Su queste basi teoriche marxiste e materialiste, qui solo accennate, alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, i teorici bolscevichi basarono il proprio intervento sul versante della lotta contro l’oppressione di genere, immaginando una società completamente diversa. Era imperativo liberare la donna dalla famiglia, e in generale le relazioni umane dalle pastoie dello Stato borghese. I rapporti umani dovevano essere liberi, non fungere da strutture di controllo sociale. Per farlo occorreva liberare i rapporti interpersonali dai lacci imposti dalla struttura economica della società precedente, che rendeva il calcolo e l’interesse una componente irrinunciabile di qualsiasi relazione amorosa o famigliare.

E i bolscevichi agirono da subito su questo terreno, nonostante avessero tantissimi problemi molto importanti di cui occuparsi all’indomani di una rivoluzione epocale.

Fin da subito risulta ovvio che le aspirazioni di liberazione sociale dei bolscevichi si discostano nettamente dal femminismo borghese suffragista di quegli anni per saldarsi senza tentennamenti alle rivendicazioni della lotta di classe. Questa è la chiave che ha consentito alle donne di ottenere così tanto in quell’epoca: saldare la lotta di classe alle rivendicazioni femministe e femminili significa abbattere alla radice i modi di produzione e la struttura economico politica e sociale che produce il patriarcato.

È la strada rivoluzionaria e non quella riformista a garantire la liberazione delle donne: lo si evince chiaramente dai dialoghi di Lenin con Clara Zetkin, con Inessa Armand e dalle opere di Aleksandra Kollontaj. Questo “matrimonio” tra lotta di classe e lotta femminista è un caposaldo che noi marxisti rivoluzionari non possiamo dimenticare, perché è valido oggi come allora: solo il rovesciamento del modo di produzione capitalistica può rovesciare contemporaneamente anche il patriarcato e liberare gli sfruttati, donne comprese.

Cosa ottennero dunque le donne all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre? Prestissimo, con due decreti del dicembre 1917 si abolì da un lato il matrimonio religioso e dall’altro si istituì quello civile. Chi voleva, poteva ancora sposarsi con i riti ecclesiastici che però non avevano alcun valore legale. Centinaia di anni di dominio della Chiesa sulla vita più intima delle persone vennero così spazzati via con un colpo di penna.

La seconda misura fu l’introduzione del divorzio su richiesta di una delle due parti. È quasi incredibile pensare che, a due mesi dalla presa del Palazzo d’Inverno, siano proprio queste le misure che si preoccupano di prendere i bolscevichi.

Nel 1918, più precisamente in agosto (in piena turbolenza), viene varato il Codice sul matrimonio la famiglia e la tutela. Tale codice:

Aboliva lo status di inferiorità delle donne, conferendo quindi loro la parità sul piano formale e legale (primo paese al mondo).
Concedeva il divorzio alla richiesta di uno dei due coniugi senza motivazione, istituendo gli alimenti per entrambi, a prescindere da chi fosse la parte più debole.
Abolì lo status di illegittimità dei figli nati fuori dal matrimonio (questa misura in Italia è stata introdotta con decreto legislativo n. 154 del… 2013).
Tutte queste misure vennero varate in un profondo clima di scambio, dialogo e dibattito all’interno del partito bolscevico, come sempre. Alcuni volevano abolire completamente il matrimonio, eliminando anche la procedura civile. Altri ne difendevano l’utilità. Si decise infine, giustamente, di garantire il matrimonio civile, anche come strumento per combattere l’egemonia ecclesiastica e come fase di transizione verso una società in cui il matrimonio sarebbe stato superfluo.

Questo codice familiare, come molte altre leggi bolsceviche, era un incipit per una società diversa che doveva ancora essere creata e testimonia la lungimiranza dei bolscevichi all’indomani della Rivoluzione. Era un codice di transizione verso un futuro in cui ogni individuo avrebbe avuto la propria indipendenza economica e la propria libertà affettiva e personale.

E funzionò. Nel 1925 solo un terzo dei matrimoni era accompagnato dalla funzione religiosa.

I bolscevichi riservarono un’attenzione particolare anche all’infanzia. Nonostante il paese versasse in una situazione terribile, in cui orde di orfani si aggiravano per le strade vivendo di furti, i bolscevichi scelsero di attuare una politica estremamente lungimirante in termini pedagogici. Anzi, operarono una vera e propria rivoluzione anche nella pedagogia, mettendo al centro il bambino e i suoi interessi, il suo sviluppo psicofisico e le sue inclinazioni, affermando che lo Stato doveva farsi carico di garantire il pieno sviluppo del bambino in tutto ciò che avrebbe voluto intraprendere nella vita. Una visione estremamente avanzata per l’epoca.

Un altro punto fondamentale del programma di liberazione sociale attuato dopo la Rivoluzione fu la socializzazione del lavoro domestico. Oggi non si riesce a parlare di questo argomento, neppure nei circoli femministi più avanzati, senza suscitare sguardi ironici o aperta disapprovazione. Lo si ritiene, nel migliore dei casi, un’utopia irrealizzabile (e nel sistema capitalista lo è). Nella Russia sovietica divenne, seppur per poco tempo, una realtà. Il lavoro domestico è lavoro e come tale deve essere retribuito e collettivizzato.

