Ricordiamo la rivoluzione russa con uno dei principali risultati dell'Ottobre: la nascita della Terza Internazionale, l'Internazionale comunista di Lenin e Trotsky. Lo facciamo attraverso l'appello che nel congresso di fondazione (marzo 1919) ne sancì l'atto di nascita, cioè il Manifesto al proletariato di tutto il mondo, scritto da Trotsky, che costituì una delle risoluzioni finali del congresso. L'esperienza russa, riferimento esplicito nel Manifesto, è inserita magistralmente all'interno di una sintetica ma profonda analisi del quadro mondiale, che da esso traeva forza e che a esso rimandava nelle sue prospettive strategiche saldamente internazionaliste e rivoluzionarie.
Sono passati settantadue anni dacché il partito comunista annunciò al mondo il proprio programma sotto forma di un Manifesto scritto dai massimi maestri della rivoluzione proletaria, Karl Marx e Friedrich Engels. Anche a quel tempo il comunismo, che era appena entrato nell'arena della lotta, fu aggredito con irrisione, menzogne, odio, e persecuzione dalle classi possidenti, che giustamente sentivano in esso il proprio nemico mortale. Nel corso di quei settant'anni il comunismo si sviluppò per vie intricate, periodi di precipitose avanzate alternatisi con periodi di declino; ha conosciuto dei successi, ma anche delle dure sconfitte. Tuttavia il movimento procedette essenzialmente sulla via indicata in anticipo dal Manifesto del partito comunista. L'epoca della lotta finale, decisiva, giunse più tardi di qual che gli apostoli della rivoluzione sociale avevano creduto e sperato. Ma ora è giunta. Noi comunisti, rappresentanti del proletariato rivoluzionario di vari paesi d'Europa, America, e Asia, che ci siamo riuniti nella Mosca sovietica, ci sentiamo e ci riteniamo gli eredi e gli esecutori della causa il cui programma fu annunciato 72 anni fa. È nostro compito generalizzare l'esperienza rivoluzionaria della classe operaia, ripulire il movimento dagli inquinamenti disgregatori dell'opportunismo e del socialpatriottismo, mobilitare le forze di tutti i partiti autenticamente rivoluzionari del proletariato mondiale e così facendo facilitare e accelerare la vittoria della rivoluzione comunista in tutto il mondo.
Oggi, mentre l'Europa è coperta di macerie e rovine fumanti, i più infami incendiari sono occupati a scovare i criminali responsabili della guerra. Dietro di loro stanno i loro cattedratici, membri del parlamento, giornalisti, socialpatrioti, e altri ruffiani politici della borghesia.
Per molti anni il socialismo predisse l'inevitabilità della guerra imperialista, vedendone le cause nella cupidigia insaziabile delle classi possidenti dei due maggiori schieramenti, e, in generale, di tutti i paesi capitalisti. Al congresso di Basilea, due anni prima dello scoppio della guerra, dirigenti socialisti responsabili di tutti i paesi bollarono l'imperialismo come autore dell'imminente conflitto, e minacciarono alla borghesia la rivoluzione socialista come vendetta proletaria per i crimini del militarismo. Oggi, dopo l'esperienza degli ultimi cinque anni, dopo che la storia ha messo a nudo le brame predatorie della Germania, e le azioni non meno criminali dell'Intesa, i socialisti di stato dei paesi dell'Intesa continuano insieme con i propri governi ad accusare il deposto Kaiser tedesco. Per giunta, i socialpatrioti tedeschi che nell'agosto 1914 proclamarono che il libro bianco diplomatico degli Hohenzollern era il più sacro vangelo delle genti, ora, come vili leccapiedi, seguono le orme dei socialisti dell'Intesa e denunciano la monarchia tedesca caduta, che un tempo hanno servito in modo abbietto, come il principale criminale. Sperano così di far dimenticare la loro propria colpa e al tempo stesso di meritare la benevolenza dei vincitori. Ma la luce gettata da avvenimenti rivelatori e da rivelazioni diplomatiche smaschera, fianco a fianco, le vacillanti dinastie Romanov, Hohenzollern e Asburgo, le cricche capitaliste dei loro paesi, le classi dominanti di Francia, Inghilterra e Stati Uniti in tutta la loro sconfinata infamia.
