Gli inganni dell'europeismo imperialista nel nuovo quadro mondiale. Per una Europa socialista, quale unica vera alternativa
La svolta in corso delle relazioni mondiali pone gli imperialismi europei di fronte a una nuova sfida. Se l'imperialismo USA apre all'imperialismo russo, rompendo l'asse tradizionale transatlantico, gli imperialismi europei devono provvedere in forme nuove alle proprie necessità militari. È il senso dell'appello al “riarmo” dell'Europa pronunciato con tono solenne dalla Presidente della Commissione UE.
L'espressione “riarmo”, in sé, è ridicola. Gli imperialismi europei sono tutt'altro che “disarmati”.
I tempi del disinvestimento nella spesa militare, successivi al crollo del Muro di Berlino, sono ormai lontani. I bilanci militari degli stati europei sono in espansione da almeno un decennio. La soglia del 2% del PIL per le spese della difesa è stato indicato da tempo dall'imperialismo USA come traguardo minimo per tutti i paesi della NATO. E tutti i paesi della NATO, sotto qualsivoglia governo, si sono mossi in questa direzione. La guerra russa in Ucraina a partire dal 2022 ha naturalmente costituito un fattore di accelerazione.
LA SVOLTA DI TRUMP, UN NUOVO BANCO DI PROVA PER GLI IMPERIALISMI EUROPEI
Tuttavia la svolta di Trump pone oggi l'esigenza di un salto qualitativo. Non si tratta più di rimpinguare gli arsenali militari per compensare gli “aiuti” forniti a Zelensky. Si tratta di rispondere all'annuncio di un disimpegno americano dal fronte europeo. È un annuncio ancora indeterminato nella sua portata quantitativa, nel suo riflesso strategico sulle relazioni interne alla NATO, nelle sue conseguenze di prospettiva sulla stessa tenuta dell'Alleanza Atlantica. E tuttavia è chiarissima la nuova direzione di marcia. Donald Trump ha dichiarato che l'imperialismo USA vuole ridimensionare la propria presenza in Europa per concentrarsi sul confronto strategico con la Cina. Per questo apre all'imperialismo russo. Per questo cerca di separare la Russia dalla Cina, offrendogli in cambio non solo l'Ucraina ma un ruolo globale nella spartizione del mondo. Esattamente il ruolo cui Putin aspira.
Gli imperialismi europei avevano messo nel conto il fatto che una nuova amministrazione Trump avrebbe creato problemi sul terreno delle relazioni con l'Europa. Ma non si attendevano una svolta tanto radicale e tanto rapida.
Da tempo il capitalismo europeo viveva una propria emarginazione di ruolo nella concorrenza politica e di mercato tra la vecchia potenza americana e la nuova potenza cinese. Ma la copertura militare americana appariva scontata. Per assicurarsi la continuità di tale copertura, gli imperialismi europei hanno osservato la disciplina della NATO e la sua direzione americana in tutte le scelte di fondo, a volte anche al di là dei propri specifici interessi, o obtorto collo: nelle guerre d'invasione cosiddette umanitarie (Afghanistan, Iraq), nell'indirizzo dei bilanci militari, nel posizionamento politico di fondo sui diversi scacchieri dello scenario mondiale. Incassando come contropartita il proprio coinvolgimento, fosse pure di seconda linea, nella politica imperialistica dell'Occidente. E soprattutto una rendita di posizione geostrategica nel rapporto di forza con le nuove potenze imperialiste (Cina, Russia).
LA REAZIONE PANICA DELLE CANCELLERIE EUROPEE
Ora tutto sembra precipitare, con una drammatica accelerazione. Da qui la reazione panica delle cancellerie europee e la loro affannosa corsa al “riarmo”. Non si tratta della scelta della terza guerra mondiale da parte dell'Unione Europea, come dicono gli sciocchi di diversa osservanza, di fatto alla coda di Putin e/o di Trump e delle rispettive propagande. Si tratta della ricostruzione di una deterrenza militare dell'imperialismo europeo nella nuova stagione del militarismo mondiale.
Le relazioni imperialiste si basano sui rapporti di forza. E i rapporti di forza non sono solo economici e finanziari, ma anche militari.
