8 Novembre 2019
I 40 giorni di sciopero radicale e combattivo dei lavoratori e delle lavoratrici della General Motors, negli Stati Uniti, hanno piegato uno dei colossi del grande capitale. Assumiamo quell'esempio per una lotta generale combattiva per la nazionalizzazione sotto controllo sociale e dei lavoratori di ArcelorMittal e di tutto il settore siderurgico
GENERAL MOTORS E UAW: 40 GIORNI E 40 NOTTI DI LOTTA
Nel cuore industriale della metropoli imperialista è successo qualcosa che ha scosso il grande capitale. Proprio laddove, con la narrazione ideologica dominante – fondata sul concetto di società postindustriale – si gioca a presentare come superati i concetti di classe operaia e di lotta di classe che ne dovrebbe conseguire, per spostare il focus sulla mobilitazione della middle/lower class nello scontro geopolitico e imperialistico con la Cina che ha, ormai, assunto i tratti di una vera e propria guerra commerciale, con i suoi alti e bassi, condotta attraverso le oscillazioni del populista Trump.
Per 40 giorni consecutivi, dopo oltre un decennio di assenza totale di anche minime mobilitazioni, la classe lavoratrice del settore automobilistico ha scioperato e preso per la gola la General Motors. Un riscatto di classe e un moto di orgoglio nascosto da ogni canale di comunicazione ufficiale, per non fornire esempi pericolosi alle classi sfruttate. Un silenzio funzionale anche a non mettere in cattiva luce e in difficoltà un settore di grande capitale coinvolto in un'aperta guerra capitalistica mondiale, con cui affrontare una nuova rivoluzione industriale che costringe tutti gli attori in campo a mettere in moto riconversioni e investimenti per intercettare la tendenza del mercato all'auto elettrica e la corsa ad un inedito mercato utile per l'espansione del capitale, alimentata anche dalla retorica borghese e piccolo-borghese di un nuovo capitalismo "green".
La classe lavoratrice ha messo in mostra di possedere ancora, nelle sue mani, un potere capace di mettere in ginocchio e far tremare le grandi borghesie ed i governi anche laddove possano sembrare inattaccabili e intoccabili. Un potere che si può esplicitare solo con l'unità di classe e con la radicalità di mobilitazioni e di scioperi ad oltranza, conquistando i cuori della società e raccogliendo solidarietà in loro sostegno. Un potere che può scavalcare anche le stesse burocrazie sindacali, costringendole a rincorrere la mobilitazione, alla ricerca di un accordo che possa soddisfare una base compattata dall'esperienza della lotta unitaria.
Quaranta giorni in cui oltre 48.000 lavoratori hanno fatto pagare un conto di profitti perduti alla GM di quasi 3 miliardi di dollari, costringendoli ad andare incontro alla maggior parte delle rivendicazioni e richieste, strappando: un premio di 11.000 dollari a dipendente; due aumenti salariali del 3%, con due erogazioni una tantum del 4% del salario; la rimozione del tetto di partecipazione agli utili (dopo anni in cui l'azienda macinava miliardi sulla pelle di salari al palo e diritti in smantellamento); il mantenimento delle coperture sanitarie ai livelli attuali; l'accordo per la stabilizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori precari e ricattati che abbiano lavorato per almeno tre anni in azienda (sconfiggendo un modello che imponeva ad un settore di lavoratori di rimanere a livelli salariali nettamente più bassi e a non poter godere di benefit, coperture assicurative, diritti sindacali etc.).
I principi su cui si è costruita la mobilitazione sono stati proprio la rivendicazione di una forte redistribuzione a fronte di un'azienda che aumentava il proprio potere nello scacchiere mondiale macinando sempre più utili, ma che annunciava la chiusura di stabilimenti e la cancellazione di posti di lavoro; e il contrasto della divisione del fronte dei lavoratori con una sempre maggior differenziazione delle condizioni di lavoro, salariali e dei diritti e benefit tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, lavoratori a pieno salario e altri a salario crescente, qualificati e forzosamente non qualificati, e così via.
