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Economia di guerra? La paghino i padroni

 


No ai sacrifici per l'imperialismo tricolore. Per un piano d'emergenza anticapitalista

Dopo due anni di Covid, l'emergenza guerra. Tutti i governi capitalisti scaricano sulla classe operaia i costi diretti o indiretti della guerra in Ucraina. Il Presidente Draghi in conferenza stampa non esclude per il futuro persino piani di razionamento viveri. Si prepara l'opinione pubblica a possibili “economie di guerra”.

Intendiamoci, “non siamo in guerra”, nel senso che ad oggi tra Russia e NATO non c'è una guerra diretta e dispiegata. La NATO sostiene l'Ucraina per i propri interessi imperialistici, ma non muove la guerra alla Russia (niente no fly zone, come vorrebbe Zelensky). La Russia attacca l'Ucraina per assoggettarla ai propri interessi imperialisti ma non muove guerra alla NATO (niente attacco a Polonia e repubbliche baltiche). La terza guerra mondiale non è affatto già iniziata, e chi lo afferma non sa quello che dice, scambiando una terribile possibilità futura con la realtà presente

Tuttavia fenomeni da economia di guerra stanno compiendo primi passi in più direzioni, anche in Italia. I prezzi del gas, della corrente elettrica, degli idrocarburi, erano già in forte ascesa per l'effetto combinato della ripresa capitalista (aumento della domanda), della strozzatura di forniture e approvvigionamenti, delle speculazioni finanziarie (mercato dei future). La precipitazione della guerra russa all'Ucraina ha moltiplicato tutti questi fenomeni. Tutti i generi di prima necessità conoscono un'inflazione sconosciuta negli ultimi decenni. Il pane è colpito dal crollo dell'importazione di grano da Ucraina e Russia. La produzione agroalimentare è sconvolta dal disinvestimento nella filiera del pomodoro a vantaggio della ben più remunerativa produzione sostitutiva del grano ucraino. Ovunque avanza la ricerca del massimo profitto.

I capitalisti scaricano l'aumento dei costi sul prezzo delle merci, cioè innanzitutto sui salariati. Un ruolo indubbio lo giocano le speculazioni, che persino il ministro Cingolani a denti stretti ha dovuto riconoscere come “scandalo”, salvo poi minimizzare. In realtà la speculazione finanziaria non solo è consentita ma è pratica corrente della società borghese. Se gli operatori finanziari prevedono che gas, petrolio, carbone aumenteranno di prezzo in futuro, si affrettano a comprare quote di gas e petrolio sul mercato finanziario per poi rivenderle e guadagnarci. È quello che sta accadendo. Gas, petrolio, carbone, elettricità promettono affari d'oro, dunque vanno alla grande su questo mercato parallelo, al di là e al di sopra del mondo reale delle merci. Ma sulle merci e sul loro prezzo si scarica anche il costo di quell'operazione speculativa. I capitalisti si arricchiscono, i salariati si impoveriscono.

Naturalmente i capitalisti che si arricchiscono maggiormente sono i produttori di energia elettrica, gas e carburanti. Le loro azioni vanno a ruba e dunque il loro patrimonio si gonfia. Le loro merci sono sempre più care e dunque garantiscono profitti straordinariamente elevati. Poiché si tratta di materie prime che rappresentano un costo anche per i capitalisti delle aziende energivore (a partire dalla siderurgia), Confindustria ha chiesto al governo un intervento a favore delle imprese. Il governo ha subito provveduto stanziando nuovi fondi pubblici come credito d'imposta e garanzia del credito bancario (la banca faccia pure libero credito all'impresa, se l'impresa non paga provvede lo stato a pagare la banca). Fondi che si aggiungono ai 140 miliardi di risorse pubbliche messe a disposizione dei capitalisti nei due anni della pandemia. Risorse pagate dai salariati: o perché messe a carico del debito pubblico che va poi ripagato (coi relativi interessi) o perché finanziate dai tagli sociali.

La cosiddetta tassa sugli extraprofitti sbandierata dal governo è una truffa. La tassa interviene su produttori, distributori, venditori e importatori di energia elettrica, gas, prodotti petroliferi. Ma dura solamente fino a giugno, riguarda solo il 10% dell'extraprofitto realizzato, non vale sotto la soglia di 5 milioni di extraguadagno. Più che la tassa del 10%, è la piena salvaguardia del 90% degli enormi extraprofitti realizzati. Non a caso il vantaggio per i consumatori è minimo: la miseria di 25 centesimi al litro fino al 30 aprile, mentre le imprese avranno uno sgravio del credito d'imposta del 12% sulla bolletta elettrica e del 20% di quella del gas. Un altro ordine di grandezza. Tutto questo a fronte di aziende energetiche che hanno già realizzato nel 2021 profitti d'oro: la sola ENI 4,12 miliardi di profitto netto e dividendi da favola per gli azionisti.