La forza militare degli imperialismi europei, su scala globale, è stata sinora garantita dalla NATO. Solamente dalla NATO? No. Ogni stato nazionale imperialista dispone di un proprio specifico peso, in rapporto alle proprie dotazioni militari, alla loro esperienza e tradizione, alla loro sperimentazione sul campo. La dotazione nucleare di Francia e Gran Bretagna, ad esempio, concorre a misurare il loro status nella politica internazionale, anche all'interno del vecchio continente. E non a caso tutti gli imperialismi europei, Italia in testa, si contendono le rispettive aree di influenza (Balcani, Nord Africa, Africa subsahariana e Medio Oriente) anche e innanzitutto irrobustendo le proprie tecnologie militari.
E tuttavia è stata l'appartenenza alla NATO, e con essa la protezione americana, la garanzia di ultima istanza degli imperialismi europei. E ora? Se gli USA vanno via, che ne sarà dei baltici? La spartizione annunciata dell'Ucraina tra USA e Russia innescherà l'effetto domino di una più ampia spartizione nell'Est Europeo? Queste, ed altre, sono le preoccupazioni dei piani alti della borghesia europea e dei loro stati maggiori.
“CARNIVORI E VEGETARIANI”. AMBIZIONI E LIMITI DELL'EUROPEISMO IMPERIALISTA
“In un mondo di carnivori non possiamo fare i vegetariani” ha ripetutamente affermato Mario Draghi. Dal punto di vista imperialista è una considerazione fondata. Se le grandi potenze si candidano alla spartizione del mondo in ragione innanzitutto della propria forza militare, non vi è futuro per gli imperialismi europei senza la ricostruzione di una propria potenza in armi. E una potenza in armi si accompagna, a sua volta, alla suggestione di una unificazione dell'Europa.
L'unica vera risposta alla svolta di Trump passa per lo sviluppo dell'Unione Europea in direzione di uno stato federale, affermano in coro in queste ore le mille voci dell'europeismo borghese. C'è però uno spiacevole dettaglio: la soluzione federale è incompatibile con la natura nazionale dei diversi imperialismi europei, nelle loro diverse radici, tradizioni, aree di influenza, competizione di interessi. I loro stessi apparati militari si contendono furiosamente commesse e spazi di mercato, gli uni contro gli altri armati. La Francia è europeista solo se si tratta di una Europa a trazione francese (e nucleare). La Germania non vuole subordinarsi alla Francia, e punta sempre più apertamente a un grande rilancio militare in proprio. L'Italia lustra i gioielli della propria industria bellica (Leonardo, Fincantieri) spesso in cordata con la Gran Bretagna, compete con la Germania per l'egemonia sui Balcani, e vuole capitalizzare lo sfaldamento dell'influenza della Francia in Africa (piano Mattei). Come possono questi diversi interessi comporsi sotto un unico tetto?
800 MILIARDI IN ARMAMENTI. CHI PAGA E CHI INCASSA. LA CONTRADDIZIONE TRA I DIVERSI INTERESSI NAZIONALI
Il progetto di riarmo di Von Der Leyen riflette nel suo stesso impianto la divaricazione dei diversi interessi nazionali. La Germania si è opposta a un ulteriore ricorso all'indebitamento europeo per finanziare le nuove spese militari. Gli (scandalosi) 800 miliardi in armamenti che sono stati evocati sono in larga misura affidati ai diversi bilanci nazionali (per la cifra di 650 miliardi in quattro anni). È vero che le spese nazionali in armi vengono svincolate dal Patto di stabilità (a differenza delle spese in sanità o in istruzione!), e possono accrescersi dell' 1,5% del PIL. Ma... «c'è il rischio di accentuare le differenze tra i Paesi membri che hanno spazio di manovra e quelli che sono già molto indebitati» osserva il quotidiano della nostra Confindustria (5 marzo). Preoccupato che l'Italia resti indietro rispetto agli altri concorrenti europei, anche in fatto di armamenti. In compenso, Von Der Leyen garantisce ai governi della UE la possibilità di convertire in spese militari... i “fondi europei di coesione sociale” destinati alle aree svantaggiate e depresse del continente. Come dire che il Mezzogiorno italiano pagherà le nuove spese in armi del governo Meloni-Crosetto.