DALL'ESEMPIO DELLA GENERAL MOTORS ALLA BATTAGLIA CONTRO ARCELOR MITTAL
Da questo punto di vista, parlando di un settore strategico per gli USA come quello dell'automobile, non può non venire in mente il contraltare del contesto di attualità italiano, in cui diverse aziende strategiche aggrediscono le condizioni di lavoro e minacciano delocalizzazioni, chiusure, licenziamenti – come nel caso della Whirlpool – o che minacciano di chiudere la baracca dell'industria siderurgica italiana, rilanciando ricatti per ottenere pieni poteri e mani totalmente libere di fare profitti incondizionati sulla pelle dei lavoratori e dei livelli occupazionali, su quella degli abitanti, dell'ambiente e delle condizioni di vita generali. Parliamo ovviamente di Arcelor Mittal e delle acciaierie di Taranto, Novi Ligure, Cornigliano, Racconigi e Marghera – in tutto 10.600 dipendenti – con tutte le inevitabili ricadute sull'enorme indotto, che coinvolge oltre 9.000 dipendenti.
Invece di fare aperture alla linea di cedimento al ricatto, come immediatamente proposto da Landini in supporto alla logica del PD e della nuova creatura di Renzi, Italia Viva, per fornire immunità penale al più grande colosso dell'acciaio mondiale in cambio del mantenimento degli impianti, i cui livelli occupazionali sono già stati ridimensionati, e con operazioni di bonifica fatte con i pochi quattrini sottratti ai Riva.
Invece di inutili piagnistei su accordi ormai divenuti carta straccia, fondati sull'illusione che si possa inchiodare la grande borghesia a pezzi di carta o promesse di politicanti passati.
Invece di mobilitazioni di qualche ora, peraltro spezzettando il fronte dei lavoratori su base geografica e sulla base di singoli impianti produttivi, spesso costruendo rivendicazioni addirittura contrapposte.
Oggi bisogna cogliere proprio l'esperienza e l'esempio dei lavoratori della GM, inchiodare il grande capitale e i governi al loro servizio, nel ridicolo teatrino di slogan urlati e cedimenti nei fatti di ogni parte politica. Inchiodarli con la forza di una mobilitazione unitaria della classe lavoratrice, per lo meno di tutto il settore siderurgico italiano, ponendo in campo la forza compatta e combattiva di chi nei fatti tiene in piedi gli stabilimenti e ne paga anche il maggior scotto della loro nocività.
Una mobilitazione che metta in chiaro come non esistano padroni singoli o loro cordate che possano realmente curarsi degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, dei territori, dell'ambiente e della salute (considerate dal grande capitale esternalità negative da scaricare sulla collettività) contemporaneamente. Una mobilitazione che blocchi il paese fino a che non si assume una soluzione reale, credibile e nell'interesse di lavoro, salute e ambiente.
Il tutto con la consapevolezza che la sola classe lavoratrice può assumere questo impegno, costringendo lo Stato a requisire tutte le proprietà di chi si è arricchito su sangue, sudore, tumori e inquinamento; nazionalizzando senza indennizzo l'Ilva e tutto il settore siderurgico, ponendolo sotto il controllo dei lavoratori e dei loro rappresentanti reali, non delle burocrazie al soldo della controparte.
Per cui, oggi più che mai, è importante che tutta la sinistra di classe, anticapitalista e rivoluzionaria, tutto il sindacalismo combattivo e conflittuale, tutto il mondo delle associazioni e dei movimenti per l'ambiente – Fridays For Future compreso – si uniscano nel rivendicare la difesa di un lavoro a condizioni dignitose, dei livelli occupazionali, della nazionalizzazione del settore siderurgico e di una sua radicale riconversione, accompagnate dalla bonifica di tutte le aree devastate e dalla cura e compensazione dei danni alla salute collettiva. Imponendo il costo di tutto questo ai pochi che, negli anni, si sono garantiti con questo settore profitti, potere e ricchezze. Partendo proprio dall'organizzazione e dal sostegno di uno sciopero generale e prolungato del settore e dall'istituzione di casse di solidarietà e organizzazione di mutuo soccorso per il sostegno degli scioperanti.
