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Bonomi minaccia, Landini supplica

Mentre la borghesia italiana è tormentata dallo spettro di una rivolta sociale, la linea dei vertici della CGIL è quella di sedare tutto e di incoraggiare il padronato a procedere sulla via dello sfondamento antioperaio. I lavoratori hanno bisogno di una direzione alternativa

«Bonomi ha inoltre chiesto al Governo di agevolare «quel confronto leale e necessario in ogni impresa per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero giorni di lavoro settimanale e di settimane in questo 2020», «da definire in ogni impresa e settore al di là delle norme contrattuali»» (Il Sole 24 Ore, 1 maggio).

Dunque il nuovo capo di Confindustria Carlo Bonomi ha festeggiato a modo suo la festa del lavoro. La nuova leadership del padronato non ha perso tempo. Non contento di aver prima moltiplicato i morti nel bergamasco in veste di capo di Assolombarda ponendo il veto sulla zona rossa, e poi di aver affrettato la ripartenza generale senza garanzie sanitarie in veste di capo di Confindustria, Carlo Bonomi mette ora il carico da novanta sulla prospettiva delle relazioni industriali. Non solo non fa il minimo cenno alle piattaforme contrattuali depositate a suo tempo dai sindacati, considerate ormai carta straccia, ma presenta la piattaforma generale dei padroni: mano libera su tutto “impresa per impresa”, fuori dalla contrattazione nazionale. Presa alla lettera, sembra la riproposizione generale della vecchia linea Marchionne, una linea di sfondamento antioperaio e antisindacale.

Le cose sono però un po' più complicate. Sicuramente il padronato vuole sfondare per fronteggiare la caduta dei profitti. Ma al tempo stesso teme un contraccolpo sociale, in termini di ripresa del conflitto in fabbrica e non solo. Non a caso mentre Bonomi sferra la sua provocazione sul quotidiano confindustriale, il Corriere della Sera esplicita una preoccupazione diffusa nei piani alti del capitalismo: «La domanda che dobbiamo porci in un Primo Maggio senza piazze è la seguente: la caduta del Pil fornirà benzina per una rivolta sociale?» (Corriere della Sera, 1 maggio). Una rivolta sociale: questo è lo spettro che tormenta la borghesia italiana. E la tormenta proprio perché i padroni hanno ben chiaro sia la portata drammatica della crisi sia le misure antioperaie che hanno intenzione di attuare. Come sminare il terreno del conflitto disinnescando la miccia di una reazione operaia?

Qui entra in gioco la burocrazia sindacale, ed in particolare la burocrazia CGIL. Lo stesso Bonomi che minaccia sfracelli contro i contratti nazionali ricorre ai protocolli d'intesa con Maurizio Landini sulla ripartenza delle fabbriche, perché ha bisogno di coprirsi le spalle per sventare scioperi e cause legali. Il sindacato serve ai padroni se fa lavorare gli operai evitando conflitti, non se lotta e contratta a difesa dei lavoratori. Questo secondo sindacato, il sindacato vero, Bonomi vorrebbe toglierselo definitivamente dai piedi. Mentre col primo sindacato gli accordi li fa eccome, anzi li sollecita: "Chiediamo al governo di agevolare... ecc ecc".

Il guaio è che il sindacato complice è purtroppo quello che viene rivendicato il Primo maggio dal segretario della CGIL, Maurizio Landini.
«L’Italia è l’unico Paese in cui tutti i sindacati e tutte le associazioni degli imprenditori hanno firmato un protocollo sulla sicurezza sul lavoro e sui criteri per la ripresa. Un protocollo tradotto in decreto dal governo. Un fatto importante che mi fa sperare in una svolta nel mondo del lavoro italiano» (Landini su La Repubblica, 1 maggio).

Ah sì, il protocollo è sicuramente «un fatto importante»... per i padroni come arma antisciopero. Quanto alla buona speranza in una svolta del mondo del lavoro, rivolgersi a Bonomi, quello che vuole seppellire i contratti nazionali.
La verità è che la burocrazia sindacale teme solo di essere scaricata. Per questo valorizza presso governo e padroni il proprio ruolo indispensabile di ammortizzatore del conflitto. Una linea subalterna, tanto più oggi suicida di fronte al nuovo corso di Confindustria. Di più: una linea subalterna che incoraggia Confindustria ad alzare la posta e il livello di attacco. Sino a quando reggerà questo gioco?

L'unica cosa certa è che di fronte alla tempesta sociale che si prepara i lavoratori e le lavoratrici hanno bisogno di una direzione alternativa che punti a organizzare le lotte, non a spegnerle. A unificarle, non a dividerle. Il costo di una direzione subalterna lo si è già pagato nel decennio scorso. Ora basta. Ora la svolta è necessaria davvero.
Partito Comunista dei Lavoratori