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Algeria, tra rivoluzione e inganno

Il passo indietro del Presidente algerino Bouteflika segna un passaggio cruciale dello scontro apertosi in Algeria. L'autentica sollevazione popolare levatasi contro il potere ha bruciato la quinta candidatura di Bouteflika alla presidenza della Repubblica. Le elezioni presidenziali, previste per il 18 aprile, sono state annullate e rinviate a data da destinarsi. Il primo ministro Ouyahia, odiato dalle masse non meno di Bouteflika, ha dovuto lasciare il proprio incarico. Sono gli effetti di una mobilitazione di massa di proporzioni enormi.

Ma il potere non si rassegna a sgombrare il campo. Il rinvio sine die delle elezioni presidenziali significa paradossalmente la continuità del quarto mandato di Bouteflika. Il nuovo primo ministro, Noureddine Bedoui, appartiene alla stessa scuderia di Ouyahia. La “conferenza nazionale aperta ed inclusiva” chiamata a convocare nuove elezioni e a definire un progetto di nuova Costituzione sarebbe di fatto controllata dal vecchio clan presidenziale, senza alcuna garanzia democratica. Nei fatti il clan presidenziale cerca di guadagnare tempo e di nascondere sotto mutate spoglie la permanenza in carica del vecchio regime.
Questo è il nodo di fondo.


LA SOLLEVAZIONE POPOLARE 

La mobilitazione di massa ha assunto nelle ultime settimane proporzioni enormi. È impossibile comprendere i fatti d'Algeria senza partire da questo dato. Le manifestazioni del 22 febbraio coinvolsero 800.000 algerini. Le manifestazioni dell'8 marzo hanno mobilitato più di due milioni di manifestanti. In ogni città e nei centri minori la massa popolare si è riversata nelle strade attorno ad una precisa parola d'ordine: “Via Boutef”. Gli studenti e le donne sono stati la colonna vertebrale della mobilitazione. Attorno ad essi i disoccupati, i piccoli commercianti, le professioni liberali, gli intellettuali, le associazioni dei vecchi combattenti dell'indipendenza algerina. Nel tentativo di bloccare la dinamica di allargamento della protesta, il governo aveva decretato vacanze straordinarie nelle scuole e nelle università, ma la mossa è stata talmente spudorata da contribuire alla radicalizzazione ulteriore delle masse. Questa radicalizzazione ha finito col trascinare con sé i lavoratori salariati, in un primo momento passivi. Nell'ultima settimana sono scesi in sciopero operai e impiegati delle grandi aziende energetiche Sonatrach e Sonelgaz, delle telecomunicazioni, dei metrò, delle poste, degli hotel. Il sindacato di regime vicino al potere, Unione Nazionale dei Lavoratori Algerini, è stato contestato da significativi settori dei suoi stessi iscritti, che hanno chiesto le dimissioni del suo presidente Sidi-Saïd. L'ingresso sulla scena della classe lavoratrice ha certo moltiplicato l'impatto sociale e politico della lotta, mettendo il regime con le spalle al muro.


