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La crisi politica italiana si avvita

Il M5S si candida a partito centrale del capitale

Dopo il voto del 4 marzo, la crisi politica italiana resta irrisolta. La Seconda Repubblica è caduta, ma la Terza Repubblica è ancora lontana dal delineare i propri equilibri. Il vecchio centro politico borghese, rappresentato in forme diverse dal PD e da Forza Italia, è crollato sotto il peso della prolungata gestione delle politiche d'austerità negli anni della grande crisi, e del fallimento impietoso del renzismo. Ma i grandi vincitori del 4 marzo – Movimento 5 Stelle e Lega - che hanno sicuramente capitalizzato quel crollo, faticano a trovare un quadro d'intesa. La Lega ha difficoltà a scaricare Berlusconi, perché non vuole disarmare la propria forza negoziale verso il M5S, e perché punta ad ereditarne i voti. Il M5S non può caricarsi sulle spalle la zavorra del Cavaliere, correndo il rischio di una immediata precipitazione d'immagine. Mentre il PD è attraversato da una guerra per bande di difficilissima composizione, e dagli esiti potenzialmente mortali.
In questo quadro, a un mese e mezzo dal voto, la Presidenza della Repubblica si trova in mano un pugno di mosche. Nessuna soluzione politica si è delineata, neppure in termini provvisori, mentre un rapido ritorno alle urne, con una legge elettorale immutata, rischierebbe di riproporre la medesima paralisi in un quadro ulteriormente logorato e drammatizzato. Da qui il possibile tentativo di una soluzione istituzionale della crisi nella forma del cosiddetto governo del presidente: quello per cui cui la Presidenza della Repubblica si erge al di sopra delle contraddizioni irrisolte tra le forze parlamentari per forzarle a un accordo sotto la propria garanzia e supervisione, avanzando direttamente una propria proposta di premier e di programma. Ma quale sarebbe la base parlamentare di appoggio di questo ipotetico governo, e quale il livello di coinvolgimento in esso dei partiti vincitori del 4 marzo? Una soluzione Monti, con ministri tecnici, appare sepolta dall'esperienza Fornero, mentre un coinvolgimento di Lega e M5S riproporrebbe i problemi irrisolti di bilanciamento ed equilibrio politico. In ogni caso, se a questo si arrivasse (e non è escluso), sarebbe una soluzione politica di breve durata, in attesa di nuove elezioni.


DI MAIO SI OFFRE AL GRANDE CAPITALE

Ma se è vero che il ginepraio della crisi politica non ha ancora trovato uno sbocco, è anche vero che è già ricchissimo di indicazioni. Una in particolare: è emersa nella forma più clamorosa il vero volto del Movimento 5 Stelle.

Tonnellate di demagogia sparse a piene mani in questi anni sono state smentite in pochi giorni. Il partito che rifiutava le alleanze coi partiti offre alleanze intercambiabili ad ogni partito. Il partito che anteponeva il programma alle poltrone è disposto a negoziare ogni programma pur di ottenere la poltrona decisiva: quella di Presidente del Consiglio. Più precisamente la presidenza di Luigi Di Maio. Se il PD accetta Di Maio premier, Di Maio è prontissimo a fare il governo col PD (Renzi incluso). Se è Salvini ad accettare Di Maio premier, Di Maio farà il governo con Salvini, campione xenofobo del centrodestra. Insomma, la più cinica spregiudicatezza in funzione di un obiettivo di potere, secondo la scuola consumata della tradizione borghese. Sarebbe questo il nuovo che avanza?

Ma non si tratta semplicemente di una spudorata disinvoltura. Si tratta di altro. Il nuovo corso di Luigi Di Maio candida il M5S a partito centrale della borghesia italiana, ad architrave della Terza Repubblica. Di fronte al crollo del vecchio centro politico borghese (PD e Forza Italia), il M5S si presenta al capitale finanziario, italiano ed europeo, come nuovo asse di riferimento: l'unico che può portargli in dote un consenso elettorale di massa, ed in particolare il controllo del Meridione. È l'obiettivo - sicuramente ambizioso - di una nuova DC. Il posizionamento politico centrale tra Lega e PD serve ad incarnare questo ruolo. Il profilo politico responsabile e istituzionale del M5S è l'abito pubblico di questo disegno.

