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Stato di emergenza

Pubblichiamo un contributo di riflessione interessante da parte di un compagno simpatizzante del PCL


Ricordate Matteo Salvini e il suo “…chiedo agli italiani pieni poteri”?
Stato di emergenza
All'approssimarsi del 4 maggio l’euforia della liberazione diventa palpabile. Complice il sole e l’avvicinarsi di una bella stagione (si spera), tutti quelli che sono rimasti in buona salute aspettano il momento in cui le misure disposte a contrasto della pandemia Covid 19 diventino un fatto concreto. L’ottimismo è obbligato, ma la completa libertà, è ancora lontana.
Sono in fila per entrare al supermercato. Bologna. Tutto procede, distanziamento rispettato, mascherine indossate, i più rigorosi, o impauriti, portano anche i guanti. Questa condizione durerà ancora a lungo.
In fila ci sono persone di tutte le età, donne e uomini in età da lavoro, pensionati. Nessun adolescente, questo fa pensare. E tanto sole. Nonostante il caldo, nessuna esibizione di mezze maniche. Meglio evitare anche un semplice raffreddore. O qualsiasi malanno che imponga un contatta diretto con la sanità, il medico di base, il numero verde, o peggio l’ospedale. Probabili reduci da notti di informazione Covid, hanno ascoltato troppe parole, ricavandone poche certezze.
In fila l’euforia della liberazione sembra spegnersi. Prevalgono mestizia e rassegnazione nell’accettare un cambio tanto radicale dell’esistenza. Si conversa al telefonino, ma ci si guarda bene dal rivolgersi a chi fisicamente è davanti o dietro di noi. Distanziamento fisico, e soprattutto psicologico. Ognuno, credo, è percepito come un potenziale portatore, un probabile veicolo d’infezione. Non può essere diversamente, se tutti noi ci siamo nutriti al quel festival della notizia e dell’allarme, che spesso appare come frutto illegittimo dello showbiz.

Rimozione
Si tende a dimenticare, a rimuovere. Aiutati da quella che è ormai diventata la retorica del coronavirus, si diluiscono nella memoria, se mai ne sono emersi, alcuni aspetti sostanziali del periodo che stiamo vivendo. “Andrà tutto bene!” Forse, ma non è detto. La cronaca si è fatta epopea di eroi. Ce n’è bisogno? Probabilmente è il frutto dell’elusione a una domanda che il nostro paese deve porsi, oggi più che mai: abbiamo maggior bisogno di eroi o forse è meglio fare affidamento su efficienti e sufficienti strutture sanitarie? Ripartiremo. Certo, a meno che non si metta in conto l’estinzione della specie umana. Ma come ripartiremo?
Ancora in fila. Il distanziamento impone precauzione e contingentamento degli ingressi. È l’emergenza.
Siamo in democrazia. Al telefonino impazzano quesiti serissimi su cosa comprare per il pranzo, quale sia il detersivo mancante, dove trovare il vino alla spina per risparmiare. Poi vengono i contenziosi familiari, le notizie scambiate su parenti e nonni, che da un momento all’altro non abbiamo potuto più incontrare. Finirà la clausura. Pochi giorni ancora, è vero. Ma i contenuti del comunicare, sospesi in una lontananza inconsapevole dalla gravità della situazione, portano a galla una domanda. Quanti, qui e ora attori di questo serpentone schietto e consumista, sono consapevoli fino in fondo di cosa è cambiato sopra le loro teste, da gennaio a oggi?

31 gennaio: viene dichiarato lo stato di emergenza
Quale è il livello attuale delle garanzie istituzionali verso il singolo, rispetto a quanto sancito dalla Costituzione, con particolare riferimento ai contenuti dell’art. 13. La domanda sorge spontanea seguendo le notizie di cronaca. In che modo sono cambiati i limiti delle inviolabili libertà personali?

Con un certo senso di incredulità ho assistito all’esercizio sproporzionato della dissuasione verso solitari bagnanti da parte di elicotteri in volo a bassa quota; ho letto di una multa inflitta (e prontamente tolta, con tante scuse) a una famiglia che portava la figlioletta leucemica in ospedale per un controllo; non è mancata la sanzione a chi, pur proditoriamente seduto con giornale, era in fila per entrare al supermercato. Multa nonostante l’osteoporosi; mancava il certificato. Non sappiamo com’è andata a finire. Nella rete delle sanzioni anche un solitario canoista. Che tentasse di contagiare i pesci? D’altro canto abbiamo assistito ai report delle scuse più fantasiose, creative e assurde, per poter giustificare la propria presenza fuori dai confini dell’abitazione.
Tutto questo può accadere perché il 31 gennaio è stato dichiarato lo “stato di emergenza” a causa della pandemia Covid 19. Sei mesi la durata.
Una prima considerazione: lo “stato di emergenza” non è previsto dalla nostra Costituzione. L’unica emergenza contemplata è lo stato di guerra (art. 78).
Il dispositivo emesso dal Consiglio dei Ministri è una delibera, e come tale non è soggetta all’approvazione del Parlamento.
È l’art. 5 della L. 225\1992 a istituire il Servizio Nazionale della Protezione Civile e a prevedere la possibilità di dichiarare lo “stato d’emergenza”. Rileviamo una contraddizione, che riguarda la sua durata. Nella legge è indicata in 180 giorni rinnovabili per una volta. Nel regolamento della Protezione Civile (art. 24, comma 3 del D. legislativo n.1 del 2\1\2018) si legge invece che lo stato di emergenza nazionale “non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi”. Un chiarimento sarebbe utile.