La verità è che dentro il quadro capitalista l'unificazione europea sarà o impossibile o reazionaria. Così scriveva Lenin nel 1915, durante la Grande Guerra. E aveva ragione. L'attuale scenario europeo è emblematico. Da un lato, i diversi imperialismi della UE non possono creare uno stato federale paneuropeo, avviluppati come sono nelle loro insuperabili contraddizioni nazionali, tanto più a fronte dell'ascesa al loro interno delle (peggiori) forze sovraniste. Dall'altro lato, tutti i progetti europeisti, sulla attuali basi capitaliste, comportano lo sviluppo del militarismo imperialista, a spese dei lavoratori, delle lavoratrici, di tutti gli sfruttati.
L'INGANNO DELL'EUROPEISMO LIBERALE. LA SUBALTERNITÀ DELLE SINISTRE RIFORMISTE
L'idea di una Europa “autonoma dagli USA”, e per questo “potenza di pace”, ricorre frequentemente nella retorica progressista delle sinistre riformiste. Ma si tratta di un capovolgimento ideologico della realtà. Una Europa capitalista autonoma dagli USA può essere solo una potenza in armi. Non meno armata, ma più armata. Una potenza “carnivora” tra potenze “carnivore”. Una potenza che lotta contro altre potenze per la spartizione del pianeta.
Il mondo multipolare quale garanzia di pace è una ingenua illusione o una consapevole mistificazione. È proprio la moltiplicazione dei poli imperialisti, in lotta tra loro per la spartizione del mondo, ad accrescere la spinta verso la guerra. Il riarmo dell'Europa, quale replica al disimpegno di Trump, è solo un ulteriore rafforzamento di questa linea di tendenza internazionale. La prenotazione di un altro posto a tavola nella suddivisione del pianeta.
I “progetti segreti” di riconversione militare dell'industria automobilistica italiana, rivelati dal Corriere della Sera (1 marzo), sono al riguardo eloquenti circa l'attuale tendenza europea. «La Germania sta riconvertendo in armamenti, preparandosi a spendere duecento miliardi, l'Italia deve adeguarsi per non perdere la filiera» dichiara testualmente il quotidiano di Banca Intesa (citando Giorgia Meloni). Produrre carri armati al posto di auto sicuramente risponde al trionfo in Borsa di tutte le azioni del comparto bellico. Ma non è esattamente una riconversione di “pace”. È la partecipazione alla corsa verso una prospettiva storica di guerra.
Tuttavia, fortunatamente, questi progetti di riarmo hanno un problema: l'aperta diffidenza o ostilità di larga parte delle opinioni pubbliche europee. In particolare tra quelle masse lavoratrici prima colpite da compressione dei salari e tagli sociali nel nome del “progresso”, ed oggi chiamate a pagare di tasca propria la corsa agli armamenti nel nome della difesa della Patria, sia essa nazionale o europea. Ieri come oggi, nell'esclusivo interesse dei capitalisti e dei loro profitti.
PER UNA EUROPA SOCIALISTA, QUALE UNICA ALTERNATIVA DI PACE
Per questo ci battiamo contro ogni riarmo imperialista, nazionale, europeo, mondiale. Contro ogni NATO, vecchia o nuova. Contro ogni economia di guerra. Contro ogni aumento delle spese militari, e anzi per il loro abbattimento, a vantaggio innanzitutto di sanità ed istruzione. Per la nazionalizzazione senza indennizzo di tutta l'industria bellica sotto il controllo dei lavoratori.
La lotta per la pace o è lotta contro ogni l'imperialismo, a partire dal proprio, o non è.
Il problema non è armare l'Europa, ma disarmare la borghesia europea. Ciò che solo una rivoluzione sociale potrà fare.
L'unica possibile Europa di pace è quella governata dai lavoratori e dalle lavoratrici. Una Europa socialista. L'unica che possa unificarsi su basi progressive. L'unica che possa schierarsi al fianco di tutti i popoli oppressi e del loro diritto di resistenza, senza scopi di rapina. L'unica che possa incoraggiare la ribellione delle masse lavoratrici dell' America, della Russia, della Cina, contro i propri imperialismi, le loro guerre, le loro politiche coloniali.