Parallelamente il governo porta la spesa militare al 2% del PIL, che equivale a 38 miliardi annui dai 25 attuali, nel momento stesso in cui la spesa in sanità vedrà una contrazione di 6 miliardi a regime col completamento del famigerato PNRR. Uno scandalo. Ma anche una festa per l'industria militare italiana. Il gruppo Leonardo si è visto riconoscere un ruolo guida nel riarmo continentale, grazie alla triangolazione con imprese francesi e tedesche. Le azioni del gruppo, come le azioni di tutto il complesso industrial-militare su scala mondiale, vedono crescere verticalmente il proprio valore.
Se negli anni della pandemia si sono arricchite le aziende farmaceutiche, gli anni del riarmo e della guerra vedranno la moltiplicazione dei profitti militari. È la legge eterna del capitalismo e dell'imperialismo, di un ordine capovolto della società in cui sofferenza e morte sono fattori di guadagno di pochi a spese dei molti. Non a caso la corsa al riarmo si combina con la riattivazione delle centrali a carbone e delle trivellazioni senza limiti, anche questo nel segno dell'emergenza bellica.

Intanto le sanzioni degli imperialismi occidentali contro l'imperialismo russo moltiplicano le crisi industriali. Le imprese italiane più esposte sul mercato russo (siderurgia, pelletteria, calzaturiero, mobilifici, tessile e moda) annunciano «inevitabili ristrutturazioni» sulla pelle dei propri operai. In parte per mungere nuove risorse pubbliche, in parte con l'obiettivo reale di riorganizzare la produzione, delocalizzare altrove, licenziare. Alcune economie di distretto, tipiche del capitalismo italiano, registrano già una sostanziale paralisi, come nel caso di Fermo. Ed è solo l'inizio.
Se la guerra si prolungherà, chiusure e ristrutturazioni si moltiplicheranno in diversi paesi. Tanto più che le banche mondiali a partire dalla Fed stanno alzando i tassi di interesse, o stanno riducendo gli acquisti di titoli pubblici (BCE), per cercare di contenere l'inflazione e l'abnorme indebitamento mondiale (pubblico e privato), ciò che esporrà la stessa ripresa capitalista a molte incognite.

Di fronte a tutto questo, le burocrazie sindacali non fanno che balbettare, mentre le sinistre riformiste, cosiddette radicali, sanno solo evocare l'intervento «di pace» dell'ONU imperialista o gesti simbolici e innocui.
È necessaria invece una mobilitazione vera del movimento operaio e dell'insieme delle sue organizzazioni che ponga al centro l'interesse dei salariati attorno a una piattaforma di lotta indipendente.

Nel mentre sosteniamo il diritto della resistenza ucraina contro l'imperialismo russo, fuori da ogni logica di puro pacifismo, ci contrapponiamo all'“economia di guerra” dell'imperialismo di casa nostra, che è sempre per noi il nemico principale. La guerra in corso dell'imperialismo russo contro l'Ucraina è parte della contesa tra poli imperialisti per la spartizione delle zone d'influenza nella stessa Europa. Non possono essere i proletari a pagare i costi della lotta tra imperialismi per il controllo del pianeta. Né in Russia né in Ucraina né in Occidente. Se la guerra è scatenata dal capitalismo, siano i capitalisti a pagarne i costi. Ovunque. Se c'è l'emergenza si impongono misure di emergenza, ma contro i capitalisti, non contro i proletari.

- Abolizione del segreto commerciale e controllo operaio sui prezzi.

- Blocco delle tariffe di gas, luce, benzina.

- Ripristino della scala mobile dei salari.

- Patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco, per finanziare un piano di riconversione energetica fondato sulle energie rinnovabili.

- Nessun licenziamento per ragioni di guerra: le aziende che licenziano siano nazionalizzate sotto il controllo dei lavoratori.

- Requisizione integrale dei sovraprofitti realizzati dalle grandi aziende energetiche e loro investimento nella protezione ambientale. Nazionalizzazione senza indennizzo di tali aziende, a partire da ENI, sotto il controllo dei lavoratori.

- Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle grandi aziende del complesso industrial-militare, a partire dal gruppo Leonardo.



Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può realizzare queste misure.

IL NEMICO PRINCIPALE È IN CASA NOSTRA!

Partito Comunista dei Lavoratori