Il decreto legislativo
Per l'attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza dichiarato a seguito degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente”.
Tanto potere viene attribuito al Consiglio dei Ministri, senza alcun passaggio parlamentare. A parte la prevista ratifica dei decreti legge. Che restano comunque efficaci per sessanta giorni.
Altra condizione che deve fare riflettere riguarda la natura stessa del decreto legislativo (fonte del regolamento di Protezione Civile). Esso ha forza di legge, e sancisce una delega del Parlamento al Governo, scavalcando il principio della separazione dei poteri. È il governo a legiferare, senza alcuna discussione in Parlamento. È accettabile?

Governo Conte bis
In principio era il Conte 1. La coalizione di governo Lega-5Stelle alla Camera di 344 deputati su 630. Fuori dalla maggioranza, risultavano ristretti in un unico vagone, passeggeri davvero incompatibili tra loro. Uno schieramento eterogeneo, a definirlo con un eufemismo, senza una concordanza d’indirizzi, che potesse riflettere una qualche efficacia politica. Diversa e un poco più ballerina per il governo la situazione in Senato.

Elezioni Europee del 26 maggio. La Lega arriva al 34%. Il Movimento 5Stelle si sgonfia fino al 17%, perdendone quasi il 19%. Diventa lecito qualche dubbio sulla rappresentatività del premier Conte. Salvini invoca nuove elezioni, ma le sue improvvide evoluzioni balneari, lo porteranno a dover subire il Conte bis.
Il Conte bis, o governo giallo-rosa entra in carica il 5 settembre. Tecnicamente dispone di una maggioranza in aula, ma solo considerando ancora attuali, e indicatori della volontà degli elettori i risultati del 4 marzo 2018. Fatto che i recenti sondaggi mettono in totale discussione. Molto è cambiato ad oggi, nelle percentuali di gradimento degli elettori.
L’attuale Governo, secondo i sondaggi, non ha il sostegno della maggioranza degli elettori. Questa condizione, certamente percepita a più livelli all’interno delle forze politiche, lo indebolisce, e lo allontana per naturale autodifesa, da una ricerca costante e ripetuta del confronto in Parlamento, per questo consultato nel limite dell’obbligo istituzionale. Pesa inoltre la perplessità a livello nazionale e internazionale sulla reale caratura politica del premier Conte, disposto a trasformare gli alleati politici in acerrimi nemici.

Quello che conta
Torniamo allo “stato d’emergenza”. Molte azioni legate alla vita quotidiana sono vietate o contingentate. Fino a data da destinarsi le nostre libertà personali restano limitate. E nonostante l’avvicinarsi della Fase 2, lo saranno anche dopo il 4 maggio. Al momento in cui scrivo non è possibile lasciare la propria residenza, se non per motivi di necessità o di salute, diversamente interpretati da regione a regione, attraverso i decreti attuativi. Passeggiare o correre non sempre è concesso. Ma non si vogliono descrivere qui solo le evidenze spicciole. C’è altro da sapere. Con sapore di paradosso.
Fino al 3 maggio non potrete sposarvi. Già, né in chiesa né in comune. Dopo si vedrà. Pensiamo a chi, magari travolto dalla tragedia del virus, poteva sperare in una pensione di reversibilità. È vita dura anche per i funerali. Esequie minime, solo al cimitero e la partecipazione ristretta ai familiari.
E in termini di diritti politici come vanno le cose? Nessuna manifestazione è possibile. Mentre scrivo so che non potrò partecipare alle celebrazioni del 25 aprile e del 1° maggio. Che restano però liberamente fruibili da chi rappresenta le Istituzioni. Una condizione che rappresenta un discrimine per chi dissente, e per tutti coloro che desiderano rendere pubblico il proprio punto di vista. Restano i social, ma l’accesso indiretto ai mezzi d’informazione esercitando il diritto di cronaca passivo, è più difficile, se non impossibile. Per essere fisicamente presenti, seppur distanziati, non viene lasciata che la finestra della disobbedienza, infrangendo la legge. Certo è vero che l’emergenza sanitaria esiste, ma a condizioni date l’esercizio delle prerogative politiche individuali ne è fortemente limitato.
Proviamo invece a vedere cosa è cambiato, con lo “stato di emergenza” dal punto di vista della produzione di beni. Prendiamo in esame due decreti della PdC emessi nelle date dell’11 e del 22 marzo 2020.
L’impressione che se ne ricava? Molto è possibile. Forse troppo. La delega è ampia per le imprese.
Un paragrafo, nel decreto dell’11, appare come una abdicazione al principio del distanziamento. “…laddove
non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento si impone l’uso di strumenti di protezione individuale”. Ma che genere di dispositivi si debbano indossare non è specificato. Ed è bene ricordare come in quel periodo le mascherine fossero pressoché introvabili. Senza distanza e senza protezioni quale tutela resta al lavoratore?
Abbiamo detto di una delega ampia. È bene ricordare la polemica scaturita dalla patente d’impunità rilasciata alle attività delle industrie “dell’aerospazio e della difesa”. Vengono definiti settori strategici. Dove si può lavorare a stretto contatto se dotati di strumenti di protezione individuale. Ritorna la domanda, quali?
Certo è che all’inizio di aprile Fincantieri annuncia il contratto con la Marina Militare: due sottomarini U 212 per una spesa di oltre un miliardo di euro. Se ne può fare a meno? A proposito, Fincantieri costruisce su licenza della Thyssen Krupp. Un nome che ricorda una pagina particolarmente dolorosa riguardo il capitolo delle morti sul lavoro. E relative impunità.
La produzione dell’F35 a Cameri continua. Cosa c’è di essenziale, oltre la tutela della salute degli operai, nell’assemblaggio di un cacciabombardiere dal costo di circa cento milioni di euro, cifra con cui si potrebbero realizzare mille posti letto di rianimazione.
Resta il fatto che fino al 4 maggio ogni imprenditore che ritenga la sua azienda essenziale all’interno della filiera produttiva potrà continuare a operare, inviando alla Prefettura una comunicazione. Vale il silenzio assenso. Secondo dati riferiti dalla Uil, attualizzati alla fine di marzo le richieste di deroga presentate sono state 15.980 in Emilia-Romagna, 14.279 in Lombardia, 4.664 in Piemonte. Quanti sono stati i controlli effettuati?

