10 Ottobre 2021
L'attacco squadrista del 9 ottobre a Roma contro la sede nazionale della CGIL richiede alcune considerazioni aggiuntive rispetto al comunicato che abbiamo pubblicato, anche a fronte di alcuni elementi di confusione presenti nello stesso dibattito dell'avanguardia, o di posizioni che riteniamo profondamente sbagliate.
La prima considerazione riguarda la natura dell'atto compiuto, la sua matrice, il suo retroterra. Su questo non possono esserci dubbi o rimozioni di sorta. Si è trattato di un atto squisitamente fascista, guidato dai massimi dirigenti politici (Roberto Fiore) e militari (Giuliano Castellino) di Forza Nuova, per l'occasione affiancati da squadristi riconosciuti di altre formazioni di estrema destra, inclusi i capi delle curve (Verona in primis). Un atto non improvvisato, ma preparato e organizzato per tempo, nel quadro di una manifestazione nazionale, come tale convocata con post e locandine on line, con simbologie tricolori e parole d'ordine di Forza Nuova. Un atto che rientra nella peggiore tradizione del movimento fascista, come sa chiunque conosca la storia d'Italia, e non solo.
L'attacco è stato rivolto contro la sede nazionale del principale sindacato italiano. Non è un fatto casuale. Il movimento fascista si distingue storicamente da ogni altra espressione reazionaria proprio perché mira in ultima analisi alla distruzione di tutte le organizzazioni del movimento operaio, dalle più moderate alle più radicali. L'aggressione alle Camere del lavoro fu infatti l'esordio dello squadrismo un secolo fa.
Nessuna considerazione sulla politica della burocrazia sindacale può giustificare il rifiuto di condannare l'azione squadrista e/o il rifiuto di dare la solidarietà all'organizzazione sindacale aggredita. Non è questa infatti la tradizione dei comunisti rivoluzionari.
La burocrazia sindacale della CGL di un secolo fa era la stessa che aveva tradito il biennio rosso, che giunse a siglare il patto di pacificazione coi fascisti nel 1921, che finirà con l'accettare il proprio scioglimento da parte del governo fascista nel 1925 (Patto di Palazzo Vidoni). Alcuni dei suoi massimi dirigenti passeranno dalla parte del regime dopo le leggi eccezionali. E allora? I comunisti che combattevano questa politica della burocrazia con tutte le proprie forze furono in prima fila a difendere le Camere del lavoro dallo squadrismo, lasciando sul campo per questo centinaia di morti e feriti. Perché difendere le Camere del lavoro non era difendere la burocrazia ma il sindacato, la propria organizzazione di classe, più in generale il proprio diritto ad avere un sindacato.
Così, su un piano diverso, nel secondo dopoguerra. La CGIL di Di Vittorio – nata in contrapposizione alla CGL classista di Napoli con un'operazione burocratica diretta da Togliatti – era quella che tra il 1943 e il 1947 difese i governi di unità nazionale con Badoglio, Bonomi, de Gasperi, e quindi la loro politica di sacrifici, sblocco dei licenziamenti, incremento dello sfruttamento, ritorno dei vecchi padroni (come Valletta), e persino l'amnistia per gli aguzzini fascisti decretata da Togliatti, ministro di Grazia e giustizia. Fu la stessa burocrazia stalinista che nel 1948 tradì l'enorme sciopero generale spontaneo in reazione all'attentato a Togliatti abbandonando decine di migliaia dei propri militanti alla vendetta dei padroni e di Scelba. Eppure, quando dopo il 1948 si scatenò la reazione contro il movimento operaio, e si moltiplicarono gli attacchi a diverse Camere del lavoro, tutti i militanti classisti difesero la CGIL dalla reazione condannando senza riserve le aggressioni. Perché difendevano il proprio sindacato, e più in generale il diritto al sindacato come diritto dei lavoratori.
Naturalmente ad oggi non siamo né al 1921 né al 1948. Ma il punto è di metodo generale. Quando si difende un sindacato dalla reazione si difende un diritto collettivo della classe operaia, non i burocrati che lo tradiscono ogni giorno. Confondere le due cose, smarrire il confine tra movimento operaio e reazione nel nome della denuncia della burocrazia sindacale e delle sue malefatte non solo favorisce la tenuta di quest'ultima nel rapporto con la propria base, ma rischia, oltre una certa soglia, di portare lontano. Come portò lontano un secolo fa settori disorientati del sindacalismo rivoluzionario che in odio alla burocrazia finirono col confluire nel campo della reazione. Nessuna organizzazione del sindacalismo di classe, sia chiaro, ha oggi propensioni del genere, ma è bene da subito segnalare e rimuovere posizioni equivoche e pericolose. Tanto più se e quando si manifestano nel campo del sindacalismo di classe più combattivo e radicale.
I fatti di Roma inducono a una chiarificazione ulteriore sulla natura del movimento no vax e no green pass. Lo ribadiamo a scanso di equivoci: non equipariamo il movimento no vax e no green pass al movimento fascista. Tanto meno ci sogniamo di affermare che tutti i no vax e no green pass sono fascisti. Ma non è possibile mantenere ambiguità ed equivoci sulla natura reazionaria di questo movimento. L'humus che lo alimenta – non l'unico ma quello essenziale – si fonda sulla “libertà individuale” contrapposta alla solidarietà sociale, e sulla contestazione della scienza a favore di ciarlatanerie grottesche.
