♠ in 4 maggio,Coronavirus,Cura Italia,democrazia,DPCM,F35,Fincantieri,governo,Marina Militare,mascherine,stato di emergenza at 16:11
Pubblichiamo un contributo di riflessione interessante da parte di un compagno simpatizzante del PCL
Ricordate
Matteo Salvini e il suo “…chiedo agli italiani pieni poteri”?
Stato
di emergenza
All'approssimarsi del 4 maggio l’euforia della liberazione diventa palpabile.
Complice il sole e l’avvicinarsi di una bella stagione (si spera),
tutti quelli che sono rimasti in buona salute aspettano il momento in
cui le misure disposte a contrasto della pandemia Covid 19 diventino
un fatto concreto. L’ottimismo è obbligato, ma la completa
libertà, è ancora lontana.
Sono
in fila per entrare al supermercato. Bologna. Tutto procede,
distanziamento rispettato, mascherine indossate, i più rigorosi, o
impauriti, portano anche i guanti. Questa condizione durerà ancora a
lungo.
In
fila ci sono persone di tutte le età, donne e uomini in età da
lavoro, pensionati. Nessun adolescente, questo fa pensare. E tanto
sole. Nonostante il caldo, nessuna esibizione di mezze maniche.
Meglio evitare anche un semplice raffreddore. O qualsiasi malanno che
imponga un contatta diretto con la sanità, il medico di base, il
numero verde, o peggio l’ospedale. Probabili reduci da notti di
informazione Covid, hanno ascoltato troppe parole, ricavandone poche
certezze.
In
fila l’euforia della liberazione sembra spegnersi. Prevalgono
mestizia e rassegnazione nell’accettare un cambio tanto radicale
dell’esistenza. Si conversa al telefonino, ma ci si guarda bene dal
rivolgersi a chi fisicamente è davanti o dietro di noi.
Distanziamento fisico, e soprattutto psicologico. Ognuno, credo, è
percepito come un potenziale portatore, un probabile veicolo
d’infezione. Non può essere diversamente, se tutti noi ci siamo
nutriti al quel festival della notizia e dell’allarme, che spesso
appare come frutto illegittimo dello showbiz.
Rimozione
Si
tende a dimenticare, a rimuovere. Aiutati da quella che è ormai
diventata la retorica del coronavirus, si diluiscono nella memoria,
se mai ne sono emersi, alcuni aspetti sostanziali del periodo che
stiamo vivendo. “Andrà tutto bene!” Forse, ma non è detto. La
cronaca si è fatta epopea di eroi. Ce n’è bisogno? Probabilmente
è il frutto dell’elusione a una domanda che il nostro paese deve
porsi, oggi più che mai: abbiamo maggior bisogno di eroi o forse è
meglio fare affidamento su efficienti e sufficienti strutture
sanitarie? Ripartiremo. Certo, a meno che non si metta in conto
l’estinzione della specie umana. Ma come ripartiremo?
Ancora
in fila. Il distanziamento impone precauzione e contingentamento
degli ingressi. È l’emergenza.
Siamo
in democrazia. Al telefonino impazzano quesiti serissimi su cosa
comprare per il pranzo, quale sia il detersivo mancante, dove trovare
il vino alla spina per risparmiare. Poi vengono i contenziosi
familiari, le notizie scambiate su parenti e nonni, che da un momento
all’altro non abbiamo potuto più incontrare. Finirà la clausura.
Pochi giorni ancora, è vero. Ma i contenuti del comunicare, sospesi
in una lontananza inconsapevole dalla gravità della situazione,
portano a galla una domanda. Quanti, qui e ora attori di questo
serpentone schietto e consumista, sono consapevoli fino in fondo di
cosa è cambiato sopra le loro teste, da gennaio a oggi?
31
gennaio: viene dichiarato lo stato di emergenza
Quale
è il livello attuale delle garanzie istituzionali verso il singolo,
rispetto a quanto sancito dalla Costituzione, con particolare
riferimento ai contenuti dell’art. 13. La domanda sorge spontanea
seguendo le notizie di cronaca. In che modo sono cambiati i limiti
delle inviolabili libertà personali?
