♠ in colonialismo,Corriere della Sera,ENI,Erdogan,fascismo,Fincantieri,Giolitti,Haftar,imperialismo,Libia,Serraj,sovranismo,Turchia at 13:15
L'imperialismo italiano non va in quarantena
La vicenda della liberazione di Silvia Romano, per una probabile intercessione turca, ha messo in allarme il Corriere della Sera. Non c'entra nulla in questo caso la questione del riscatto pagato né tanto meno la conversione religiosa dell'interessata, che hanno suscitato tanto livore sui social. Il quotidiano di Banca Intesa si occupa di questioni ben più rilevanti. Più precisamente dell'”interesse nazionale” dell'Italia nei confronti della Turchia.
Un editoriale ispirato di Franco Venturini muove l'allarme: cosa si aspetta Erdogan dall'Italia in cambio della liberazione della prigioniera?
«La Turchia di Erdogan, anche in questo periodo di pandemia, non ha ceduto un centimetro delle sue ambizioni e talvolta della sua arroganza militare. Ankara alimenta una politica di penetrazione nei Balcani occidentali come fa la Russia, in competizione con quella della UE e della NATO, pur essendo la Turchia un socio di rilievo dell'Alleanza. Ancora più spinti e costosi sono i suoi insediamenti in Africa, dove comincia a rivaleggiare seriamente con Cina e Russia. [...] E ci sono, soprattutto, la Libia e il Mediterraneo. Le navi militari turche che allontanano dalle acque di Cipro chi ha titolo (come l'ENI) per effettuare prospezioni. Le mire non dissimulate sulle ricchezze energetiche della Tripolitania (dove gli interessi prevalenti sono di nuovo italiani) e anche delle acque contigue.»
Suonato l'allarme (“mamma li turchi!”), il Corriere invoca una politica estera energica a difesa dell'interesse nazionale, contro ogni possibile viltà.
«Serve una linea politico-economica e anche militare che non c'è [...] S'intende che siamo ormai abbondantemente fuori gioco nel Corno d'Africa come, colpevolmente, in molte altre contrade del Continente Nero. [...] A Tripoli in particolare, quale è la nostra linea? [...] Serraj ha trovato nella Turchia un padrino ben più convincente e prontissimo a usare la forza o a fornire armamenti moderni, noi ci siamo collocati nella terra di nessuno in posizione equidistante [...] Eppure la partita italo-turca, e la credibilità reciproca, si giocano in Libia e nel futuro delle sue ricchezze energetiche. Mentre Erdogan spara volentieri e sogna una rivincita neo-ottomana, l'Italia balbetta [...] e non ha un fronte politico interno in grado di appoggiare un uso intelligente (come in verità è stato fatto a Misurata) dello strumento militare. [...] Ora si tratta di affrontare quel che bolle in pentola.»
Ora, non abbiamo capito cosa propone esattamente il Corriere della Sera all'amata Italia. Porsi anche lei come padrino di Serraj, o puntare tutto sulla carta Haftar? Ciò che abbiamo capito è che in ogni caso occorre «usare la forza» e non balbettare, per affermare il nostro posto al sole in Tripolitania e sbarrare il passo alla Turchia. Del resto, dopo aver «colpevolmente» disertato in Corno d'Africa e nel «Continente Nero», si può forse rinunciare al controllo della Libia? Il principale quotidiano del capitalismo italiano, da sempre sensibile all'interesse di ENI, non potrebbe tollerare un affronto simile.
Che dire? L'imperialismo torna sempre sul luogo del delitto. Più di un secolo fa l'imperialismo straccione tricolore, sotto la guida del liberale Giolitti, strappò la Libia all'Impero ottomano in disfacimento, entrando così nel grande gioco coloniale. Gas asfissianti, campi di concentramento, massacri di civili per piegare la resistenza berbera furono pane quotidiano delle forze italiane di occupazione. Il fascismo riprenderà e allargherà questa macelleria. Oggi il liberale Corriere della Sera aggiorna la bandiera dell'imperialismo italiano in Africa, ripulendola dei suoi crimini, e chiedendo un rilancio. Che avvenga in piena pandemia non sorprende nessuno. Come nessuno si sorprende del grande rilancio di Fincantieri nella produzione di navi militari, col via libero unanime del Parlamento italiano. Non ospedali, ma sommergibili e fregate lanciamissili.
