Il patto fra Trump e Netanyahu rilancia il massacro di Gaza
La tregua è finita. Lo stato sionista ha rilanciato la propria guerra sterminatrice contro il popolo di Gaza.
L'attacco notturno a sorpresa ha fatto strage di centinaia di palestinesi, uomini, donne, bambini. Un nuovo grande lago di sangue in un paese già martoriato e distrutto. Donald Trump, preventivamente informato dell'attacco, ha dato la piena copertura e sostegno: i bombardamenti americani contro gli houthi erano in preparazione dei bombardamenti israeliani sulla Striscia.
Netanyahu ha attribuito ad Hamas la responsabilità della ripresa della guerra. Ma è, come sempre, una spudorata menzogna. La verità è che il governo israeliano si regge sullo stato di guerra e sulla complicità americana. Il piano di deportazione di due milioni di palestinesi di Gaza, annunciato da Trump a fine febbraio, ha fornito a Netanyahu l'ennesima riprova dell'affidabilità USA. Il famigerato video (fake) del brindisi fra Trump e Netanyahu a bordo piscina, sulle rovine di Gaza, non è stato solamente coreografia d'immagine rivoltante, ma anche la registrazione fedele della loro cinica intesa. Un'intesa che va al di là del Medio Oriente. Il voto congiunto all'ONU tra USA e Israele contro la denuncia dell'invasione russa in Ucraina (e contro la richiesta del ritiro delle truppe russe di occupazione) misura il patto di ferro tra il governo sionista e il nuovo corso dell'amministrazione americana sul terreno della politica mondiale. La vendetta repressiva di Trump nelle università USA contro gli attivisti pro Palestina è anche un riflesso di questo patto.
Netanyahu fa leva sull'appoggio di Trump per perseguire il disegno della “grande Israele”. La guerra genocida a Gaza, la colonizzazione sionista della Cisgiordania (sempre più estesa e violenta), l'espansione israeliana in Siria a partire dalla alture del Golan, sono tasselli di questo disegno. L'obiettivo è una nuova espulsione dei palestinesi dalla loro terra, una seconda Nakba.
Trump vorrebbe nuovi Accordi di Abramo, estesi all'Arabia Saudita, a garanzia dello stato sionista. Ma la paura di una ribellione di massa, nel nome della Palestina, frena sinora i governi arabi, e intralcia i piani dell'imperialismo. Di certo lo spettro della rivoluzione araba resta un fattore di primo piano dello scenario mediorientale.
I fatti si incaricano di dimostrare una volta di più che non può esservi pace tra colonizzati e colonizzatori, tra il popolo palestinese e lo stato d'Israele. Persino le tregue, inevitabilmente, si rivelano di cartapesta.
Solo l'incontro fra l'eroica resistenza palestinese e una grande rivoluzione araba potrà liberare la Palestina dall'oppressione congiunta del sionismo e dell'imperialismo, e consentire la piena autodeterminazione del popolo palestinese.