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Dopo sette anni la Tunisia torna nelle strade


Dalla parte dei lavoratori e dei giovani tunisini

Ciò che sta avvenendo in Tunisia sbugiarda una volta di più la retorica dell “aiutiamoli a casa loro”, e riporta le cose alla loro realtà.

Il Fondo Monetario Internazionale (cui contribuisce il capitale finanziario “di casa nostra”) prende per il collo il popolo tunisino col metodo classico dello strozzinaggio. Parla come sempre di “aiuto”. Offre in realtà un prestito quadriennale di 2,9 miliardi di dollari in cambio di drastiche misure d'austerità. Il governo tunisino di unità nazionale fa da esattore per conto di FMI: taglio dei sussidi alimentari ed energetici con i conseguenti aumenti di prezzo (dal pane alla benzina), aumento dell'età pensionabile, aumento delle imposte indirette. In un paese in cui la disoccupazione giovanile è del 30% e i salari arrivano a 200 euro.

L'italiano Sole 24 ore, organo di Confindustria, plaude a queste misure: «Riforme strutturali impopolari, ma un passaggio obbligato, per quanto doloroso» (11 gennaio). Aggiunge tuttavia il timore di... «una ripresa incontrollata dei flussi migratori». Già, uno spiacevole dettaglio.

Di certo ampi settori popolari e di gioventù tunisina non sono disposti a subire i costi sociali dello strozzinaggio. A sette anni esatti dalla rivoluzione popolare che rovesciò Ben Alì le strade e le piazze della Tunisia sono percorse da manifestazioni di massa e parole d'ordine contro il governo e il FMI. La polizia colpisce i manifestanti, usando le norme dello Stato d'emergenza ancora in vigore dal 2015: centinaia di arresti e feriti, un manifestante assassinato, sono la misura della repressione. Ma le manifestazioni si moltiplicano irradiandosi da Tunisi ai piccoli centri della provincia. Il governo tunisino di Youssef Chahed dispone di un ampia maggioranza in Parlamento, ma non sa come controllare le piazze.

Al tempo stesso la direzione del movimento è inadeguata. Il cosiddetto Fronte popolare, che unisce in sé settori stalinisti e nasseriani, partecipa alle manifestazioni ma invita al pacifismo, mentre tiene un comportamento opportunista in Parlamento sulla stessa legge di bilancio che la popolazione povera contesta. In realtà l'unico reale obiettivo del Fronte è usare il movimento come cassa elettorale in vista del voto amministrativo del prossimo 6 maggio. Una seconda componente del movimento si raccoglie nel collettivo “Cosa aspettiamo?” di impronta più radicale, ma non avanza una prospettiva politica, al di là di una manifestazione nazionale annunciata. Sull'intero scenario pesa l'atteggiamento della burocrazia sindacale dell'UGTT, che rifiuta di proclamare lo sciopero generale e di fatto sostiene il governo.

Occorre voltare pagina. Costruire comitati d'azione nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, nelle università, per dare un'organizzazione di massa al movimento. Rivendicare il fronte unico più largo di tutte le forze del movimento operaio in aperta opposizione al governo Chahed, per il ritiro incondizionato della legge di bilancio, per il rilascio immediato di tutti gli arrestati. Battersi per la proclamazione dello sciopero generale. Rivendicare un piano sociale di svolta, a partire dal ripudio del debito pubblico della Tunisia verso gli strozzini del capitale finanziario, la nazionalizzazione delle banche e dei monopoli imperialisti. Avanzare la prospettiva di un governo operaio e popolare come unica alternativa per la popolazione povera di Tunisia. Sono le parole d'ordine imposte dalla dinamica degli avvenimenti, nel segno di una direzione alternativa della lotta.

La costruzione di una direzione marxista rivoluzionaria resta la questione decisiva, come ha dimostrato la stessa esperienza della rivoluzione di massa del 2010/2011. La forza d'urto più grande non può realizzare un'alternativa senza una direzione cosciente. Selezionare le forze di una nuova direzione è il compito dei marxisti rivoluzionari in Tunisia, e non solo.
Partito Comunista dei Lavoratori