Con
un certo senso di incredulità ho assistito all’esercizio
sproporzionato della dissuasione verso solitari bagnanti da parte di
elicotteri in volo a bassa quota; ho letto di una multa inflitta (e
prontamente tolta, con tante scuse) a una famiglia che portava la
figlioletta leucemica in ospedale per un controllo; non è mancata la
sanzione a chi, pur proditoriamente seduto con giornale, era in fila
per entrare al supermercato. Multa nonostante l’osteoporosi;
mancava il certificato. Non sappiamo com’è andata a finire. Nella
rete delle sanzioni anche un solitario canoista. Che tentasse di
contagiare i pesci? D’altro canto abbiamo assistito ai report delle
scuse più fantasiose, creative e assurde, per poter giustificare la
propria presenza fuori dai confini dell’abitazione.
Tutto
questo può accadere perché il 31 gennaio è stato dichiarato lo
“stato di emergenza” a causa della pandemia Covid 19. Sei mesi la
durata.
Una
prima considerazione: lo “stato di emergenza” non è previsto
dalla nostra Costituzione. L’unica emergenza contemplata è lo
stato di guerra (art. 78).
Il
dispositivo emesso dal Consiglio dei Ministri è una delibera, e come
tale non è soggetta all’approvazione del Parlamento.
È
l’art. 5 della L. 225\1992 a istituire il Servizio Nazionale della
Protezione Civile e a prevedere la possibilità di dichiarare lo
“stato d’emergenza”. Rileviamo una contraddizione, che riguarda
la sua durata. Nella legge è indicata in 180 giorni rinnovabili per
una volta. Nel regolamento della Protezione Civile (art. 24, comma 3
del D. legislativo n.1 del 2\1\2018) si legge invece che lo stato di
emergenza nazionale “non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile
per non più di ulteriori 12 mesi”. Un chiarimento sarebbe utile.
Il
decreto legislativo
“Per
l'attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di
emergenza dichiarato a seguito degli eventi di cui all'articolo 2,
comma 1, lettera c), si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga
ad ogni disposizione vigente”.
Tanto
potere viene attribuito al Consiglio dei Ministri, senza alcun
passaggio parlamentare. A parte la prevista ratifica dei decreti
legge. Che restano comunque efficaci per sessanta giorni.
Altra
condizione che deve fare riflettere riguarda la natura stessa del
decreto legislativo (fonte del regolamento di Protezione Civile).
Esso ha forza di legge, e sancisce una delega del Parlamento al
Governo, scavalcando il principio della separazione dei poteri. È il
governo a legiferare, senza alcuna discussione in Parlamento. È
accettabile?
Governo
Conte bis
In
principio era il Conte 1. La coalizione di governo Lega-5Stelle alla
Camera di 344 deputati su 630. Fuori dalla maggioranza, risultavano
ristretti in un unico vagone, passeggeri davvero incompatibili tra
loro. Uno schieramento eterogeneo, a definirlo con un eufemismo,
senza una concordanza d’indirizzi, che potesse riflettere una
qualche efficacia politica. Diversa e un poco più ballerina per il
governo la situazione in Senato.
Elezioni
Europee del 26 maggio. La Lega arriva al 34%. Il Movimento 5Stelle si
sgonfia fino al 17%, perdendone quasi il 19%. Diventa lecito qualche
dubbio sulla rappresentatività del premier Conte. Salvini invoca
nuove elezioni, ma le sue improvvide evoluzioni balneari, lo
porteranno a dover subire il Conte bis.
Il
Conte bis, o governo giallo-rosa entra in carica il 5 settembre.
Tecnicamente dispone di una maggioranza in aula, ma solo considerando
ancora attuali, e indicatori della volontà degli elettori i
risultati del 4 marzo 2018. Fatto che i recenti sondaggi mettono in
totale discussione. Molto è cambiato ad oggi, nelle percentuali di
gradimento degli elettori.
