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Assassinio sionista

 


L'omicidio di Abu Akleh conferma la natura criminale del sionismo

13 Maggio 2022

Le cariche della polizia israeliana contro un corteo funebre rappresentano non solo la firma dell'autore dell'orrendo crimine, ma anche l'inumanità totale di uno Stato assassino

L'assassinio di Abu Akleh, conosciutissima giornalista di Al Jazeera, è un nuovo crimine odioso dello Stato sionista.
Un assassinio mirato, con un colpo alla testa tirato da un cecchino, secondo un manuale consumato, tipico delle forze militari di occupazione israeliane. È stato il modo di sbarazzarsi di una giornalista scomoda, testimone da troppo tempo dei crimini sionisti, indisponibile a farsi comprare o a tacere. Anche la pretesa del governo israeliano di addossare la responsabilità ai palestinesi rientra nella tradizione, la tradizione della menzogna più spudorata e infame. Le cariche della polizia contro il corteo che accompagnava il feretro della giornalista assassinata, le manganellate alla schiena di chi portava la bara, rappresentano non solo la firma dell'assassinio, ma anche l'inumanità totale dello Stato assassino.

L'annuncio di un'indagine indipendente sul delitto da parte degli imperialismi amici di Israele vuole placare lo sdegno palestinese con un impegno di carta. Ma non vi sarà alcuna indagine indipendente da parte di chi protegge ogni giorno lo Stato sionista e la sua occupazione della Palestina. Uno Stato che peraltro ha mostrato nella sua storia di ignorare ogni legge pur di affermare il proprio arbitrio. Anche la richiesta da parte di Abu Mazen di un intervento della Corte Penale Internazionale trasuda di ipocrisia lontano un miglio. L'Autorità palestinese collabora quotidianamente con lo Stato occupante e con l'amministrazione del suo “ordine”. Non a caso il governo israeliano ha richiamato all'ordine Abu Mazen con parole umilianti, ricordandogli il patto di complicità.

Ciò che avviene ogni giorno nella terra di Palestina conferma una volta di più che che non vi può essere alcuna soluzione reale della questione palestinese fuori dal rovesciamento dello Stato sionista. La “democrazia del Medio Oriente”, come la presentano gli imperialisti, altro non è che uno Stato confessionale fondato giuridicamente sull'apartheid e recintato dalla propria potenza militare.
La liberazione della Palestina è impossibile senza il diritto al ritorno nella propria terra dei palestinesi. E il diritto al ritorno implica la dissoluzione, per via rivoluzionaria, dello Stato sionista, attraverso l'incontro della sollevazione palestinese con una più generale ribellione della nazione araba e dei settori antisionisti della popolazione ebraica: per una repubblica socialista di Palestina, indipendente e laica, rispettosa dei diritti della minoranza ebraica, parte della federazione socialista araba e del Medio Oriente.

Questa è l'unica prospettiva storica di liberazione per il popolo palestinese. Terribilmente difficile, ma l'unica reale. Ogni altra “soluzione”, ogni rimando alla diplomazia imperialista, all'ONU, a improbabili conferenze di pace tra lo Stato d'Israele e i palestinesi, è solo un inganno, come dimostrano più di settant'anni di storia. Un inganno che perpetua l'oppressione e i suoi crimini.

Partito Comunista dei Lavoratori