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Cosa accade in Nicaragua

Marxismo e campismo a confronto

31 Luglio 2018
La dinamica politica del Nicaragua ripropone l'esigenza di un'analisi marxista contro ogni lettura impressionistica, sia essa genericamente democratica, sia essa all'opposto di natura campista.

Chi presenta la vicenda nicaraguense come aggressione imperialista a un governo progressista dovrebbe fare i conti con la realtà.
Il Nicaragua sandinista non è Cuba, che ancora si regge nonostante tutto su rapporti di produzione socialisti (nonostante la natura burocratica del suo regime politico e la prospettiva di restaurazione del capitalismo). Ma non è neppure equivalente al Venezuela di Chavez e Maduro, che pur tutelando la proprietà borghese e pagando il debito estero all'imperialismo, è in qualche modo politicamente indipendente da quest'ultimo. Il regime di Daniel Ortega e Rosaria Murillo, già al suo terzo mandato consecutivo, ha governato per undici anni come garante diretto dell'imperialismo in Nicaragua; ha regalato al capitale straniero le risorse naturali del paese; ha sviluppato il progetto del canale transoceanico, direttamente dettato dal grande capitale, con effetti devastanti sulla condizione di ampi settori contadini e sulle comunità indigene; ha favorito la concentrazione della proprietà terriera; ha promosso privatizzazioni nella (modesta) industria, nei servizi, nel terziario; ha applicato le ricette del FMI in fatto di politiche di bilancio per pagare regolarmente il debito estero; ha precarizzato il lavoro e bloccato i salari.

La lunga stabilità politica del Nicaragua negli ultimi lustri - fatto eccezionale in Centro America - è stata al servizio di questa politica.


DANIEL ORTEGA AL SERVIZIO DEL FMI 

Tutto questo è talmente vero che il fatto scatenante della protesta popolare degli ultimi mesi è stata proprio l'applicazione dell'ennesima ricetta economica del FMI.

Il 17 aprile il governo Ortega varava per decreto l'aumento dei contributi di lavoratori e imprese al fondo pensionistico, assieme ad un taglio sulle pensioni. Si trattava di applicare le disposizioni del FMI sulle politiche finanziarie per mettere "in stabilità" il sistema pensionistico: le stesse misure lacrime e sangue oggi in corso in Brasile ed Argentina, e già sperimentate in forme diverse in tutto il mondo capitalista. Ma questa volta la classica goccia ha fatto traboccare il vaso. La reazione sociale è stata vasta, nelle strade e nelle piazze di tutte le principali città nicaraguensi a partire da Managua. Ha coinvolto una massa popolare multiforme, composta da popolazione povera, disoccupati, settori declassati della piccola borghesia, larga parte della gioventù studentesca. La classe operaia non ha fatto ancora irruzione diretta sulla scena. Il suo ingresso nella lotta può essere decisivo nel bilanciamento delle forze e nel segnare la dinamica della mobilitazione. In ogni caso, la mobilitazione popolare ha avuto già un impatto talmente dirompente da costringere Ortega a revocare il decreto, nella speranza di disinnescare la protesta.

Ma la revoca del decreto non ha posto termine alle proteste. La protesta sociale, incoraggiata dal primo risultato raggiunto, si è rapidamente intrecciata con la protesta politica democratica contro il regime. La repressione del governo ha ulteriormente saldato i due elementi. La repressione è stata brutale ed è in pieno corso. Ha utilizzato non solo le forze regolari di polizia ma l'apparato paramilitare delle milizie sandiniste. Quattrocento morti nelle piazze, migliaia di feriti, centinaia di desaparecidos. Assediato nel proprio bunker, Daniel Ortega si è rivelato disposto a tutto pur di preservare il potere. Un potere sempre più familista, raccolto attorno ad una cerchia cortigiana di fedelissimi, inviso ormai a parte significativa dello stesso FLSN.


IL DISEGNO DELLE DESTRE E DELLA CHIESA 

Questo scenario esplosivo ha innescato il riposizionamento politico di diversi attori, a partire dalla Confindustria nicaraguense.

La COSEP (Consiglio Superiore dell'Impresa Privata) aveva sostenuto attivamente e a lungo il governo Ortega, perché il FSLN garantiva alle politiche confindustriali una base sociale d'appoggio sicuramente invidiabile. Ma nel momento della frattura tra regime e masse, perché arrischiare le proprie fortune per legarsi alle incerte sorti di Ortega? Meglio provvedere sin che si è in tempo ad una soluzione politica alternativa - la più indolore possibile - che tuteli i propri interessi. Da qui la nuova saldatura tra COSEP e lo schieramento politico della destra (Alleanza Civica per la Giustizia e la Democrazia) nella richiesta di elezioni politiche anticipate. Mentre la gerarchia ecclesiastica, con la benedizione di Papa Francesco, rivendica un "dialogo nazionale” per la pace (...tra le classi) che possa regalarle il ruolo di regista.

