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Strage sionista a Gaza

“Violenti scontri”, “drammatici fatti”, “sangue lungo il confine di Gaza”. Il commentario borghese di giornali e tv si arrampica sugli specchi per non chiamare le cose con il loro nome: una strage dello Stato sionista contro il popolo palestinese. Sedici palestinesi caduti sotto il piombo delle truppe israeliane, che non hanno esitato ad aprire il fuoco contro giovani armati di pietre. Le centinaia di palestinesi feriti da armi da fuoco, oltre ai sedici assassinati, danno la misura della repressione militare israeliana. Le congratulazioni di Netanyahu con l'esercito, la sua esaltazione a “custode della sovranità”, è la pubblica firma del massacro.

Il salto della repressione sionista si lega a molti fattori. Di ordine interno, col governo Netanyahu che cerca di sottrarsi alle disavventure giudiziarie invocando l'unità contro il nemico palestinese. Ma soprattutto di ordine internazionale, dove il nuovo corso di Donald Trump rafforza l'asse centrale dell'imperialismo USA col sionismo, mentre ricompone i suoi rapporti con Egitto ed Arabia Saudita in chiave anti-iraniana. Lo Stato sionista fa leva su questi fattori per rilanciare la propria politica di potenza in Palestina, mentre la profonda crisi politica delle organizzazioni maggioritarie del campo palestinese rivela la profondità del loro fallimento. Sia dell'apparato corrotto di Abu Mazen, sia di Hamas, indebolito dal crollo della Fratellanza musulmana nella regione araba. Il regime di Erdogan cerca di inserirsi in questa crisi atteggiandosi ad alfiere della causa palestinese agli occhi delle masse arabe. In realtà cerca solo di allargare il proprio spazio negoziale nelle spartizione della Siria e di completare l'annientamento dei kurdi.

La giovane generazione palestinese - al pari dei kurdi - non ha alcun alleato nel campo imperialista o tra le potenze regionali del Medio Oriente. Può contare solamente sulla propria determinazione e sul proprio coraggio. Tutte le favole su “due popoli, due Stati” sono prive tanto più oggi di ogni credibilità, persino retorica. Così come l'auspicio di una democratizzazione dello Stato d'Israele. I fatti di Galilea dicono una volta di più che non vi potrà essere alcuna soluzione della questione palestinese se non per via rivoluzionaria. Se non attraverso la dissoluzione dello Stato sionista e la rottura con l'imperialismo. Se non attraverso l'incontro della sollevazione palestinese con una rivolta di massa della nazione araba e con la ribellione antisionista della parte migliore della popolazione ebraica. Per una Palestina unita e libera su basi socialiste - rispettosa dei diritti nazionali della minoranza ebraica - dentro una federazione socialista araba.

Nell'anniversario della Nakba (1948), della pulizia etnica contro il popolo palestinese, solo il programma della rivoluzione permanente può realizzare il “diritto al ritorno” dei palestinesi nella propria terra. Che è il diritto incancellabile alla loro piena autodeterminazione.
Partito Comunista dei Lavoratori