È la patria del Corriere, non sarà mai la nostra. Altro che sovranismo!
Un editoriale ispirato di Franco Venturini muove l'allarme: cosa si aspetta Erdogan dall'Italia in cambio della liberazione della prigioniera?
«La Turchia di Erdogan, anche in questo periodo di pandemia, non ha ceduto un centimetro delle sue ambizioni e talvolta della sua arroganza militare. Ankara alimenta una politica di penetrazione nei Balcani occidentali come fa la Russia, in competizione con quella della UE e della NATO, pur essendo la Turchia un socio di rilievo dell'Alleanza. Ancora più spinti e costosi sono i suoi insediamenti in Africa, dove comincia a rivaleggiare seriamente con Cina e Russia. [...] E ci sono, soprattutto, la Libia e il Mediterraneo. Le navi militari turche che allontanano dalle acque di Cipro chi ha titolo (come l'ENI) per effettuare prospezioni. Le mire non dissimulate sulle ricchezze energetiche della Tripolitania (dove gli interessi prevalenti sono di nuovo italiani) e anche delle acque contigue.»
Suonato l'allarme (“mamma li turchi!”), il Corriere invoca una politica estera energica a difesa dell'interesse nazionale, contro ogni possibile viltà.
«Serve una linea politico-economica e anche militare che non c'è [...] S'intende che siamo ormai abbondantemente fuori gioco nel Corno d'Africa come, colpevolmente, in molte altre contrade del Continente Nero. [...] A Tripoli in particolare, quale è la nostra linea? [...] Serraj ha trovato nella Turchia un padrino ben più convincente e prontissimo a usare la forza o a fornire armamenti moderni, noi ci siamo collocati nella terra di nessuno in posizione equidistante [...] Eppure la partita italo-turca, e la credibilità reciproca, si giocano in Libia e nel futuro delle sue ricchezze energetiche. Mentre Erdogan spara volentieri e sogna una rivincita neo-ottomana, l'Italia balbetta [...] e non ha un fronte politico interno in grado di appoggiare un uso intelligente (come in verità è stato fatto a Misurata) dello strumento militare. [...] Ora si tratta di affrontare quel che bolle in pentola.»
Ora, non abbiamo capito cosa propone esattamente il Corriere della Sera all'amata Italia. Porsi anche lei come padrino di Serraj, o puntare tutto sulla carta Haftar? Ciò che abbiamo capito è che in ogni caso occorre «usare la forza» e non balbettare, per affermare il nostro posto al sole in Tripolitania e sbarrare il passo alla Turchia. Del resto, dopo aver «colpevolmente» disertato in Corno d'Africa e nel «Continente Nero», si può forse rinunciare al controllo della Libia? Il principale quotidiano del capitalismo italiano, da sempre sensibile all'interesse di ENI, non potrebbe tollerare un affronto simile.
Che dire? L'imperialismo torna sempre sul luogo del delitto. Più di un secolo fa l'imperialismo straccione tricolore, sotto la guida del liberale Giolitti, strappò la Libia all'Impero ottomano in disfacimento, entrando così nel grande gioco coloniale. Gas asfissianti, campi di concentramento, massacri di civili per piegare la resistenza berbera furono pane quotidiano delle forze italiane di occupazione. Il fascismo riprenderà e allargherà questa macelleria. Oggi il liberale Corriere della Sera aggiorna la bandiera dell'imperialismo italiano in Africa, ripulendola dei suoi crimini, e chiedendo un rilancio. Che avvenga in piena pandemia non sorprende nessuno. Come nessuno si sorprende del grande rilancio di Fincantieri nella produzione di navi militari, col via libero unanime del Parlamento italiano. Non ospedali, ma sommergibili e fregate lanciamissili.
È la patria del Corriere, non sarà mai la nostra. Altro che sovranismo!
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI