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Citare George Orwell
può apparire la ricerca, dura e senza sconti, di appigli in terre lontane e
miscredenti verso la celebrazione della democrazia, o soltanto una minchiata da
intellettuali. Lo scrittore ci ha però insegnato, tra puntiglio e sadismo, che riscrivere
il passato, e reprimere il libero fluire della memoria, sono i presupposti
opportunisti e virali all’avvitarsi nel solido del potere totalitario. Ancor
oggi le manipolazioni di bugia e rilettura nei contenuti dell’informazione,
agiscono autorevoli per la costruzione della realtà, che diventa tale anche se
priva di sostanza intrinseca.
Per mettere a
tacere, e depistare, non sono più necessarie metodologie ferali, quelle sì,
riservate ai dissidenti di rango anche nei regimi democratici, ma i sistemi
adottati risultano efficaci, perché coinvolgono le masse, con il fine di
ricondurle a una condizione di lumpenproletariat, senza una identità da
spendere e opporre.
Entriamo nel merito,
ai tempi del coronavirus. Straordinario passe-partout per una ulteriore
avanzata verso l’atomizzazione della società, e la disgregazione della
solidarietà tra individui e di quella residua pietas, in grado di
diventare forma di supporto al singolo e di resistenza al sistema.
Triturata l’identità
di appartenenza a una classe sociale (condizione che presuppone lo sviluppo di
un conflitto e l’identificazione del fronte avverso) resta l’uomo nudo.
Schiacciato in termini economici. Frustrato dalla politica, in quanto
consapevole di non poter esercitare alcuna forma di reale influenza. Pure
assediato da una scarsa libertà di genere. Questa è la quotidianità della
estraniazione e dell’impotenza.
Ora in un quadro
dove l’espropriazione dei diritti procede spedita, vengono a iscriversi nuovi
strumenti: l’isolamento e il distanziamento sociale. Prima domanda: imposti dal
virus? Oppure obbligati, in pessima sostanza, da venti anni di tagli alla
sanità pubblica? Ecco presentarsi una
impellente necessità di riscrivere il passato. Entra in gioco la retorica, che
usa il carburante estremamente inquinante, dell’eroismo e dell’appartenenza.
Scivolano via le notizie, lontane meno di un mese, quando si è dovuto decidere
chi lasciar morire e a chi rendere speranza.
Un
mondo di eroi che salva le sorti di una battaglia immane. Peccato che tale sia
stata, immane per l’appunto, perché l’idea di una sanità pubblica non andava
proprio giù a nessuno, riformisti e camerati, indifferenti a quali vestiti
indossassero. Non piaceva a destra e a sinistra la sanità di stato. Tranne che
per quelle azioni mediche che non potevano rendere plusvalore al capitale. E
così, per una iperbole purtroppo concreta, capitava spesso di passare una
giornata di attesa al Pronto Soccorso.
Ma
come è stato possibile un avanzamento, in maniera tanto efficace, di quella che
a tutti gli effetti risulta essere una necrosi della memoria?
Perché,
mai come in questi due ultimi mesi, abbiamo sperimentato con tanta forza, e per
la prima volta in Italia dopo la parentesi fascista, l’intrusione di altro
virus, altrettanto pernicioso, quello del pensiero unico.
L’offensiva
del pensiero unico, vivissimo senza particolari dissidenze, è stata facilitata
e per certi versi indotta dall'adozione di misure quali il distanziamento
sociale e l’isolamento. Abbiamo già detto del dilagare della retorica
dell’eroismo e dell’appartenenza. Ed è altrettanto corretto osservare oggi,
l’espressione opposta di quello stesso pensiero unico: la carica massiccia di
paggi e vassalli della politica verso la riapertura di ogni distretto economico
del paese. Ritenuta a furor di popolo immediatamente necessaria, da effettuarsi
in maniera totale e assoluta. Istantanea se possibile.
Si
è giocato con la diffusione di una vecchia pratica, quella della persuasione di
massa, che ha avuto dalla sua parte alleati forti: la paura della morte, la
negazione del futuro, il peccato originale. E badate bene non c’è stato bisogno
di manovre occulte. Tutto è stato agito in chiaro. E oggi il meccanismo
medesimo si trasforma in impazienza, nella negazione di ciò che è stato, e ancora
può accadere. Un altro copione, che nega il precedente.
L’incapacità
di adottare posizioni intermedie, o se preferite alternative ha toccato la
maggior parte di noi. Rare le dissidenze, ma sempre trascinate dalla corrente
dello stesso fiume. Non è il momento della polemica, ricorderete questa parola
d’ordine. Forse.
Tutto
questo è accaduto, anche, perché siamo stati costretti ad abbeverarci alla
fonte unica dell’informazione: l’establishment. Quella fonte possiamo chiamarla
in alternativa governo, o capitale, o sistema. E come ancora si preferisce, e
certo non mancano altri termini. Soprattutto nel primo periodo di lock down è
stato impossibile qualsiasi processo di controinformazione e di analisi
indipendente.
L’isolamento
ci ha privato del confronto sociale, e della fisicità del trovarsi faccia a
faccia. In assemblea, in sezione, in fabbrica. In Parlamento, o in un Consiglio
comunale. Più semplicemente al bar. E ha costretto i media, a subire e dover
utilizzare quasi esclusivamente fonti ufficiali, interessate appunto a
riscrivere una realtà addomesticata.
Provate
a guardare lo stesso programma televisivo, restando in casa e a commentarlo al
telefono. Se il giudizio non coinciderà, in ogni caso la discussione verrà
portata avanti con gli argomenti contenuti in quel format e appena stampati
nella vostra memoria. È molto probabile che si resti chiusi in una gabbia
mentale, che non ci farà guardare altrove. Ripetendo il meccanismo perverso del
Truman Show, dove si comandano vite apparentemente libere.
Nell’agorà
si forma l’opinione della polis. Nella piazza vive (almeno così dovrebbe
essere), il confronto tra i cittadini che comanda alla politica l’indirizzo non
derogabile. L’agorà in questo momento ci è stata tolta. È stata spenta. Se
verranno ripristinati pienamente i nostri diritti, questo avverrà il 31 luglio.
Ma è giusto interrogarci sul dopo. Abbiamo parlato non erroneamente di peccato
originale. Ogni reclusione porta con sé senso di colpa e frustrazione. Poi,
nella reclusione si può trovare rassicurazione. Uno stato d’animo dove delegare
la gestione dei propri diritti diventa una opzione possibile e semplificatrice.
Assolutoria come una penitenza dopo la confessione. Leggi: la ricerca dell’uomo
forte; la scelta dell’autoreclusione del libero pensiero.
Se
ci pensate bene, siamo di fronte all’invenzione di un dio profano, anzi a dire
meglio al riconoscimento unilaterale dell’esistenza di una entità, che per noi
decide senza troppe chiacchiere e garanzie. Volete chiamarla destino? Così sia.
Ma a dio e al destino come si fa opposizione?
Per
tornare con i piedi per terra, da oggi 11 maggio, il Transatlantico
parlamentare è stato chiuso ai cronisti accreditati. Non accadeva dal 1946. Che
si tratti di una interdizione temporanea, o diventerà costume e imposizione
permanente? Non è dato saperlo.
Mario
De Pasquale