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Il sovranismo di Salvini e quello dei capitalisti

Il sovranismo nazionalista è, come noto, un carburante ideologico del salvinismo, unito al richiamo all'ordine e alle tradizioni religiose. Ma il sovranismo di Salvini è solo una maschera della subordinazione al profitto, non meno di quanto lo sia l'europeismo di Zingaretti o Calenda. La prova sta nei fatti.

Caso FCA (Fiat), Renault, Nissan.
Nella lotta furiosa sul mercato mondiale dell'auto, i grandi azionisti FCA puntano al colpo grosso. La fusione con Renault (che di suo detiene il 43% di Nissan, ed è da questi partecipata) offre a FCA il mercato asiatico e apre a Renault il mercato americano. Nascerebbe il terzo costruttore di automobili al mondo. Inoltre la parità di quote al 50% con Renault prevede un nuovo dividendo agli azionisti Fiat di 2,5 miliardi, che si aggiunge agli oltre 5 miliardi di dividendo già distribuiti negli ultimi due mesi. Una cuccagna. Lo spiacevole dettaglio è la minaccia di un taglio ulteriore di posti di lavoro negli stabilimenti italiani –Mirafiori e Pomigliano in primis – per via delle sovrapposizioni con Renault. Cosa dichiara il sovranista nazionalista Salvini? Che la fusione tra FCA e Renault è benedetta, e se richiesta, «una presenza istituzionale italiana sarebbe assolutamente doverosa». Tradotto: se gli azionisti FCA lo chiedono, il governo italiano è disposto a sostenere l'affare coi francesi mettendoci soldi pubblici italiani. Soccorso pubblico al profitto privato pagato dal lavoro. Dove sono finite le battaglie patriottiche contro Parigi nel nome “prima gli italiani”? Nel nulla. Gli italiani che “vengono prima” sono gli azionisti della dinastia Agnelli.

Caso Unicredit/Commerzbank, la possibile fusione di due grandi banche europee.
Nella competizione mondiale continentale, i processi di concentrazione del capitale finanziario sono all'ordine del giorno. Il governo tedesco aveva puntato alla fusione tra Commerzbank e Deutschebank, le due principali banche nazionali, ma i sindacati tedeschi hanno contestato il taglio previsto di 30.000 dipendenti e l'affare è stato bloccato. Ora con Commerzbank ci prova Unicredit, assieme a Banca Intesa la principale banca italiana, grande acquirente di titoli di stato tricolori. L'affare è ghiotto: la fusione con la banca tedesca consentirebbe al nuovo colosso bancario, e dunque ai grandi azionisti Unicredit, di allargare enormemente la propria proiezione nell'Est europeo. Ma c'è un dettaglio: il baricentro della fusione sarebbe tedesco, i posti di lavoro a rischio italiani. Cosa dichiara il sovranista nazionalista Salvini? Che l'operazione è benedetta: “Ben vengano accordi finanziari che fanno bene all'Italia”. Ma l'Italia cui fanno bene è quella dei grandi banchieri. Del resto può la Lega di Salvini e Zaia mettersi di traverso agli interessi del capitale del Nord, così intrecciato col mercato tedesco?

Caso ENI, vicenda Descalzi, partita libica.
L'ENI è la più grande azienda italiana, la prima in assoluto nel continente africano, la più proiettata sul mercato mondiale. Il suo manager Claudio Descalzi è imputato di corruzione internazionale, per essersi procurato a suon di mazzette giacimenti petroliferi in Nigeria e altre utilità. Ed è solo la punta dell'iceberg del lavoro sporco condotto da tutte grandi aziende in terra d'Africa (e non solo), in funzione di quella politica di spoliazione e saccheggio che è tanta parte dei flussi migratori verso l'Europa. Eppure su ENI tutto tace, Descalzi è onorato in ogni salotto, l'intera politica borghese è chinata a suoi piedi. Quella liberal-progressista che tradizionalmente ha rappresentato l'azienda, ma anche quella italico-sovranista, da Salvini a Meloni ai Cinque Stelle. Quella che lucra politicamente sui barconi tace sul saccheggio che li sospinge. Anzi benedice l'azienda ENI come fiore all'occhiello degli interessi tricolori contro la Total e gli interessi francesi. Di più: gli stessi Salvini, Meloni, Di Maio che sbraitano contro l'islam a difesa della cristianità non si fanno scrupolo di sostenere in Libia le forze islamiche schierate con al-Sarraj perché così chiedono gli interessi dell'ENI in Tripolitania. Il profitto non ha credo religioso. Come non l'hanno peraltro in cuor loro i cinici parvenu che governano oggi l'Italia.
Colpisce che la sinistra italiana, ammorbata dall'europeismo borghese o dal sovranismo “di sinistra”, sia del tutto incapace anche solo di denunciare l'ipocrisia del nazionalismo salviniano lasciandogli campo libero tra i lavoratori. Per parte nostra la posizione è chiara: la risposta al sovranismo dei capitalisti è l'unità di lotta dei lavoratori necessaria a cacciarli. In ogni paese, su scala europea, su scala mondiale.
3 giugno 2019
Partito Comunista dei Lavoratori