Per una mobilitazione generale contro il carovita
Il governo Draghi è di fronte a un nuovo tornante. Sul piano politico e su quello economico.
Le elezioni amministrative fotografano la precarietà del quadro politico su cui il governo si appoggia. L'onda populista che ha attraversato la prima metà della legislatura – prima nel segno del M5S poi della Lega – è rifluita, ma la ricomposizione di un quadro bipolare è lontana.
Il centrodestra conserva un blocco sociale tendenzialmente egemone, ma la sua rappresentanza politica vede un conflitto irrisolto tra Lega e Fratelli d'Italia: FdI capitalizza elettoralmente la crisi del salvinismo ma la sua leadership non è riconosciuta, ed anzi è oggetto di un'azione di contrasto senza risparmio di colpi all'interno della sua stessa coalizione.
Sull'altro versante il PD consolida la propria rendita di posizione di partito di sistema, ma il disegno del “campo largo”, caro al suo segretario, si confronta con la crisi verticale del M5S. Una crisi totale: di riconoscibilità politica, di consenso elettorale, di catena interna di comando, lungo la linea di confine di una possibile esplosione/frantumazione.
I cantieri del bipolarismo portano la scritta “lavori in corso”. Ma la scritta ha dieci anni di vita, e i lavori non prefigurano un esito. Mentre al “centro”, luogo immaginario della politologia borghese, si affollano liste e partiti personali (Renzi, Calenda), che oscillano tra ambizioni autocentrate, incursioni piratesche e pressioni negoziali sui partiti maggiori delle due coalizioni.
In questo quadro la legge elettorale vigente (cosiddetta Rosatellum) sopravvive grazie all'assenza di una maggioranza in grado di cambiarla in senso proporzionale, ma si riduce a camicia di forza di un sistema politico imploso. L'approssimarsi delle elezioni politiche, tanto più a fronte dell'avvenuta riduzione del numero dei parlamentari, agirà come ulteriore agente dissolvente su ogni lato del quadro politico.
Il paradosso è che il governo di semi-unità nazionale è esposto agli effetti della crisi di partiti chiave della sua maggioranza (Lega e M5S) e al tempo stesso si regge su questa crisi. Mentre il quadro internazionale, economico e politico, riduce verticalmente lo spazio di manovra dell'esecutivo.
Il ritorno dell'inflazione, acuito dalla guerra, cambia la rotta delle banche centrali, alza ovunque i tassi di interesse, riduce gli spazi di manovra dei bilanci pubblici. La sospensione per un altro anno del Patto di stabilità continentale offre un margine a Draghi. Ma è un margine sottile, a fronte di una BCE che oltre ad alzare i tassi, riduce l'acquisto dei titoli pubblici, con le relative ricadute sul mercato finanziario.
Ai lavoratori e alle lavoratrici, coi salari falcidiati dal carovita, il governo ha dato la miseria di 200 euro una tantum, cioè il nulla, finanziato da un prelievo irrisorio sugli extraprofitti giganteschi dei monopoli energetici, “non potendo usare la leva del bilancio” (Draghi).
Nuove difficoltà emergono nello stesso rapporto con Confindustria. Confindustria teme come la peste una rincorsa di rivendicazioni salariali, oggi emergente nella vicina Francia. Per questo chiede al governo un taglio di 16 miliardi di cuneo fiscale: un modo per mettere al riparo i profitti scaricando gli oneri sul bilancio pubblico, cioè di fatto sui lavoratori. Ma il governo nella nuova situazione non può fare scostamenti di bilancio per finanziare l'operazione, dovendo già trovare nuovi miliardi per l'industria bellica tricolore, reperire i miliardi da girare ai padroni dell'automotive coinvolti nella riconversione produttiva, sostenere i capitalisti della siderurgia colpiti dal rincaro delle materie prime, sorreggere le imprese esportatrici esposte sul mercato russo e coinvolte nelle sanzioni, regalare ai padroni edili gli effetti dorati degli incentivi fiscali ormai fuori controllo (60 miliardi)...
Di fronte alla stretta, Draghi cerca l'intesa con Macron attorno alla richiesta di un ulteriore indebitamento pubblico europeo che possa finanziare le nuove spese in energia e difesa, senza dover ricorrere al bilancio nazionale. Una nuova operazione di Recovery Fund, totalmente a debito, in cui la UE si indebita sul mercato finanziario mondiale per girare il ricavato ai capitalisti del continente e scaricare il nuovo debito sui salariati del continente. Ma la Germania non pare interessata all'operazione. Il suo bilancio nazionale le consente di investire 100 miliardi nel proprio riarmo. E la Bundesbank preme semmai per ripristinare in tempi brevi il patto europeo sulle politiche di bilancio, anzi chiede si ponga un tetto ai titoli pubblici detenibili dalle banche europee, ciò che costringerebbe i banchieri italiani a disfarsi dei titoli di Stato eccedenti, con l'effetto di un nuovo rialzo dei tassi.
La risultante di tutto questo sarà un nuovo giro di vite contro i lavoratori e le lavoratrici. Riforma penalizzante delle pensioni, nuove restrizioni sul reddito di cittadinanza, austerità di spesa su sanità, istruzione, lavoro, sono i capitoli annunciati della prossima legge di stabilità, nel nome della nuova emergenza e della guerra.
Contro l'economia di guerra e la nuova annunciata austerità è necessaria una mobilitazione generale vera del movimento operaio.
No al riarmo. Blocco delle tariffe. Controllo operaio sui prezzi. Reintroduzione della scala mobile dei salari. Requisizione integrale dei 40 miliardi di sovraprofitti dei monopoli energetici e loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio. Una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per finanziare sanità, istruzione, opere sociali di utilità pubblica, riconversione energetica e risanamento ambientale.
Sono le prime voci di una piattaforma generale di lotta che unisca milioni di salariati. Il momento è ora. La borghesia è forte solo della debolezza dell'opposizione e del servilismo delle burocrazie sindacali. Un'azione di mobilitazione vera precipiterebbe tutte le sue contraddizioni e potrebbe aprire dal basso uno scenario nuovo. L'alternativa è un nuovo piano inclinato verso il basso.