Fin dall’autunno del 1918 è stato adottato in tutto il paese un sistema di mense pubbliche. Certo, tali mense erano carenti, grazie al blocco che gli Stati imperialisti avevano imposto al neonato Stato rivoluzionario, tuttavia erano presenti e diffuse. Nel 1919-20, il 90% degli abitanti di San Pietroburgo mangiava regolarmente alle mense statali.

La Kollontaj scrive: “Nella storia della donna la separazione della cucina dal matrimonio è una grande riforma non meno importante della separazione dello Stato dalla Chiesa.”

Furono istituiti alloggi comunitari, per famiglie e persone sole. I lavori di casa venivano svolti da donne delle pulizie salariate, in molte di queste abitazioni vi erano lavanderie centralizzate, asili, scuole.

I bolscevichi fecero tanto anche per la liberazione della sfera sessuale degli individui. Nella stesura del 1926, il codice prevede gli stessi diritti per le coppie di fatto, i conviventi non sposati, cancellando sostanzialmente la differenza tra convivenza e matrimonio. Noi occidentali progrediti abbiamo dovuto aspettare fino all’anno scorso. L’omosessualità fu depenalizzata già nel 1917 e gli omosessuali potevano entrare nel partito bolscevico.

Un altro diritto fondamentale che conquistarono le donne russe fu l’aborto, persino in un momento di forte arretramento demografico. Nella Russia prerivoluzionaria il ricorso a metodi casalinghi per abortire era molto diffuso, tanto che nel 1920 i bolscevichi, guardando in faccia la realtà, riconobbero che la repressione era inutile e resero l’aborto legale e gratuito negli ospedali. Al di fuori di queste strutture l’aborto era pesantemente perseguito soprattutto a carico di chi lo provocava. Anche in questo caso l’Unione Sovietica è stata il primo paese al mondo a garantire alle donne questo diritto.

Anche se l’aborto era legale, libero e gratuito, i bolscevichi miravano a costruire una solida rete di aiuto per le madri, in modo da limitare il ricorso a questa pratica. I bolscevichi si impegnarono affinché la maternità fosse una scelta come un’altra e non con una condanna all’estromissione dalla vita sociale e lavorativa della donna.

La salute stessa della donna divenne importante come mai prima: nella Russia zarista vi erano 6 consultori per le donne incinte, nella Russia del 1921 ce n’erano 200, oltre a 138 centri per l’allattamento.

Ma non finisce qui. Vi erano apposite strutture di accompagnamento al parto, veri e propri “asili per madri” (135 nel 1921), per tutelare le donne in un periodo delicatissimo della loro vita prima e per settimane dopo la nascita, a discrezione delle donne. Qui venivano curate, seguite, nutrite, o semplicemente ospitate se non avevano voglia di aggiungere alla maternità gli altri lavori di casa. In queste strutture potevano trovare rifugio anche donne sposate in fuga dalla violenza ed erano prese d’assalto anche da donne celibi che qui trovavano cure e riposo.

Cosa è accaduto a tutte queste conquiste?

Lo sappiamo: il soffocamento della rivoluzione in un solo paese, la burocratizzazione staliniana e il tradimento dello spirito e della prassi rivoluzionaria hanno portato alla sgretolazione della società bolscevica, sostituita da quell’orrore grigio, autoritario e povero che ora nell’immaginario collettivo mondiale è purtroppo collegato al comunismo.

Nel 1936 sui giornali veniva propagandato uno Stato forte, basato sulla solida famiglia sovietica.

Il Zhenotdel, la sezione femminile e femminista del partito che tanto aveva fatto per l’avanzamento delle donne venne chiuso nel 1930. Nel 1933 l’omosessualità divenne nuovamente reato.

La pluralità di visioni e di opinioni presenti sui giornali terminò nel 1934. Molti di coloro che collaborarono alla scrittura del codice sulla famiglia o che ne discussero i principi vennero uccisi dal terrore staliniano.

Nel 1936 venne abolito l’aborto e con la legge sulla famiglia del 1944 morì definitivamente la liberazione della donna come concepita dai rivoluzionari e dalle rivoluzionarie bolsceviche: venne re-introdotta la differenza fra figli legittimi e non, si abbandonò l’educazione collettiva dei bambini e si aprì la strada alla concezione della donna e della famiglia in salsa fascio-staliniana, con relativo apparato propagandistico.

Una fine ingloriosa per un modello sociale che non era un sogno, ma che si avviava ad essere realtà concreta anche in uno stato poverissimo, affamato e arretrato.

In ciò che ottennero le donne all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre è contenuta la risposta al “che fare” di oggi. Solo l’abbattimento congiunto di patriarcato e capitale può rovesciare concretamente l’odierna oppressione femminile. Il resto è la solita favoletta riformista che tante lotte ha infilato in un vicolo cieco.
MG