La comunità LGBTQIA+ sta lentamente ottenendo la visibilità che merita dopo secoli di invisibilità. Negli ultimi decenni i movimenti per i diritti civili stanno conquistando sempre più terreno e il numero delle conquiste e delle rivendicazioni cresce di anno in anno. La pandemia da Covid-19 ha segnato un brusco arresto di questo processo mettendo in luce le contraddizioni del sistema esistente, le aporie del movimento LGBTQIA+ e mostrando la fragilità di gran parte dei risultati ottenuti fino ad ora. In Italia, il più arretrato dei paesi dell’Europa Occidentale sulla questione, la situazione dopo un intero anno di emergenza sembra essersi ulteriormente aggravata. Basta dare uno sguardo a qualche dato ufficiale per notare la gravità della situazione.
Nel 2020 ILGA Europe (International Lesbian and Gay Association Europe, NdA) segnala 138 crimini dettati da odio omobitransfobico avvenuti in Italia tra cui alcuni omicidi. Dato inquietante e purtroppo parziale visto che la maggior parte degli atti violenti e discriminatori avviene lontano dagli occhi e dalle orecchie di eventuali testimoni (soprattutto in ambiente domestico) e che la maggior parte delle vittime di violenza o discriminazione non denuncia i fatti alle associazioni LGBTQIA+ e tantomeno alle autorità (i dati OSCAD disponibili per il 2019 riportano 107 casi, nello stesso anno ILGA Europe ne segnalava ben 187!).
Soltanto nel periodo compreso tra febbraio e oggi sono state segnalate (soprattutto dalle associazioni LGBTQIA+ o dalle vittime stesse) almeno sette casi tra aggressioni fisiche, aggressioni verbali e altri atti determinati da odio omobitransfobico. La lista effettiva dei casi avvenuti dall’inizio dell’anno è probabilmente più lunga.
Passando velocemente in rassegna i fatti ci troviamo davanti un quadro desolante.
Il 31 gennaio a Inverigo (Como) un gruppo di quindici ragazzi prende di mira un ragazzo omosessuale prima insultandolo e poi cercando di colpirlo a sassate.
Il 26 febbraio alla stazione di Valle Aurelia a Roma l’attivista di GayNet Jean Pierre Moreno, omosessuale e rifugiato LGBT di origine nicaraguense, e Alfredo Zenobio sono stati prima insultati e poi aggrediti fisicamente da un uomo dopo essersi baciati sulla banchina. Fortunatamente l’attivista ha saputo reagire prontamente, difendendo se stesso e il partner e costringendo l’aggressore a dileguarsi. Il video dell’attacco, girato da un amico della coppia, è diventato virale e ha destato anche l’attenzione della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha espresso una inaspettata quanto ipocrita condanna dell’aggressione omofoba.
Il 2 marzo a Brugherio (Monza e Brianza) l’auto di Danilo Tota, organizzatore di eventi dichiaratamente omosessuale, viene ricoperta di sputi da un gruppo di ragazzi che poco prima aveva insultato ripetutamente il proprietario con epiteti omofobi.
Il 14 marzo in un parco di Vicenza si consuma un vero e proprio atto di squadrismo omofobico. Il giovanissimo Andrea Casuscelli, studente medio e promessa del pattinaggio artistico nazionale, viene adescato da un coetaneo su Instagram e finisce vittima di un pestaggio (dodici contro uno) che fortunatamente non ha avuto conseguenze gravi.
Il 18 marzo a Catania un controllo di polizia nei confronti di una sex worker trans di origine ecuadoregna diventa una mattanza con fermi arbitrari e manganellate (anche tra i passanti e gli abitanti del quartiere) oltre alla perquisizione non autorizzata in casa della sex worker durante la quale la madre di lei è oggetto di botte, minacce e insulti da parte degli agenti. La sex worker, che portava segni di percosse in viso e sul corpo, è stata condannata all’obbligo di firma in direttissima per oltraggio, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Le associazioni locali denunciano la più completa sospensione dei diritti democratici e la totale gratuità e inutilità della violenza poliziesca. Ovviamente la versione dei fatti narrata dalle vittime e dai testimoni è stata prontamente negata dal segretario provinciale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia (SIAP) e dai rappresentanti locali del Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia (COISP) che parlano invece di agenti aggrediti dalla sex worker e da sua madre (come risulterebbe nel rapporto dell’operazione) e della necessità del pugno duro per scongiurare una situazione di pericolo per i colleghi.