Concludiamo qui, ma già ora è urgente interrogarsi sui meccanismi di tenuta democratica del nostro paese. L’anomalia tutta italiana, di un governo nominato e non eletto, anche se prevista dalle leggi della Repubblica, indebolisce necessariamente l’azione di un esecutivo. Ancora di più la condizione delle due Camere, dove il divario tra la consistenza dei diversi gruppi e le attuali percentuali indicate dai sondaggi, rischia di trasformarle, in un sistema a circuito chiuso, lontano dal poter rappresentare efficacemente le istanze del paese.
Era davvero necessario dichiarare lo stato di emergenza? L’impressione è che venga svenduta dal sistema la grande illusione di vivere in una democrazia diffusa, dove la condizione irrinunciabile per partecipare è quella di dare potere ai tablet, ma quando le cose si fanno serie, le decisioni che contano si prendono nelle solite stanze.
In attesa della fase 2.
Mario De Pasquale



Art. 75 Cura Italia

(Acquisti per lo sviluppo di sistemi informativi per la diffusione
del lavoro agile e di servizi in rete per l'accesso di cittadini e
imprese)

1. Al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile di cui
all'articolo 18 della legge 22 maggio 2017, n. 8, favorire la
diffusione di servizi in rete e agevolare l'accesso agli stessi da
parte di cittadini e imprese, quali ulteriori misure di contrasto
agli effetti dell'imprevedibile emergenza epidemiologica da COVID-19,
le amministrazioni aggiudicatrici, come definite dall'articolo 3
decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonche' le autorita'
amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale
per le societa' e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi
pensione, in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella
penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle
leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono autorizzate, sino al 31
dicembre 2020, ad acquistare beni e servizi informatici,
preferibilmente basati sul modello cloud SaaS (software as a
service), nonche' servizi di connettivita', mediante procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ai sensi
dell'articolo 63, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 18
aprile 2016, n. 50, selezionando l'affidatario tra almeno quattro
operatori economici, di cui almeno una «start-up innovativa» o un
«piccola e media impresa innovativa», iscritta nell'apposita sezione
speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 25, comma 8,
del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221 e
all'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3,
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24
marzo 2015, n. 33.


Ovvero del fatto che il governo delle nostre vite è ad oggi e fino al 31 luglio, determinato da quanto consegue a uno “stato di emergenza”? Hanno consapevolezza di cosa significa e delle possibili conseguenze?
Quanti sono i cittadini in grado di recepire e interpretare i decreti e le leggi che ordinano il predetto stato? Credo che la risposta giusta sia pochi, pochissimi. La maggioranza dei cittadini basa le sue opinioni da quanto apprende dalla televisione e dal web. Pur riconoscendo che i dispositivi governativi e parlamentari sono accessibili con facilità dai siti dedicati, è da ritenere che ancora meno dei pochissimi siano andati alla consultazione diretta.
La coalizione al governo a fronte di una maggioranza di 353 deputati su 630, disporrebbe del consenso di soltanto il 37% degli elettori. Qualcuno può pensare di forzare i numeri, ma difficilmente si arriva a un plausibile 40%.