L’attuale
Governo, secondo i sondaggi, non ha il sostegno della maggioranza
degli elettori. Questa condizione, certamente percepita a più
livelli all’interno delle forze politiche, lo indebolisce, e lo
allontana per naturale autodifesa, da una ricerca costante e ripetuta
del confronto in Parlamento, per questo consultato nel limite
dell’obbligo istituzionale. Pesa inoltre la perplessità a livello
nazionale e internazionale sulla reale caratura politica del premier
Conte, disposto a trasformare gli alleati politici in acerrimi
nemici.
Quello
che conta
Torniamo
allo “stato d’emergenza”. Molte azioni legate alla vita
quotidiana sono vietate o contingentate. Fino a data da destinarsi le
nostre libertà personali restano limitate. E nonostante
l’avvicinarsi della Fase 2, lo saranno anche dopo il 4 maggio. Al
momento in cui scrivo non è possibile lasciare la propria residenza,
se non per motivi di necessità o di salute, diversamente
interpretati da regione a regione, attraverso i decreti attuativi.
Passeggiare o correre non sempre è concesso. Ma non si vogliono
descrivere qui solo le evidenze spicciole. C’è altro da sapere.
Con sapore di paradosso.
Fino
al 3 maggio non potrete sposarvi. Già, né in chiesa né in comune.
Dopo si vedrà. Pensiamo a chi, magari travolto dalla tragedia del
virus, poteva sperare in una pensione di reversibilità. È vita dura
anche per i funerali. Esequie minime, solo al cimitero e la
partecipazione ristretta ai familiari.
E
in termini di diritti politici come vanno le cose? Nessuna
manifestazione è possibile. Mentre scrivo so che non potrò
partecipare alle celebrazioni del 25 aprile e del 1° maggio. Che
restano però liberamente fruibili da chi rappresenta le Istituzioni.
Una condizione che rappresenta un discrimine per chi dissente, e per
tutti coloro che desiderano rendere pubblico il proprio punto di
vista. Restano i social, ma l’accesso indiretto ai mezzi
d’informazione esercitando il diritto di cronaca passivo, è più
difficile, se non impossibile. Per essere fisicamente presenti,
seppur distanziati, non viene lasciata che la finestra della
disobbedienza, infrangendo la legge. Certo è vero che l’emergenza
sanitaria esiste, ma a condizioni date l’esercizio delle
prerogative politiche individuali ne è fortemente limitato.
Proviamo
invece a vedere cosa è cambiato, con lo “stato di emergenza” dal
punto di vista della produzione di beni. Prendiamo in esame due
decreti della PdC emessi nelle date dell’11 e del 22 marzo 2020.
L’impressione
che se ne ricava? Molto è possibile. Forse troppo. La delega è
ampia per le imprese.
Un
paragrafo, nel decreto dell’11, appare come una abdicazione al
principio del distanziamento. “…laddove
non
fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro
come
principale misura di contenimento
si
impone
l’uso di strumenti di protezione individuale”. Ma che genere di
dispositivi si debbano indossare non è specificato. Ed è bene
ricordare come in quel periodo le mascherine fossero pressoché
introvabili. Senza distanza e senza protezioni quale tutela resta al
lavoratore?
Abbiamo
detto di una delega ampia. È bene ricordare la polemica scaturita
dalla patente d’impunità rilasciata alle attività delle industrie
“dell’aerospazio e della difesa”. Vengono definiti settori
strategici. Dove si può lavorare a stretto contatto se dotati di
strumenti di protezione individuale. Ritorna la domanda, quali?
Certo
è che all’inizio di aprile Fincantieri annuncia il contratto con
la Marina Militare: due sottomarini U 212 per una spesa di oltre un
miliardo di euro. Se ne può fare a meno? A proposito, Fincantieri
costruisce su licenza della Thyssen Krupp. Un nome che ricorda una
pagina particolarmente dolorosa riguardo il capitolo delle morti sul
lavoro. E relative impunità.
La
produzione dell’F35 a Cameri continua. Cosa c’è di essenziale,
oltre la tutela della salute degli operai, nell’assemblaggio di un
cacciabombardiere dal costo di circa cento milioni di euro, cifra con
cui si potrebbero realizzare mille posti letto di rianimazione.