In realtà la ricerca di una soluzione negoziata o di un ricambio politico perseguono in forme diverse lo stesso obiettivo: prevenire e disinnescare una precipitazione rivoluzionaria della crisi politica e sociale che possa aprire il varco ad un'alternativa di classe. Garantire la continuità del potere dei capitalisti, degli agrari, del capitale finanziario, dall'urto destabilizzante di una insurrezione popolare.
Non è un caso se la destra sventola la sola bandiera “democratica”, senza toccare i temi sociali della mobilitazione.


PER UNA SOLUZIONE CLASSISTA, ANTICAPITALISTA, SOCIALISTA 

Si tratta allora di battersi per la prospettiva esattamente opposta.

Via le leggi di precarizzazione del lavoro, abolizione del latifondo e ripartizione della terra, rifiuto del pagamento del debito estero e suo annullamento, cancellazione di tutte le misure imposte dal FMI (a partire da pensioni, sanità, istruzione), rifiuto del Canale transoceanico imposto dalle potenze imperialiste, esproprio del capitale finanziario, nazionalizzazione del commercio con l'estero e dell'industria estrattiva, controllo generale dei lavoratori sulla produzione. Questa è l'unica via che possa dare alla mobilitazione popolare una prospettiva di alternativa vera: classista, anticapitalista, socialista. È la prospettiva di un governo dei lavoratori e dei contadini poveri, il solo governo che possa realizzare queste misure di rottura.

La popolazione povera del Nicaragua ha una tradizione rivoluzionaria alle proprie spalle.
Lo sciopero generale di 28 giorni consecutivi nel 1978 fu decisivo per innescare il rovesciamento della dittatura di Anastasio Somoza nell'anno successivo. La direzione nazionalista del FSLN - che il grosso del centrismo internazionale, inclusi i “trotskisti” del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale, salutò allora come “bolscevica” - contenne in realtà la spinta di massa dentro i limiti di una economia mista rispettosa della borghesia nazionale, rifiutando apertamente la via cubana (col consenso pubblico di Fidel Castro). Così facendo si espose prima alla controrivoluzione reazionaria della Contras sostenuta dagli USA e da Israele, poi a un lungo logoramento, infine alla caduta (1990) a vantaggio delle forze imperialiste.

Nel nuovo quadro internazionale post '89, segnato dal crollo dello stalinismo e dal riflusso/involuzione degli stessi movimenti nazionalprogressisti, il FSLN ha rifondato col tempo la propria natura per trasformarsi in un normale partito borghese con influenza di massa che si candida a gestire l'alternanza di governo in Nicaragua, dentro il quadro della subordinazione all'imperialismo e a garanzia di quest'ultimo. Così, dopo quasi mezzo secolo, il Daniel Ortega “rivoluzionario” nazionalista del 1979 è divenuto il Daniel Ortega Bonaparte che impugna il crocifisso reprimendo il popolo nel sangue. Lo stesso popolo che nel 1979 lo portò al potere. L'alternativa di prospettiva storica tra rivoluzione socialista o reazione capitalista (e imperialista) ha dunque trovato anche in Nicaragua la propria conferma. Di questo ci parla il trasformismo sandinista, smentendo clamorosamente ogni illusione, vecchia e nuova.

Ma ogni popolo conserva la memoria delle proprie esperienze, seppur in forma confusa e frammentaria. Così la popolazione povera Nicaraguense. Se nel 1979 insorse contro Somoza, oggi può insorgere contro Ortega. Ma come insegna anche l'esperienza del '79, non è sufficiente il rovesciamento di un dittatore se poi si preserva il potere della borghesia. “Rifare il '79”, sollevarsi contro il nuovo regime, ma per rompere una volta per tutte, a differenza di allora, con la borghesia nazionale e con l'imperialismo: questa può e deve essere la parola d'ordine dei marxisti rivoluzionari in Nicaragua.

Lavorare ad estendere la mobilitazione popolare, a partire dal rifiuto delle ricette del FMI; rivendicare la libertà dei prigionieri politici e piene libertà democratiche; promuovere e organizzare l'irruzione in campo della classe lavoratrice, e delle sue autonome rivendicazioni; sviluppare, coordinare, centralizzare i comitati di autodifesa popolare contro la repressione; portare nella mobilitazione di massa il programma di un'alternativa di sistema, fuori e contro l'operazione truffa delle destre: questa è la via per onorare il sangue dei caduti e riscattare la memoria di quaranta anni fa.
Partito Comunista dei Lavoratori