Il 24 marzo in un parco di Voghera (Pavia) una giovane coppia lesbica viene aggredita verbalmente da una coppia di genitori per un bacio a stampo scambiato a poca distanza dall’area giochi del parco. La prontezza di spirito delle ragazze riesce rapidamente ad indurre gli aggressori a ripiegare. Il 26 marzo ad Asti * youtuber e influencer Cruella viene aggredit* verbalmente, mentre siede sull’altalena di un parco, da un uomo che * apostrofa violentemente e * costringe ad allontanarsi dall’area accampando come scusa la presenza di alcuni bambini. Più di qualcuno ha giustificato l’azione dell’uomo perché, citando testualmente uno dei tanti commenti sui social, “le altalene sono solo per i bambini”.
Nella notte tra il 27 e il 28 marzo l’automobile di un ragazzo omosessuale di Perugia è stata danneggiata da ignoti che hanno rigato le fiancate del mezzo e inciso la frase “sono gay” sul cofano.
Come se non bastasse in molte città, già dall’estate 2020, vengono proposte mozioni contro l’approvazione del DDL Zan – già approvato dalla Camera dei Deputati il 4 novembre 2020 con 265 favorevoli e 193 contrari; mossa preventiva messa in campo da Lega-FdI-FI contro una legge che rappresenta un ben misero avanzamento nella tutela e nel riconoscimento delle persone discriminate a causa del loro orientamento sessuale e della loro identità ed espressione di genere. Tra le città che hanno approvato tali mozioni troviamo Pisa, Crotone, Potenza, Monfalcone (EDR di Gorizia) e Ladispoli (Roma Capitale). In questo campo la regione più attiva sembra essere il Veneto: Verona è stata tra le prime ad approvare la mozione e ad oggi nella regione sono molti i comuni e le città ad aderire all’iniziativa reazionaria (ultimi in ordine cronologico Bassano del Grappa nel vicentino e Fontaniva nel padovano). Nel frattempo la proposta di legge (definita “liberticida” dai suoi oppositori) subisce l’ostruzionismo del senatore Andrea Ostellari (Lega), presidente della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, che la ritiene “divisiva” ed è arrivato a proporre come possibile relatore il “compagno” di partito Simone Pillon, noto omofobo e misogino. Le dichiarazioni di Ostellari hanno causato un acceso scontro mediatico tra le forze politiche e sociali favorevoli all’approvazione della legge e le altre forze in seno al governo.
Tutto questo accade negli stessi giorni (notizia del 16 marzo) in cui una certa fetta del movimento LGBTQIA+ (e anche del movimento femminista) giubila perché Amazon ha rimosso dalla sua offerta tutti i libri che descrivono la condizione delle persone trans come patologica. Questa notizia è arrivata ad eclissare in parte l’annuncio del primo sciopero nazionale di Amazon, lanciato dai sindacati confederali, contro le condizioni di lavoro servili e le nuove richieste dell’azienda del miliardario Bezos e di Assoespressi per il rinnovo del CCNL della logistica.
Niente di sorprendente, purtroppo. Da un lato il capitalismo affonda le sue radici nel pieno dominio dei corpi – per fini produttivi e riproduttivi – e utilizza a questo scopo mezzi patriarcali, eteronormativi e binari che – apparsi contemporaneamente con la proprietà privata – avevano permesso di stabilire come uniche forme “naturali” il dominio del maschile sul femminile e la famiglia come unità sociale e produttiva minima con la “logica” conseguenza di elevare al grado di dogma il binarismo di genere e l’eterosessualità. Ciò comporta un controllo serrato nei riguardi della sessualità dei soggetti e legittima la negazione e la repressione di ogni soggettività non conforme al modello prestabilito.
