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Il sogno di rivincita di Matteo Renzi

L'ex Presidente del Consiglio di nuovo incoronato dalle primarie

1 Maggio 2017
La vittoria di Renzi nelle primarie del PD è il trampolino di rilancio dei sogni del renzismo. Ma in condizioni molto diverse dal passato.
Il 4 dicembre ha seppellito sotto una valanga di no un organico progetto bonapartista e reazionario, che mirava a concentrare nell'”uomo solo al comando” tutte le principali leve istituzionali. In realtà quel progetto, ostinatamente perseguito, aveva già visto sfaldarsi progressivamente le proprie basi politiche di appoggio nei due anni precedenti, a partire dalla profonda crisi di consenso del PD renziano, dopo le prove di forza sull'articolo 18 e sulla scuola. Il 60% di no, in larga parte di lavoratori e giovani, ha sancito la sua disfatta definitiva. Le dimissioni del governo Renzi furono la prima conseguenza politica di quella disfatta.

L'intero scenario politico è stato segnato, nella sua evoluzione, dall'effetto domino del 4 dicembre. Da un lato l'indebolimento verticale della forza politica di Renzi e la riconfigurazione tendenzialmente proporzionale del sistema politico elettorale hanno sospinto la scissione del PD. Dall'altro il M5S è sembrato capitalizzare la crisi manifesta del renzismo e la crisi politica parallela del centrodestra, con una ripresa della propria avanzata.
Il nuovo governo Gentiloni è segnato dalla debolezza di una maggioranza politica più composita, attraversata da spinte e interessi divaricanti: la sua ritirata sui voucher, allo scopo di evitare una seconda sconfitta referendaria, ha dato la misura di questa fragilità. L'unica vera base di sopravvivenza del governo in questi mesi è stata assicurata dalla combinazione di tre fattori: l'impossibilità da parte di Renzi di liquidare Gentiloni come avrebbe voluto, a causa del proprio indebolimento politico; il sostegno obbligato al governo da parte del MDP, che ha bisogno di tempo per attrezzarsi in vista delle elezioni; l'appoggio attivo al governo di una presidenza della Repubblica che punta alla conclusione naturale della legislatura, in sintonia con la maggioranza della borghesia italiana.


LA NUOVA AMBIZIONE DEL RENZISMO

Il ritorno di Renzi a segretario del PD, a seguito delle primarie di partito, cambia questo scenario politico? Nei suoi tratti generali no. Ma sarebbe sbagliato considerarlo un fatto irrilevante. Le dinamiche politiche non si fondano solamente sulle condizioni oggettive che fanno loro da sfondo (ovviamente determinanti in ultima analisi), ma anche sulla volontà soggettiva delle forze in campo, sui loro calcoli o sulle loro illusioni.

Di certo Matteo Renzi considera il proprio ritorno alla segreteria del PD come un nuovo giro di boa della propria parabola politica: la fine della ritirata imposta dalla disfatta del 4 dicembre, il rilancio delle proprie ambizioni. Il suo disegno è chiaro e ha una sua logica interna: rilanciare il “proprio” PD in contrapposizione al M5S e alla Lega, fuori da ogni logica di vecchia coalizione di centrosinistra; far leva su questa contrapposizione (e sulla crisi del berlusconismo) per provare a capitalizzare parte dell'elettorato di Forza Italia, spaventato da Grillo ed estraneo al corso lepenista di Salvini; invocare il voto utile al PD contro Grillo e Salvini presso l'elettorato di centrosinistra per asfaltare la sinistra politica, il MDP in primis; affermare il PD come primo partito alle elezioni politiche, e in ogni caso controllare saldamente la sua rappresentanza parlamentare come propria leva politica negoziale nella prossima legislatura.

Per provare a realizzare l'organicità di questo disegno, Renzi ha bisogno (almeno) di due condizioni. Entrambe possibili ma non scontate, in sé e nei loro effetti.

La prima: una legge elettorale che si presti allo scopo. Al nuovo segretario del PD occorre una legge elettorale che preveda il premio di maggioranza e gli consenta di fare campagna per il voto utile; un premio di maggioranza per la lista e non per la coalizione, allo scopo di rivendicare la propria premiership; una soglia di sbarramento alta per l'accesso in Parlamento, per rafforzare la presa del voto utile e provare a escludere (o minimizzare) ogni presenza istituzionale alla sua sinistra; il sistema dei capilista bloccati per selezionare il più possibile una rappresentanza del PD a propria immagine e somiglianza, sottratta ai giochi negoziali delle correnti all'interno della sua stessa maggioranza di partito.