Resta
il fatto che fino al 4 maggio ogni imprenditore che ritenga la sua
azienda essenziale all’interno della filiera produttiva potrà
continuare a operare, inviando alla Prefettura una comunicazione.
Vale il silenzio assenso. Secondo dati riferiti dalla Uil,
attualizzati alla fine di marzo le richieste di deroga presentate
sono state 15.980 in Emilia-Romagna, 14.279 in Lombardia, 4.664 in
Piemonte. Quanti sono stati i controlli effettuati?
Concludiamo
qui, ma già ora è urgente interrogarsi sui meccanismi di tenuta
democratica del nostro paese. L’anomalia tutta italiana, di un
governo nominato e non eletto, anche se prevista dalle leggi della
Repubblica, indebolisce necessariamente l’azione di un esecutivo.
Ancora di più la condizione delle due Camere, dove il divario tra la
consistenza dei diversi gruppi e le attuali percentuali indicate dai
sondaggi, rischia di trasformarle, in un sistema a circuito chiuso,
lontano dal poter rappresentare efficacemente le istanze del paese.
Era
davvero necessario dichiarare lo stato di emergenza? L’impressione
è che venga svenduta dal sistema la grande illusione di vivere in
una democrazia diffusa, dove la condizione irrinunciabile per
partecipare è quella di dare potere ai tablet, ma quando le cose si
fanno serie, le decisioni che contano si prendono nelle solite
stanze.
In
attesa della fase 2.
Mario
De Pasquale
Art.
75 Cura Italia
(Acquisti
per lo sviluppo di sistemi informativi per la diffusione
del
lavoro agile e di servizi in rete per l'accesso di cittadini e
imprese)
1. Al fine di agevolare
la diffusione del lavoro agile di cui
all'articolo
18 della legge 22 maggio 2017, n. 8, favorire la
diffusione
di servizi in rete e agevolare l'accesso agli stessi da
parte
di cittadini e imprese, quali ulteriori misure di contrasto
agli
effetti dell'imprevedibile emergenza epidemiologica da COVID-19,
le
amministrazioni aggiudicatrici, come definite dall'articolo 3
decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonche' le autorita'
amministrative
indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale
per
le societa' e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi
pensione,
in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella
penale,
fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle
leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto
legislativo
6 settembre 2011, n. 159, sono autorizzate, sino al 31
dicembre
2020, ad acquistare beni e servizi informatici,
preferibilmente
basati sul modello cloud SaaS (software as a
service),
nonche' servizi di connettivita', mediante procedura
negoziata
senza previa pubblicazione di un bando di gara ai sensi
dell'articolo
63, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 18
aprile
2016, n. 50, selezionando l'affidatario tra almeno quattro
operatori
economici, di cui almeno una «start-up innovativa» o un
«piccola
e media impresa innovativa», iscritta nell'apposita sezione
speciale
del registro delle imprese di cui all'articolo 25, comma 8,
del
decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con
modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221 e
all'articolo
4, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3,
convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24
marzo
2015, n. 33.
Ovvero
del fatto che il governo delle nostre vite è ad oggi e fino al 31
luglio, determinato da quanto consegue a uno “stato di emergenza”?
Hanno consapevolezza di cosa significa e delle possibili conseguenze?
Quanti
sono i cittadini in grado di recepire e interpretare i decreti e le
leggi che ordinano il predetto stato? Credo che la risposta giusta
sia pochi, pochissimi. La maggioranza dei cittadini basa le sue
opinioni da quanto apprende dalla televisione e dal web. Pur
riconoscendo che i dispositivi governativi e parlamentari sono
accessibili con facilità dai siti dedicati, è da ritenere che
ancora meno dei pochissimi siano andati alla consultazione diretta.
La
coalizione al governo a fronte di una maggioranza di 353 deputati su
630, disporrebbe del consenso di soltanto il 37% degli elettori.
Qualcuno può pensare di forzare i numeri, ma difficilmente si arriva
a un plausibile 40%.