La diplomazia inglese non uscì allo scoperto fin proprio al momento in cui scoppiò la guerra. Il governo dei finanzieri ebbe cura di non rilasciare alcuna dichiarazione esplicita della propria intenzione di entrare in guerra al fianco dell'Intesa per non spaventare il governo di Berlino. A Londra volevano la guerra. Ecco perché si comportarono in modo che Berlino e Vienna contassero sulla neutralità dell'Inghilterra, mentre Parigi e Pietrogrado confidavano fermamente sull'intervento dell'Inghilterra.
Maturata per decenni da tutto il corso degli avvenimenti, la guerra fu scatenata grazie alla provocazione diretta e deliberata della Gran Bretagna. Il governo inglese calcolò di offrire alla Russia e alla Francia quel tanto di appoggio da farle procedere finché, trovandosi queste ai limiti della resistenza, anche il nemico mortale dell'Inghilterra, la Germania, fosse paralizzato. Ma la potenza della macchina militare tedesca si rivelò troppo formidabile e non lasciò all'Inghilterra altra scelta che l'immediato intervento in guerra. Il ruolo di tertius gaudens cui la Gran Bretagna, seguendo un'antica tradizione, aspirava, toccò agli Stati Uniti. Il governo di Washington si rassegnò con la massima facilità al blocco inglese, che limitava unilateralmente la speculazione della Borsa valori americana sul sangue europeo, dato che i paesi dell'intesa compensarono la borghesia americana con pingui profitti per le violazioni della "legge internazionale". Ma la schiacciante superiorità militare della Germania costrinse il governo di Washington ad abbandonare la propria fittizia neutralità. Rispetto all'insieme dell'Europa, gli Stati Uniti assunsero il ruolo che aveva assunto l'Inghilterra rispetto al continente in guerre precedenti e che cercò di assumere nell'ultima guerra, vale, a dire: indebolire un campo aiutando l'altro, intervenire nelle operazioni militari solo quel tanto che basti ad assicurarsi tutti i vantaggi della situazione. Rispetto al livello delle speculazioni americane, la puntata di Wilson non era molto alta, ma fu la puntata definitiva, e gli assicurò il premio.
La guerra ha reso consapevole l'umanità delle contraddizioni del sistema capitalistico che si configurano in sofferenze primordiali, fame e freddo, epidemie, crudeltà morali. Questo ha risolto una volta per tutte la controversia accademica all'interno del movimento socialista a proposito della teoria dell'impoverimento e dell'indebolimento progressivo del capitalismo da parte del socialismo. Per decenni studiosi di statistica e pedanti fautori del superamento delle contraddizioni hanno cercato di scovare in ogni angolo del globo fatti veri o presunti che attestino il maggior benessere di vari grippi e categorie della classe operaia. Si suppose che la teoria dell'impoverimento fosse stata sepolta sotto alle irrisioni sprezzanti con cui la bersagliavano gli eunuchi della professoralità borghese e i mandarini dell'opportunismo socialista. Oggigiorno quest'impoverimento, non più solamente di genere sociale, ma anche fisiologico e biologico, ci si pone di fronte in tutta la sua spaventosa realtà.
La catastrofe della guerra imperialista ha spazzato via ogni conquista delle lotte sindacali e parlamentari. Perché questa guerra fu un prodotto delle tendenze insite nel capitalismo tanto quanto lo furono quegli accordi economici e quei compromessi parlamentari che la guerra seppellì nel sangue e nel fango.
