Il trasporto aereo sta conoscendo in tutto il mondo un enorme processo di ristrutturazione legato alla crisi del settore, precipitata dalla pandemia. Naturalmente a scapito dei salariati. In Italia la danza attorno al cadavere di Alitalia, in amministrazione straordinaria, sta producendo l'attacco più grave. Una compagnia di bandiera saccheggiata negli anni e decenni da azionisti avventurieri e manager lestofanti, col concorso di tutti i governi, è in crisi terminale. I commissari da tempo incaricati della sua liquidazione, a garanzia dei creditori, sono alla fine dell'opera. Ma con qualche complicazione imprevista.
La UE, pressata dalle compagnie concorrenti, chiede ad Alitalia di restituire i 900 milioni di prestito ponte a suo tempo effettuato, in quanto “aiuto di Stato”, ciò che oggi determinerebbe il fallimento formale di Alitalia.
Ma se Alitalia va in fallimento, come possono i commissari straordinari che la gestiscono cedere i gioielli aziendali alla nuova compagnia subentrante (ITA, Italia Trasporto Aereo), e per di più garantire le banche creditrici? Da qui una duplice operazione. Da un lato il governo chiede formalmente alla UE di sospendere temporaneamente la richiesta di restituzione del prestito. Dall'altro lo stesso governo garantisce la UE che in omaggio alla libera concorrenza la nuova compagnia, controllata dal Tesoro, sarà in discontinuità con la vecchia. In altri termini, garantisce che non si tratta di una nazionalizzazione, più o meno mascherata.
La discontinuità annunciata si concretizza nel fatto che ITA, la nuova compagnia, assumerebbe solo 2800 lavoratori, sui quasi 11000 dipendenti attuali di Alitalia. Per di più i 2800 non sono necessariamente tra i lavoratori uscenti, perché verrebbero riassunti sul libero mercato. Gli uscenti che volessero provare ad essere riassunti dovrebbero fare tutta la trafila della presentazione del curriculum, partendo da zero. È la concorrenza, bellezza, quella tra i salariati.
Non è tutto. I 2800 “fortunati” verrebbero assunti non col contratto nazionale ma con un contratto aziendale che prevede tagli del 30% sui salari di tutte le figure professionali. E per gli altri 8000 lavoratori che rimangono a spasso? Nessuno di loro si illuda di poter godere del “privilegio” di una cassa integrazione lunga come i licenziati del 2008. Al massimo, se va bene, un anno di cassa integrazione, e un po' di formazione, per candidarsi sul mercato a futura memoria. ITA dichiara che ne potrebbe riassumere qualcuno entro il 2025, ma solo se il mercato lo consentirà.
In realtà tutto fa pensare che ITA sia solo una tappa dell'operazione. Come il governo Draghi ha già fatto intendere, non c'è alcuna volontà di tenere a lungo una compagnia controllata dal Tesoro. L'obiettivo è quello di ricollocare la nuova ITA sul mercato per nuovi compratori pescecani. Lufthansa si è candidata da tempo a rilevare le spoglie di Alitalia. La sua unica richiesta è quella dello spezzatino per poter comprare ciò che le conviene e mollare il resto. È esattamente quanto sta facendo il governo assieme ai commissari straordinari: separazione della cessione dei 52 aerei dalla cessione del marchio; esternalizzazione annunciata dei servizi aereo portuali; una deroga governativa nel decreto infrastrutture all'obbligo di accollarsi i dipendenti da parte di una azienda che acquisisce un ramo d'azienda da un'amministrazione straordinaria. ITA è dunque il nuovo boccone appetibile per il mercato capitalistico dell'aviazione europea. Il taglio dei posti di lavoro, le condizioni contrattuali umilianti dei pochi lavoratori assunti, sono l'offerta di mercato di ITA con la copertura del Tesoro. L'ex manager FIAT Alfredo Altavilla a capo di ITA è l'uomo perfetto per l'operazione: applica al trasporto aereo la logica di Marchionne.
Su questo terreno non c'è nulla da trattare. Persino le burocrazie sindacali che per lungo tempo hanno coperto un negoziato a perdere sono state costrette (per il momento) ad alzarsi dal tavolo. Ma non è sufficiente un gesto episodico e formale. È necessario che tutte le organizzazioni di classe del settore uniscano le proprie forze a difesa di tutti i posti di lavoro e dei diritti sindacali minacciati. È ciò che propone giustamente CUB Alitalia, sin dal 2008 l'organizzazione più coerente e determinata della categoria.
ITA ha annunciato per il 15 ottobre il proprio decollo? Sarebbe bene informarla che alle condizioni poste per quella data non ci sarà alcun decollo. Come i lavoratori possono occupare una fabbrica, così possono occupare le piste.
C'è bisogno al tempo stesso di una lotta generale di tutti i lavoratori e le lavoratrici del trasporto aereo di tutte le compagnie. Basta con la concorrenza al ribasso tra le compagnie sulla pelle dei lavoratori! L'intero trasporto aereo va nazionalizzato sotto il controllo dei lavoratori, a tutela dei posti di lavoro e della dignità di ognuno. Il trasporto è un servizio pubblico e deve essere posto sotto controllo pubblico, tutto. E devono essere i lavoratori a controllare direttamente la gestione del trasporto, sulla base di un piano nazionale, contro mazzette, ruberie, sprechi, clientelismi.
Occorre inoltre gettare un ponte verso tutte le altre vertenze a difesa del lavoro, a partire da GKN e Whirlpool, per una piattaforma di lotta comune contro i licenziamenti.
Giù le mani dal lavoro! Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio di tutte le aziende che licenziano! No a privatizzazioni mascherate!
È il tema di una petizione nazionale oggi promossa da avanguardie di lotta di diverse aziende in crisi, e di diversa appartenenza sindacale. Il PCL, assieme ad altri soggetti, sostiene convintamente questa petizione. La manifestazione nazionale di sabato 18 settembre a Firenze sarà un'occasione di sviluppo importante di questa campagna unitaria, nell'interesse dell'intero mondo del lavoro.