Questo conduce ad un’unica ovvia conclusione. L’omo-lesbo-bi-transfobia, la misoginia, il sessismo, l’abilismo, la xenofobia e il razzismo non sono – come sostiene qualcuno – errori, sbavature o note stonate, causate da improvvise ricadute nell’inciviltà e nell’ignoranza, all’interno della perfetta partitura del capitalismo e dello stato di diritto liberale. Sono, invece, la più chiara ed elementare conseguenza di un sistema di relazioni sociali basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sullo sfruttamento di esseri umani e risorse, ovvero una delle caratteristiche strutturali del capitalismo.
La repressione dell’alterità può assumere forme molteplici come ci raccontano gli esempi tratti dalla cronaca. Tutte sono correlate con l’attuale sistema di sfruttamento e con le sue componenti culturali ed educative. La società capitalista ed eteropatriarcale ha praticamente naturalizzato costruzioni sociali e culturali astratte conformi alle necessità del pensiero e del potere borghese dando loro una materialità granitica e una valenza univoca e universalistica sulla base della quale ogni soggetto viene educato e abituato ad intendere l’attuale sistema delle oppressioni di classe e di genere come “normale” e moralmente “giusto”. Tra le conseguenze di questa egemonia vi è il compimento e la giustificazione di atti repressivi individuali o collettivi contro coloro che vengono percepiti o agiscono come “fuori norma”. La diffusione di idee propriamente dette reazionarie – cioè che accettano, introiettano e condividono l’odierno sistema di dominio e oppressione e sono disposti ad agire per difenderlo e sostenerlo – soprattutto tra le soggettività oppresse è una delle armi più potenti (ed imprevedibili) a disposizione della borghesia per conservare il potere. Nei fatti il sistema capitalista ed eteropatriarcale è sempre il mandante unico e il principale protettore de* autor* di queste azioni anche quando, per mezzo delle sue istituzioni, se ne dissocia o punisce le condotte ritenute “eccessive”, cioè quelle che rischiano di compromettere l’equilibrio delle forze in campo causando la rottura dello status quo precedente ai fatti.
Dall’altro lato il capitalismo stesso riconosce la necessità di preservare condizioni favorevoli alla propria sopravvivenza e riesce a vedere il potenziale economico che può derivare dalla normalizzazione e dal recupero di istanze progressive o di movimenti ed individui precedentemente esclusi e oppressi dalle logiche di mercato e perciò potenzialmente pericolosi. L’emergere, a seguito di lunghi cicli di lotte, di numerose soggettività fino a prima completamente emarginate per motivi razziali, sessuali e omobitransfobici ha portato allo sviluppo di precise agende istituzionali atte a ricondurre – con la collaborazione di determinati settori dei movimenti – alla completa compatibilità tra le richieste delle soggettività in ascesa e il regime classista e borghese.
Ma non è necessario essere de* marxist* rivoluzionar* per notare che le condizioni di vita delle minoranze oppresse non possono realmente cambiare attraverso il dibattimento parlamentare, l’inclusività delle istituzioni (le stesse che poi arrestano, picchiano, minacciano e uccidono ad ogni piè sospinto), il cosiddetto “empowerment” de* lavorator* nelle aziende private e qualche moderata e parziale concessione di diritti (quali possono essere, per rimanere in Italia, il DDL Cirinnà o il DDL Zan).
Infatti noi ci manteniamo equamente lontani dalle pericolose sirene del riformismo e del liberalismo - che tentano di mantenere un’aura di rispettabilità con vuote promesse e piccole riforme dell’assetto giuridico mentre sono complici e artefici dello sfruttamento e dell’impoverimento che colpisce equamente tutt* * sfruttat*. Ovviamente con questo non intendiamo sposare la tesi – tanto amata in alcuni partiti e movimenti sedicenti comunisti e marxisti – di una contrapposizione tra diritti civili e diritti sociali, dell’inconciliabilità tra una sinistra “fucsia” o “arcobaleno” e una “vera” sinistra fatta di operai maschi, bianchi e eterosessuali. Pertanto rigettiamo l’ipocrisia riduzionistica dello stalinismo che dimostra su questi temi la propria natura controrivoluzionaria con una purezza a dir poco cristallina.