Unire le forze per una campagna e una battaglia nell'interesse di quei lavoratori e dei cittadini coinvolti, nella consapevolezza di portare avanti una battaglia per tutta la società e per la collettività.
Nel cuore industriale della metropoli imperialista è successo qualcosa che ha scosso il grande capitale. Proprio laddove, con la narrazione ideologica dominante – fondata sul concetto di società postindustriale – si gioca a presentare come superati i concetti di classe operaia e di lotta di classe che ne dovrebbe conseguire, per spostare il focus sulla mobilitazione della middle/lower class nello scontro geopolitico e imperialistico con la Cina che ha, ormai, assunto i tratti di una vera e propria guerra commerciale, con i suoi alti e bassi, condotta attraverso le oscillazioni del populista Trump.
Per 40 giorni consecutivi, dopo oltre un decennio di assenza totale di anche minime mobilitazioni, la classe lavoratrice del settore automobilistico ha scioperato e preso per la gola la General Motors. Un riscatto di classe e un moto di orgoglio nascosto da ogni canale di comunicazione ufficiale, per non fornire esempi pericolosi alle classi sfruttate. Un silenzio funzionale anche a non mettere in cattiva luce e in difficoltà un settore di grande capitale coinvolto in un'aperta guerra capitalistica mondiale, con cui affrontare una nuova rivoluzione industriale che costringe tutti gli attori in campo a mettere in moto riconversioni e investimenti per intercettare la tendenza del mercato all'auto elettrica e la corsa ad un inedito mercato utile per l'espansione del capitale, alimentata anche dalla retorica borghese e piccolo-borghese di un nuovo capitalismo "green".
La classe lavoratrice ha messo in mostra di possedere ancora, nelle sue mani, un potere capace di mettere in ginocchio e far tremare le grandi borghesie ed i governi anche laddove possano sembrare inattaccabili e intoccabili. Un potere che si può esplicitare solo con l'unità di classe e con la radicalità di mobilitazioni e di scioperi ad oltranza, conquistando i cuori della società e raccogliendo solidarietà in loro sostegno. Un potere che può scavalcare anche le stesse burocrazie sindacali, costringendole a rincorrere la mobilitazione, alla ricerca di un accordo che possa soddisfare una base compattata dall'esperienza della lotta unitaria.
Quaranta giorni in cui oltre 48.000 lavoratori hanno fatto pagare un conto di profitti perduti alla GM di quasi 3 miliardi di dollari, costringendoli ad andare incontro alla maggior parte delle rivendicazioni e richieste, strappando: un premio di 11.000 dollari a dipendente; due aumenti salariali del 3%, con due erogazioni una tantum del 4% del salario; la rimozione del tetto di partecipazione agli utili (dopo anni in cui l'azienda macinava miliardi sulla pelle di salari al palo e diritti in smantellamento); il mantenimento delle coperture sanitarie ai livelli attuali; l'accordo per la stabilizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori precari e ricattati che abbiano lavorato per almeno tre anni in azienda (sconfiggendo un modello che imponeva ad un settore di lavoratori di rimanere a livelli salariali nettamente più bassi e a non poter godere di benefit, coperture assicurative, diritti sindacali etc.).
I principi su cui si è costruita la mobilitazione sono stati proprio la rivendicazione di una forte redistribuzione a fronte di un'azienda che aumentava il proprio potere nello scacchiere mondiale macinando sempre più utili, ma che annunciava la chiusura di stabilimenti e la cancellazione di posti di lavoro; e il contrasto della divisione del fronte dei lavoratori con una sempre maggior differenziazione delle condizioni di lavoro, salariali e dei diritti e benefit tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, lavoratori a pieno salario e altri a salario crescente, qualificati e forzosamente non qualificati, e così via.