L'attuale legge elettorale, quale risulta dalla sentenza della Consulta, corrisponde in larga misura a queste esigenze. Renzi vorrebbe limitarsi ad estenderla al Senato con una soglia di sbarramento uniforme al 5% nei due rami del Parlamento. Alla fine il M5S, al di là delle sceneggiate, potrebbe avere interesse a convergere su questa soluzione, con l'intento di capitalizzare la contrapposizione frontale col PD e di batterlo elettoralmente. Un traguardo non irrealistico. L'ambizione di Renzi può di fatto tirare la volata a Di Maio, in una sorta di eterogenesi dei fini?

Certo, M5S come primo partito potrebbe trovarsi nell'impossibilità di fare un governo per l'assenza di una maggioranza parlamentare che lo sostenga. In quel caso l'iniziativa tornerebbe a Renzi che già ha aperto a un possibile governo con Berlusconi. Ma neppure un governo PD-Berlusconi avrebbe ad oggi, secondo le proiezioni, una maggioranza in Parlamento. E se anche disponesse di una maggioranza risicata (o la trovasse), l'opposizione dei Cinque Stelle quale primo partito contro la "vittoria mutilata” potrebbe facilmente ritagliarsi uno spazio enorme di polarizzazione e di ulteriore crescita, con effetti imprevedibili.


LA TENTAZIONE DELLE ELEZIONI POLITICHE ANTICIPATE

La seconda condizione che Renzi ricerca è di natura politica. Per avere mani libere in una contrapposizione al M5S con qualche seria possibilità di successo, Renzi non vuole accollarsi l'onere pesante della prossima legge di stabilità. Il che può solo significare due cose. O una legge di stabilità del governo Gentiloni di fatto alleggerita e svuotata dalle pressioni di Renzi, e magari combinata col suo rilancio propagandistico della polemica “anti-UE” (“vogliamo cambiare l'Europa”) a fini elettorali. Oppure elezioni politiche anticipate prima della legge di bilancio, caricando quest'ultima sulle spalle di un nuovo governo. Sono entrambe soluzioni problematiche.

La prima passa per un contenzioso con la Commissione Europea (e coi ministri economici Padoan e Calenda), con possibili ricadute sul mercato finanziario, in un contesto di crisi bancaria irrisolta e alla vigilia di una progressiva ritirata del QE della BCE.
La seconda implica diversi presupposti tra loro combinati: una legge elettorale omogenea per le due camere (condizione preliminare pubblicamente posta da Mattarella), una disponibilità di Gentiloni a farsi da parte (senza resistenze e contrasti come nel caso di Letta), una data elettorale compatibile coi tempi necessari di scioglimento delle camere (il 24 settembre implicherebbe lo scioglimento ad agosto) e con quelli richiesti dalla sessione di bilancio (il 5 novembre sarebbe troppo tardi).

Renzi proverà probabilmente a forzare su legge elettorale ed elezioni a ottobre.
Non è impossibile che riesca nell'intento, nonostante le indubbie difficoltà. La domanda centrale che pongono le forze fondamentali dell'establishment è un'altra: quale governo dopo le elezioni?
È una domanda ad oggi senza risposta. Dopo il crollo del vecchio bipolarismo tra centrosinistra e centrodestra, dopo la disfatta del progetto istituzionale bonapartista del 4 dicembre, la borghesia è rimasta orfana di una soluzione di governo. In un quadro tripolare, nessuno dei tre poli sembra in grado di comporre attorno a sé una maggioranza. Con la caduta del ballottaggio previsto dall'Italicum, nessuna legge elettorale può inventare una maggioranza politica che non c'è. Mentre un parlamento eletto su base proporzionale (al di là degli sbarramenti) non configura ad oggi una maggioranza di governo quale che sia.

La vittoria di Renzi alle primarie del PD, lungi dall'essere una soluzione, è dunque solamente il nuovo capitolo della crisi politica e istituzionale italiana.
Dopo una probabile vittoria di Macron in Francia, sarà l'Italia il nuovo anello debole della crisi dell'Unione Europea?
Partito Comunista dei Lavoratori