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Il gambero allunga il passo

Doveva essere il “non arretriamo di un millimetro”, “non cambieremo di una virgola”, “me ne frego delle letterine di Bruxelles”. È accaduto l'opposto. Il governo giallobruno è arretrato di 7 miliardi, rivedendo al ribasso le sue elemosine sociali, già dimezzate rispetto alle promesse elettorali. Vedremo nei prossimi giorni il formato definitivo della manovra, ma le prime anticipazioni sono inequivocabili.

Legge Fornero? Resta. La stessa quota 100, già limitata dal rigido paletto dei 38 anni, si riduce a una finestra sperimentale di tre anni, con dilazione dei tempi di accesso per pubblici e privati, rinvio di pagamento del TFR, divieto di cumulo con altri lavori, e ovviamente riduzione degli assegni. Poi (forse), dal 2023, 41 anni per tutti, quando il 65% dei pensionati andrà col misto (contributivo e retributivo) e il montante pensionistico ridurrà ulteriormente la pensione. Risultato? La libertà di scelta è in larga misura una finzione. Centinaia di migliaia di lavoratori saranno costretti a pensioni da fame o a continuare il lavoro. Sino a quando? Sino ai 67 anni, naturalmente, l'età prevista dalla legge Fornero, che infatti rimane intatta. Ed anzi aumenterà col meccanismo intatto dell'aspettativa di vita. Altro che abolizione della Fornero! Salvini e Di Maio vogliono salvare la faccia con la “concessione della libertà di scelta”, ma la legge è congegnata in modo tale da restringere il più possibile la platea dei beneficiari per spingerli a continuare a lavorare. L'obiettivo paradossale di Salvini e Di Maio, che dovevano “abolire la Fornero”, è spingere più lavoratori possibile ad andare in pensione proprio con la Fornero. Perché? Per risparmiare, e così continuare a pagare il debito pubblico, ridurre le tasse ai padroni, incentivare le imprese..

“Mai più sacrifici!”, “Se l'Europa ci chiede altri sacrifici sulla pelle degli italiani, diciamo di no ed è un no definitivo”. Chiacchiere. Il governo reintroduce il blocco dell'indicizzazione delle pensioni voluto da Monti. Sopra i 1.530 euro lordi, sostanzialmente 1.000 euro netti, la pensione non sarà più indicizzata, se non parzialmente, al costo della vita. E pensare che proprio dal 1 gennaio 2019 avrebbe dovuto ritornare il vecchio sistema pre-Monti. Invece no. Il governo giallobruno ritorna quatto quatto sulle orme dell'odiato governo Monti-Fornero. Perché? Perché lo chiede l'Europa capitalista e con essa le banche italiane, rigonfie di titoli pubblici, che chiedono garanzie ai “debitori”. Cioè ai lavoratori, alle lavoratrici, ai pensionati. Il governo giallobruno ha semplicemente rassicurato gli strozzini con una tosatura delle pensioni, come tanti governi del passato.

Identico voltafaccia sui beni pubblici.
Ricordate gli annunci solenni dopo il crollo del ponte Morandi? “Mai più i beni pubblici ai prenditori privati!”, “lo Stato prenda il controllo dei beni pubblici a tutela dei cittadini”, “nazionalizzeremo le migliaia di concessionari privati”... Accade l'opposto. Il governo giallobruno annuncia per il solo 2019 18 miliardi di privatizzazioni, che salgono poi su pressione della UE a 20 miliardi. Oltretutto in un solo anno! La più grande privatizzazione di beni pubblici mai effettuata in Italia dal 1997-'98 (governo Prodi). Il più grande regalo a quei “prenditori”, a partire dai Benetton, che venivano fustigati a parole nelle pubbliche piazze. E tutto questo perché? Per continuare a pagare il debito alle banche e gli sgravi contributivi alla imprese. Proprio le banche e le imprese che allungheranno le mani sui cosiddetti beni pubblici dei cittadini.

Doveva essere la manovra del popolo contro l'Europa delle banche. Invece è la manovra concordata con le banche, a vantaggio delle banche, contro il popolo. Più precisamente contro i lavoratori e le lavoratrici, e cioè contro la maggioranza della società. Di Maio e Salvini recitano il trionfo per provare a mascherare la propria truffa. Ma i cerchi non si fanno quadrati. E quando i lavoratori ne prenderanno coscienza, per il governo suonerà la campana. Accade in Ungheria, potrà accadere in Italia.
19 dicembre 2018
Partito Comunista dei Lavoratori