Lo stesso capitale finanziario, che fece precipitare l'umanità nell'abisso della guerra, nel corso della guerra subì mutamenti catastrofici. Il rapporto tra carta moneta e base materiale della produzione è completamente spezzato. Perdendo costantemente importanza come tramite e regolatore della circolazione capitalistica dei beni, la carta moneta è divenuta strumento di requisizione, di ladrocinio, di violenza militare-economica in generale. L'assoluto svilimento della carta moneta rispecchia la mortale crisi generale dello scambio capitalistico dei beni. Nei decenni precedenti la guerra, la libera concorrenza, in quanto regolatrice della produzione e della distribuzione, era già stata sostituita nei campi più importanti della vita economica dal sistema dei trust e dei monopoli; ma durante la guerra il corso degli eventi strappò questo ruolo dalle mani di tali associazioni economiche e lo trasferì direttamente al potere statale militare. La distribuzione delle materie prime, l'utilizzazione del petrolio di Baku o romeno, del carbone del Donetz e del frumento ucraino, la sorte delle locomotive, dei vagoni e delle automobili tedesche, l'approvvigionamento di pane e cibo per l'Europa affamata – tutte queste questioni fondamentali della vita economica del mondo non vengono decise dalla libera concorrenza, né dalle associazioni di trust e consorzi nazionali e internazionali, ma dall'esercizio diretto del potere militare negli interessi della propria prolungala conservazione. Se la assoluta soggezione del potere statale al potere del capitale finanziario condusse l'umanità alla carneficina imperialista, in seguito attraverso questo macello di massa il capitale finanziario ha completamente militarizzato non soltanto lo stato ma anche se stesso, e non è più in grado di adempiere alle proprie funzioni economiche primarie altrimenti che per mezzo del sangue e del ferro.
Gli opportunisti, che prima della guerra fecero appello agli operai perché esercitassero la moderazione nell'interesse della transizione graduale al socialismo, e che durante la guerra richiesero la docilità di classe in nome della pace civile e della difesa nazionale, ora chiedono di nuovo l'abnegazione del proletariato per sormontare le terrificanti conseguenze della guerra. Se le masse operaie dovessero dar retta a questa paternale, lo sviluppo capitalista celebrerebbe la propria restaurazione in forme nuove, più intense e più mostruose, sopra le ossa di molte generazioni, con la prospettiva di una nuova e inevitabile guerra mondiale. Fortunatamente per l'umanità ciò non è più possibile.
Il controllo statale della vita economica, cui il liberalismo capitalista si opponeva tanto strenuamente, è diventato una realtà. Non c'è nessuna possibilità di un ritorno alla libera concorrenza, e neppure alla dominazione di trust, gruppi monopolistici, ed altri mostri economici. C'è soltanto un unico problema: d'ora innanzi chi si incaricherà della produzione nazionalizzata – lo stato imperialista o lo stato del proletariato vittorioso?
In altre parole: tutta l'umanità che lavora duramente diventerà schiava di una cricca mondiale vittoriosa che, sotto il nome di Società delle Nazioni e aiutata da un esercito "internazionale" e da una marina "internazionale", qui deprederà e reprimerà e lì getterà le briciole, ovunque incatenando il proletariato con il solo scopo di mantenere il proprio dominio; oppure la classe operaia d'Europa e dei paesi avanzati di altre parti del mondo prenderà in mano essa stessa l'economia disgregata e distrutta per assicurarne la ricostruzione su basi socialiste?
È possibile abbreviare l'attuale epoca di crisi soltanto per mezzo della dittatura del proletariato, che non guarda al passato, che non tiene in considerazione né privilegi ereditari né diritti di proprietà, ma che prende come punto di partenza la necessità di salvare le masse affamate e mobilita a tal fine tutte le forze e le risorse, introduce l'obbligo universale del lavoro, stabilisce il regime della disciplina operaia, non soltanto al fine di risanare nel corso di qualche anno le ferite aperte dalla guerra ma anche al fine di sollevare l'umanità ad altezze nuove e inimmaginate.