Non è un obiettivo improvvisato. La Casaleggio Associati ha promosso con cura e da tempo l'interlocuzione con Confindustria, con i grandi azionisti, con i fondi esteri, con le ambasciate straniere, a partire dagli ambienti UE ed USA. A tutti ha offerto garanzie e fedeltà, in cambio di un riconoscimento politico. Questo è il vero “contratto di programma” di cui parla Di Maio: non un foglietto di impegni da esibire a Porta a Porta, di berlusconiana memoria - quella può essere al più la veste scenica, ma un patto sociale e politico con il capitalismo italiano e i suoi alleati nel mondo.
Alla UE viene offerta la garanzia della riduzione del deficit (entro l'1,5) e l'abbattimento del debito pubblico attraverso il suo pagamento (ben 40 punti di riduzione del debito pubblico sul Pil in dieci anni, più di quanto previsto dal Fiscal Compact). Agli USA viene garantita la fedeltà incondizionata al Patto Atlantico, con tutto ciò che ne consegue. Perché rifiutare l'occasione di tanta grazia?


IL GRANDE CAPITALE CAMBIA CAVALLO

La borghesia infatti risponde. Confindustria dichiara che il M5S è «una possibile opportunità». La Fiat (Marchionne) che «non c'è ragione di avere paura». La CEI che «c'è bisogno di una soluzione nuova». Tutti i poteri forti inviano propri emissari al convegno annuale della Casaleggio Associati a Ivrea per attivare relazioni, aprire canali, depositare richieste. Il padronato ha cambiato cavallo.

Tutto ciò ha un suo riflesso politico: la grande stampa borghese si è espressa a favore di un governo M5S-PD. Di Maio come presidente, il PD come controllore. La polemica con la parte renziana del PD che vorrebbe restare all'opposizione (per salvare se stessa) ha questo segno: “Il PD non deve arroccarsi, deve farsi coinvolgere, non può ignorare l'interesse nazionale per interessi di parte”. L'interesse nazionale è improvvisamente diventato Di Maio. Uno che ha dato garanzie affidabili al capitale, l'unico che può assicurargli la base di sostegno del 32% dei voti. Il PD deve solo arginare eventuali esuberanze residuali del nuovo centro pentastellato, mettendosi a sua disposizione. È non a caso la soluzione preferita da Mattarella, ed è la prima soluzione che lo stesso Di Maio ha proposto («senza preclusioni» per Renzi).


IL BLUFF DEL M5S È SVELATO

È vero, questa soluzione, per quanto preferita, è in realtà assai difficile. Sia per l'esiguità dei numeri parlamentari di una simile maggioranza (nonostante l'apporto già garantito del drappello di LeU), sia per le resistenze del campo renziano, molto forte al Senato, sia per il travaglio interno di un PD che fatica a trovare un asse alternativo di direzione. Il paradosso è che solo Renzi potrebbe intestarsi una svolta "aperturista" verso il M5S che possa essere gestita dal PD.

Ma resta, in ogni caso, il dato di fondo. Comunque vadano le cose, milioni di lavoratori e lavoratrici hanno votato il M5S come strumento di cambiamento, e si ritrovano un M5S quale strumento di conservazione. Il partito cosiddetto antisistema si candida a soluzione di sistema, mentre il famoso programma di svolta sta evaporando ogni giorno di più. Il reddito di cittadinanza si è già trasformato nel potenziamento del REI (reddito di inclusione) renziano. L'abolizione della Fornero nella sua timida “riforma”. L'abrogazione del Jobs Act è letteralmente sparita.
Il passo del gambero è rapidissimo, e tutto questo prima ancora di accedere al governo. È immaginabile il dopo.

Ecco allora la verità: il M5S ha preso milioni di voti tra gli sfruttati per portarli in dote ai loro sfruttatori. Le promesse erano solo menzogne e raggiro. Come il PCL, instancabilmente, aveva denunciato e previsto. Spesso controcorrente, anche all'interno della sinistra.
I fatti hanno la testa più dura delle parole, e spesso anche della memoria.

Partito Comunista dei Lavoratori