1 Ottobre 2024
L'industria dell'auto è investita da una crisi di fondo in tutta Europa. La recessione tedesca, i costi della transizione all'elettrico, la concorrenza capitalistica della Cina sul mercato europeo dell'auto elettrica sono tre fattori tra loro combinati che si abbattono sul vecchio continente.
Il passaggio programmato dall'auto endotermica all'auto elettrica entro il 2035, reso necessario dalla drammatica crisi climatica, riduce l'importo della componentistica lungo l'intera filiera. O si ripartisce fra tutti i salariati il lavoro che c'è con una riduzione progressiva dell'orario di lavoro a parità di paga, o la riconversione si abbatterà sui salariati con la distruzione concentrata dei posti di lavoro. L'annuncio della prossima chiusura di uno stabilimento della Volkswagen in Germania è solo la punta emergente di un grande iceberg che investirà la lotta di classe nell'industria automobilistica in tutta la prossima fase.
I capitalisti europei non reggono la concorrenza cinese. Gli stati borghesi dell'Unione Europea non hanno i margini di manovra necessari nei propri bilanci nazionali per sostenere i costi della riconversione. Il ricorso al debito pubblico è minato dal ritorno del patto di stabilità, con le relative restrizioni di bilancio. Il ricorso a un nuovo indebitamento continentale, fortemente richiesto di Mario Draghi, si scontra con l'indisponibilità del capitalismo tedesco a farsi carico degli indebitamenti mediterranei.
La concorrenza mondiale nella riduzione delle tasse per i capitalisti mina la capacità fiscale degli stati, mentre la corsa generale dei paesi UE all'incremento delle spese militari, sospinta dalle contraddizioni interimperialistiche su scala mondiale, complica ulteriormente la questione delle risorse. In poche parole, i novecento miliardi annui aggiuntivi che Draghi considera necessari per l'unione dei capitalismi europei per sostenere la loro transizione ecologica e digitale, e insieme il salto della loro potenza militare, paiono oggi al di fuori della costituzione materiale della UE.
In Italia la crisi dell'auto si inscrive in una lunga parabola. Negli ultimi diciassette anni la produzione di FIAT, poi FCA e Stellantis, si è ridotta di quasi il 70%, da 911000 alle 300000 stimate quest'anno. Delle 505000 auto vendute in Italia, meno della metà è stata prodotta in Italia. La promessa di Stellantis di aumentare la produzione nel paese si è rivelata, una volta di più, una truffa: un modo di battere cassa per incassare incentivi a tutela degli azionisti.
In ogni paese i capitalisti dell'auto battono cassa presso i governi nel nome della “tutela del lavoro” nel momento stesso in cui gestiscono delocalizzazioni e programmano chiusure. Tavares implora un “piano Marshall” per la transizione all'elettrico attraverso la formazione di un fondo europeo per l'automobile, nella speranza di offrire ai propri azionisti una ragione valida per confermarlo amministrazione delegato. In realtà si prepara a gestire lo scontro sociale contro i propri salariati.
Nel frattempo le società partecipate dalla holding della famiglia Agnelli-Elkann celebrano un utile record per il primo semestre del 2024: quasi 15 miliardi di euro. È il frutto dei successi di borsa delle azioni del gruppo sui molteplici fronti del proprio investimento finanziario: dal settore del tech alla sanità privata. La furibonda guerra interna alla famiglia Agnelli per la spartizione dell'eredità non ha ostacolato dunque il comune incasso degli utili finanziari.
La natura parassitaria del capitalismo trova una conferma tanto più clamorosa nel quadro della crisi dell'auto. La lotta per l'esproprio della borghesia e per la proprietà pubblica sotto controllo operaio delle leve della produzione non è solo l'unica via di una transizione ecologica rispettosa degli operai e del loro lavoro. È anche una misura elementare di igiene morale. Porteremo questa verità nel prossimo sciopero sindacale di tutto il settore auto e componentistica del 18 ottobre.