SI INCRINA L'UNITÀ INTERNA AL REGIME 

La sollevazione ha incrinato l'unità interna al regime. La soluzione repressiva inizialmente promossa dal primo ministro Ouyahia si è rivelata presto impraticabile. I gesti di solidarietà intercorsi tra manifestanti e poliziotti hanno allarmato le gerarchie militari, inducendole a un cambio di passo. È il capo dell'esercito, non a caso, ad aver salutato l'unità tra le forze armate e il popolo, sconfessando la politica di Ouyahia e spingendolo di fatto al ritiro. Ed è la gerarchia militare che oggi si intesta l'apertura istituzionale alle “domande del popolo” e l'accantonamento del quinto mandato di Bouteflika. Ma la matrice militare dell'operazione è anche la chiave di lettura del suo vero significato. La gerarchia militare è il bastione dello Stato algerino. La sua centralità è il portato della lunga guerra contro il panislamismo stragista degli anni '90. La ramificazione dei suoi interessi, diretti o indiretti, pervade l'insieme dell'economia algerina e della vita pubblica del paese. Se la gerarchia militare oggi mima l'apertura al popolo, accantonando nell'immediato uno scontro frontale ingestibile, è solo per salvare in altra forma la continuità del proprio potere, e con esso l'intreccio con gli interessi dell'imperialismo, innanzitutto francese ma non solo. Lo straordinario silenzio delle diplomazie imperialiste - a partire da Macron - sugli avvenimenti algerini nasce da qui. L'imperialismo trattiene il fiato per non sbagliare mossa. Non può benedire Bouteflika perché sospingerebbe così facendo la rivolta stessa e la sua radicalizzazione antimperialista. Ma nello stesso tempo non può sconfessarlo, perché non saprebbe (ancora) con chi rimpiazzarlo, e perché Bouteflika è il custode tradizionale dei suoi affari (e segreti). I comandi militari cercano così di occupare il vuoto presentandosi agli ambienti imperialisti come garanti dell'ordine e al popolo come garanti della democrazia. Mentre la Confindustria algerina, che ha già scaricato Bouteflika, punta le proprie carte su Lakhdar Brahimi, inviato dell'ONU per la crisi libica: un cambio di cavallo in piena corsa pur di restare in sella.

Vedremo se l'operazione maquillage riuscirà nel suo intento. Vedremo se l'ascesa algerina assumerà il carattere di rivoluzione o se ripiegherà. Di certo la storia delle rivoluzioni arabe ripropone la necessità di una direzione cosciente contro ogni illusione sulla dinamica spontanea degli avvenimenti.


L'UNICA SOLUZIONE È RIVOLUZIONARIA 

La parola d'ordine immediata è il rifiuto della soluzione truffaldina offerta. Le masse non si sono mobilitate contro il quinto mandato di Bouteflika per prolungare a tempo indefinito il suo quarto mandato, ma per cacciarlo. Ogni soluzione cosmetica è un inganno. Nessuna conferenza nazionale apparecchiata dal vecchio regime può rispondere alla domanda di svolta che il movimento di massa ha espresso. Alla conferenza nazionale apparecchiata da Bouteflika va contrapposta la parola d'ordine di una vera assemblea costituente.

A sua volta, non si può confinare la sollevazione algerina in un ambito esclusivamente democratico. Nel rivendicare la cacciata di Bouteflika le masse non hanno chiesto solamente la fine di corruzione, privilegi, dispotismo. Hanno chiesto anche un cambio radicale della propria condizione sociale, di lavoro e di vita. Non si può realizzare questo cambio senza rompere con l'imperialismo e con la borghesia nazionale ad esso asservita, senza nazionalizzare le banche, senza abolire il debito pubblico verso il capitale finanziario e recuperare il controllo delle risorse del paese. Misure che solo un governo operaio e popolare può realizzare.

È questa l'unica soluzione che può dare garanzie reali alle stesse rivendicazioni democratiche delle masse. Nessuna fiducia può essere posta nelle gerarchie militari e nelle loro finzioni sceniche. Il generale al-Sisi si presentò in Egitto come garante del popolo e della democrazia, salvo poi rinverdire il vecchio regime di Mubarak. I liberali progressisti che inizialmente lo sostennero, o lo coprirono, sono finiti in galera. È un esperienza che non si può rimuovere. La classe lavoratrice algerina, i giovani, le donne, i protagonisti di queste settimane straordinarie, possono fidarsi unicamente della propria forza e della propria capacità di organizzarla. L'autorganizzazione democratica e di massa della classe lavoratrice e delle masse oppresse è la condizione decisiva per condurre in avanti tutte le loro rivendicazioni, democratiche e sociali.
Partito Comunista dei Lavoratori