Lo stato nazionale, che impartì un possente impulso allo sviluppo capitalistico, é diventato troppo angusto per l'ulteriore sviluppo delle forze produttive. Questo rende ancor più insostenibile la posizione dei piccoli stati circondati dalle maggiori potenze d' Europa e d'altri continenti. Questi piccoli stati, che sorsero a seconda delle volte come frammenti ricavati da altri più grandi, come spiccioli in pagamento di svariati servizi resi o come cuscinetti strategici, hanno dinastie loro proprie, cricche dominanti proprie, pretese imperialistiche proprie, propri intrighi diplomatici. La loro illusoria indipendenza poggiava, prima della guerra, sulle stesse basi su cui poggiava l'equilibrio di potere europeo - l'antagonismo ininterrotto tra i due campi imperialisti. La guerra ha disgregato quest'equilibrio. Dando un'enorme preponderanza alla Germania nelle prime fasi, la guerra costrinse i piccoli stati a cercare salvezza nella magnanimità del militarismo tedesco. Quando la Germania fu sconfitta, la borghesia dei piccoli stati, insieme ai loro "socialisti" patriottici, si accostò agli imperialismi alleati vittoriosi e incominciò a cercare garanzie per il mantenimento della propria esistenza indipendente nelle clausole ipocrite del programma wilsoniano. Nello stesso tempo il numero dei piccoli stati aumentò; dalla monarchia austroungarica, da parti dell'antico impero zarista, sono state ricavate nuove entità statali, che non appena nate balzarono l'una alla gola dell'altra per la questione delle frontiere di stato. Intanto gli imperialisti alleati stanno componendo alleanze di piccole potenze, sia vecchie sia nuove, ad essi legate con la garanzia della loro mutua inimicizia e comune impotenza.
Mentre opprimono e coartano i popoli piccoli e deboli, con ampi ceti intermedi tanto nelle campagne quanto nelle città sono ostacolati dal capitalismo, e sono in ritardo nel proprio sviluppo storico. Al contadino del Baden e della Baviera che non è ancora capace di vedere al di là del campanile della chiesa dei paese, al piccolo produttore di vino francese che viene rovinato dai capitalisti che operano su vasta scala e che adulterano il vino, e al piccolo coltivatore americano derubato e truffato dai banchieri e dai membri del Congresso - a tutti questi ceti sociali, spinti dal capitalismo fuori della corrente principale dello sviluppo, apparentemente si fa appello, in regime di democrazia politica, per dirigere lo stato. Ma in realtà, in tutte le questioni importanti che determinano i destini dei popoli, l'oligarchia finanziaria decide alle spalle della democrazia parlamentare. Ciò fu soprattutto vero per quel che riguardava la guerra; è vero ora per quel che riguarda la pace.
Quando l'oligarchia finanziaria ritiene opportuno avere una copertura parlamentare per i propri atti di violenza, lo stato borghese ha a propria disposizione a questo scopo molteplici strumenti ereditati da secoli di dominio di classe e moltiplicati da tutti i miracoli della tecnologia capitalista - menzogne, demagogia, irrisione, calunnia, corruzione, e terrore.
Esigere dal proletariato che, come un mite agnello, ottemperi alle prescrizioni della democrazia borghese nella lotta finale, per la vita o per la morte, con il capitalismo, è come chiedere ad un uomo che lotta per la propria vita contro dei tagliagole di osservare le regole artefatte e restrittive della lotta francese, redatte ma non osservate dai suoi avversari.
In questo regno della distruzione, dove non soltanto i mezzi di produzione e di scambio ma anche le istituzioni della democrazia politica giacciono sotto rovine insanguinate, il proletariato deve creare il suo proprio apparato, destinato in primo luogo a collegare la classe operaia e ad assicurare la possibilità di un intervento rivoluzionario nello sviluppo futuro dell'umanità. Questo apparato è il soviet degli operai. I vecchi partiti, i vecchi sindacati, hanno dimostrato nelle persone dei propri dirigenti di essere incapaci di condurre a buon fine, persino di comprendere, i compiti indicati dalla nuova epoca. Il proletariato ha creato un nuovo tipo di apparato, che abbraccia l'intera classe operaia indipendentemente dall'occupazione specifica e dalla maturità politica, un apparato flessibile capace di rinnovamento e di estensione continui, capace di attirare nella propria orbita ceti sempre più vasti, aprendo le porte ai lavoratori della città e della campagna che siano vicini al proletariato. Questa organizzazione insostituibile dell'autogoverno della classe operaia, della sua lotta, e poi della sua conquista del potere statale, è stata collaudata nell'esperienza di vari paesi e rappresenta la conquista maggiore e l'arma più potente del proletariato del nostro tempo.