Siamo ben consapevoli di come le lotte per l’acquisizione di diritti democratici (siano essi sociali o civili non è discriminante) siano momenti fondamentali per l’avanzamento del livello di consapevolezza delle soggettività sfruttate ed oppresse, ma esse non devono essere il fine ultimo, bensì una fase intermedia utile ad ottenere maggiore visibilità e maggiore concentrazione attorno alle parole d’ordine della rivoluzione sociale e della liberazione di tali soggettività.
Questo non perché riteniamo esista una sola ed unica forma d’oppressione uguale per tutt* * oppress* in ogni angolo del mondo, in ogni epoca e in ogni cultura. Siamo assolutamente consapevoli della natura molteplice, intersecante e differenziata delle forme d’oppressione e della loro tendenza ad evolversi nel corso del tempo e a cambiare nello spazio. Però, correndo il rischio di ripetere quanto abbiamo già detto in precedenza, riconosciamo la natura singolare della causa delle varie forme d’oppressione, ovvero il modo in cui esse sono state foggiate nel processo di sfruttamento e divisione storica del lavoro salariato per ottenere plusvalore. Questo non significa appunto ridurre tutto al “classismo” negando l’importanza (o l’esistenza) di altre forme d’oppressione, ma prendere atto del fatto che - in una società fondata sull’accumulo di capitale e sulla divisione in classi – la questione di classe è inevitabilmente centrale e svolge un ruolo niente affatto trascurabile nelle battaglie per i diritti civili.
L’ingresso sulla scena sociale di larghe fette di popolazione prima invisibili ha portato anche alla nascita di fenomeni di marketing – per ricollegarci al nostro tema intendiamo pinkwashing e rainbow washing – attraverso i quali il mercato trasforma le nuove soggettività entrate in scena in pletore di nuov* sfruttat* e di nuov* consumator* potenziali, spesso appropriandosi di parole d’ordine progressive o di atti dichiaratamente ribelli per farne innocui slogan pubblicitari o semplici prodotti. In anni recenti, in tutto il mondo, il fenomeno ha assunto una rilevanza molto ampia ottenendo anche l’attenzione del mondo accademico e causando frizioni all’interno dei movimenti LGBTQIA+ e femminista (e anche negli universi variegati dell’antirazzismo e dell’ambientalismo) tra coloro che guardano favorevolmente a tali iniziative in quanto cenni di progresso (“per i liberali la libertà è in ultima analisi la stessa cosa che il mercato”, per citare Trotsky) e coloro che, con la giusta dose di disincanto, denunciano l’incoerenza e l’insignificanza di tali iniziative, smascherandone la natura esclusivamente consumistica e mettendo in luce come molte delle aziende impegnate in queste manovre siano anche le prime in fatto di sfruttamento, repressione sindacale, sospensione dei diritti de* lavorator* e spesso anche in discriminazione (!), inquinamento e estrattivismo (con buona pace delle dichiarazioni dei loro uffici di pubbliche relazioni, dei loro agenti pubblicitari e dei governi da cui ricevono supporto).
Ad oggi, purtroppo, non è ancora giunto il momento di fare un bilancio definitivo di questo periodo straordinario e risulta molto difficile delineare con chiarezza gli scenari che affronteremo nei prossimi mesi. Non possiamo esimerci dall’esporre comunque la necessità di sostenere con tutti i mezzi a nostra disposizione la comunità e il movimento LGBTQIA+ nelle sue lotte coerentemente con il nostro impegno anticapitalista e rivoluzionario. Dobbiamo altresì contribuire a portare ad un nuovo livello la conflittualità del movimento stesso contribuendo a riportare al suo interno la centralità delle istanze anticapitaliste e anticlericali, spingendo per la fine dei compromessi con la borghesia e i suoi partiti (come il PD) e di una nuova unità tra tutti i movimenti per i diritti civili e il movimento operaio. Solo così, infatti, è possibile arrivare all’unica vera forma di liberazione da ogni tipo di oppressione e sfruttamento, cioè quella che passa per l’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione del governo de* lavorator* e di tutt* * oppress*.