DALL'ESEMPIO DELLA GENERAL MOTORS ALLA BATTAGLIA CONTRO ARCELOR MITTAL
Da questo punto di vista, parlando di un settore strategico per gli USA come quello dell'automobile, non può non venire in mente il contraltare del contesto di attualità italiano, in cui diverse aziende strategiche aggrediscono le condizioni di lavoro e minacciano delocalizzazioni, chiusure, licenziamenti – come nel caso della Whirlpool – o che minacciano di chiudere la baracca dell'industria siderurgica italiana, rilanciando ricatti per ottenere pieni poteri e mani totalmente libere di fare profitti incondizionati sulla pelle dei lavoratori e dei livelli occupazionali, su quella degli abitanti, dell'ambiente e delle condizioni di vita generali. Parliamo ovviamente di Arcelor Mittal e delle acciaierie di Taranto, Novi Ligure, Cornigliano, Racconigi e Marghera – in tutto 10.600 dipendenti – con tutte le inevitabili ricadute sull'enorme indotto, che coinvolge oltre 9.000 dipendenti.
Invece di fare aperture alla linea di cedimento al ricatto, come immediatamente proposto da Landini in supporto alla logica del PD e della nuova creatura di Renzi, Italia Viva, per fornire immunità penale al più grande colosso dell'acciaio mondiale in cambio del mantenimento degli impianti, i cui livelli occupazionali sono già stati ridimensionati, e con operazioni di bonifica fatte con i pochi quattrini sottratti ai Riva.
Invece di inutili piagnistei su accordi ormai divenuti carta straccia, fondati sull'illusione che si possa inchiodare la grande borghesia a pezzi di carta o promesse di politicanti passati.
Invece di mobilitazioni di qualche ora, peraltro spezzettando il fronte dei lavoratori su base geografica e sulla base di singoli impianti produttivi, spesso costruendo rivendicazioni addirittura contrapposte.
Oggi bisogna cogliere proprio l'esperienza e l'esempio dei lavoratori della GM, inchiodare il grande capitale e i governi al loro servizio, nel ridicolo teatrino di slogan urlati e cedimenti nei fatti di ogni parte politica. Inchiodarli con la forza di una mobilitazione unitaria della classe lavoratrice, per lo meno di tutto il settore siderurgico italiano, ponendo in campo la forza compatta e combattiva di chi nei fatti tiene in piedi gli stabilimenti e ne paga anche il maggior scotto della loro nocività.
Una mobilitazione che metta in chiaro come non esistano padroni singoli o loro cordate che possano realmente curarsi degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, dei territori, dell'ambiente e della salute (considerate dal grande capitale esternalità negative da scaricare sulla collettività) contemporaneamente. Una mobilitazione che blocchi il paese fino a che non si assume una soluzione reale, credibile e nell'interesse di lavoro, salute e ambiente.
Il tutto con la consapevolezza che la sola classe lavoratrice può assumere questo impegno, costringendo lo Stato a requisire tutte le proprietà di chi si è arricchito su sangue, sudore, tumori e inquinamento; nazionalizzando senza indennizzo l'Ilva e tutto il settore siderurgico, ponendolo sotto il controllo dei lavoratori e dei loro rappresentanti reali, non delle burocrazie al soldo della controparte.
Per cui, oggi più che mai, è importante che tutta la sinistra di classe, anticapitalista e rivoluzionaria, tutto il sindacalismo combattivo e conflittuale, tutto il mondo delle associazioni e dei movimenti per l'ambiente – Fridays For Future compreso – si uniscano nel rivendicare la difesa di un lavoro a condizioni dignitose, dei livelli occupazionali, della nazionalizzazione del settore siderurgico e di una sua radicale riconversione, accompagnate dalla bonifica di tutte le aree devastate e dalla cura e compensazione dei danni alla salute collettiva. Imponendo il costo di tutto questo ai pochi che, negli anni, si sono garantiti con questo settore profitti, potere e ricchezze. Partendo proprio dall'organizzazione e dal sostegno di uno sciopero generale e prolungato del settore e dall'istituzione di casse di solidarietà e organizzazione di mutuo soccorso per il sostegno degli scioperanti.
Unire le forze per una campagna e una battaglia nell'interesse di quei lavoratori e dei cittadini coinvolti, nella consapevolezza di portare avanti una battaglia per tutta la società e per la collettività.