In tutti i paesi in cui le masse si sono risvegliate alla coscienza, continueranno a costituirsi i soviet dei delegati degli operai, soldati, e contadini. Rafforzare i soviet, accrescerne l'autorità, erigerli in contrapposizione all'apparato statale della borghesia - questo è oggi il compito più importante dei lavoratori leali e dotati di coscienza di classe di tutti i paesi. Per mezzo dei soviet la classe operaia può salvarsi dalla disgregazione introdotta nel suo seno dalle orribili sofferenze della guerra e della fame, dalla violenza delle classi possidenti e dal tradimento dei suoi vecchi dirigenti. Per mezzo dei soviet la classe operaia sarà in grado di arrivare con maggiore sicurezza e facilità al potere in tutti quei paesi in cui i soviet sono in grado di raccogliere la maggioranza dei lavoratori. Per mezzo dei soviet la classe operaia, una volta conquistato il potere, dirigerà tutte le sfere della vita economica e culturale, com'è attualmente il caso della Russia.
Il crollo dello stato imperialista, da quello zarista a quello più democratico, va di pari passo col crollo del sistema militare imperialista. Gli eserciti innumerevoli mobilitati dall'imperialismo potevano reggersi soltanto finché il proletariato fosse rimasto obbedientemente sotto il giogo della borghesia. Lo sfacelo dell'unità nazionale significa anche uno sfacelo inevitabile dell'esercito. Questo è quanto accadde prima in Russia, poi in Austria-Ungheria e in Gerso di tutti gli strumenti a propria disposizione per paralizzare l'energia del proletariato, prolungare la crisi, e rendere così anche maggiori le calamità dell'Europa. La lotta contro il centro socialista è la premessa indispensabile per la lotta vittoriosa contro l'imperialismo.
Nel respingere la pavidità, le menzogne e la corruzione degli antiquati partiti socialisti-ufficiali, noi comunisti, uniti nella terza Internazionale, riteniamo di continuare in successione diretta gli sforzi eroici e il martirio di una lunga serie di generazioni rivoluzionarie da Babeuf a Karl Liebknecht a Rosa Luxemburg.
Se la prima Internazionale previde il futuro corso degli eventi e indicò le vie che esso avrebbe seguito, se la seconda Internazionale raccolse e organizzò milioni di proletari, la terza Internazionale, dal canto suo, è l'Internazionale della aperta lotta di massa, l'Internazionale della realizzazione rivoluzionaria, l'Internazionale dell'azione.
L'ordine mondiale borghese è stato fustigato a sufficienza dalla critica socialista. Il compito del Partito comunista internazionale consiste nel rovesciare quell'ordine e nell'erigere al suo posto l'edificio dell'ordine socialista.
Noi facciamo appello ai lavoratori e alle lavoratrici di tutti i paesi perché si uniscano sotto la bandiera comunista sotto cui sono già state ottenute le prime grandi vittorie.
Proletari di tutti i paesi! Nella battaglia contro la ferocia imperialista, contro la monarchia, contro le classi privilegiate, contro lo stato borghese e la proprietà borghese, contro tutti i generi e le forme di oppressione sociale e nazionale: Unitevi!
Sotto la bandiera dei soviet degli operai, sotto la bandiera della lotta rivoluzionaria per il potere e la dittatura del proletariato, sotto la bandiera della terza Internazionale - proletari di tutti i pesi, unitevi!
6 marzo 1919
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