Sono gli ingredienti classici di movimenti populisti di carattere reazionario, non diversi da quelli che negli USA si sono raccolti attorno a Trump per la libertà di non vaccinarsi, libertà che oltretutto ha moltiplicato contagi, ricoveri e morti negli stati repubblicani del Sud. Movimenti populisti di carattere reazionario non diversi da quelli che in Brasile, col sostegno delle Chiese evangeliche, impugnano i crocifissi contro i vaccini, in un paese in cui il Covid ha fatto oltre seicentomila morti (e sono solo quelli censiti). Il 9 ottobre a Roma è stato applaudito dalla piazza il messaggio fatto pervenire da Monsignor Carlo Maria Viganò, simpatizzante lefebriano: “La pandemia è stata causata da Dio per punire peccati individuali e sociali”. C'è bisogno di aggiungere altro?
Questa è la ragione per cui le organizzazioni fasciste trovano nei movimenti no vax, nelle loro diverse declinazioni, un terreno naturale di pascolo, di reclutamento, di organizzazione, di egemonia di piazza. Quei compagni che pensano di contrastare l'egemonia dei fascisti sul terreno da loro scelto non solo contraddicono le ragioni di classe ma sono destinati a una marginalità umiliante e subalterna. La Piazza del Popolo a Roma della giornata del 9 ottobre ha fornito in questo senso un'immagine plastica: i caporioni fascisti sul palco a comiziare davanti a un pubblico plaudente, e un gruppetto di sinistra ai margini della piazza a fare da comparsa impropria e infelice in un film che non solo non è il suo, ma ha registi, scenografi, attori che militano ogni giorno contro di lui. Gli stessi che magari domani davanti allo sciopero dei trasporti denunceranno “il caos , le code, i diritti violati dei consumatori...” e naturalmente “la libertà costituzionale” di muoversi violata e impedita. È la libertà del piccolo-borghese di ogni tempo.
Per queste ragioni ribadiamo che è stato un errore aver introdotto la parola d'ordine del no al green pass nella piattaforma di lotta dello sciopero di domani. Un conto è opporsi alla cancellazione dello stipendio per chi non si vuole vaccinare, cosa importante, necessaria e giusta. Altra cosa è contrastare in quanto tale una misura che favorisce di fatto l'estensione della vaccinazione senza imporne l'obbligo (obbligo che oggi non è necessario e che avrebbe implicazioni assai più vincolanti e pesanti per chi non vuole vaccinarsi). Il rischio ora è che settori dei media presentino lo sciopero dell'11 come sciopero contro il green pass, ignorando totalmente la sua piattaforma classista. Circuiti no vax, infarciti di reazionari e fascisti, già hanno annunciato in alcuni territori la volontà di partecipare alle manifestazioni dell'11 “contro il green pass”. Crediamo, tanto più dopo i fatti di Roma, che ogni inquinamento delle manifestazioni sindacali da parte di tali ambienti vada respinto con la massima chiarezza e fermezza da tutte le organizzazioni promotrici.
Infine i fatti di Roma introducono un nuovo tema nella riflessione sulle pratiche dell'antifascismo, il tema dell'autodifesa e dell'azione diretta. L'esperienza del 9 ottobre ha confermato una volta di più che non sarà lo Stato borghese a proteggere le Camere del lavoro, e più in generale a contrastare i fascisti. I fermi di Fiore e Castellino valgono lo spazio di una telecamera.
Ciò che tutti possono osservare e sperimentare è che i picchetti operai sono sfondati a manganellate, con licenziamenti e fogli di via, o magari assaliti a bastonate dalle guardie private delle aziende con i poliziotti che stanno a guardare, mentre ai fascisti è stato consentito di devastare la sede nazionale della CGIL nella capitale d'Italia, con tanto di inni e foto ricordo. Ciò che è accaduto a Roma può accadere altrove. Occorre allora affrontare seriamente la questione dell'autodifesa. Non si può delegare allo Stato borghese una funzione che per sua natura non può assolvere. Occorre che ci pensi il movimento operaio e le sue organizzazioni.
La questione dei fascisti rimarrà sul tappeto nella prossima fase, e non solo per i no vax. Il 2022 è il centenario della Marcia su Roma, e già si annunciano iniziative di commemorazione dell'evento (manifestazioni, conferenze, raduni anche di carattere internazionale...) con le diverse organizzazioni fasciste Forza Nuova, CasaPound, Lealtà Azione, che in parte unitariamente, in parte in concorrenza tra loro, stanno lavorando ai festeggiamenti. Noi pensiamo che queste manifestazioni, comunque mascherate, non si debbano tenere. Punto. Ma per impedirle è necessario preparare e organizzare per tempo una mobilitazione antifascista che miri allo scopo.
A mettere fuori legge i fascisti non sono le leggi della democrazia borghese, come mostra l'esperienza italiana del dopoguerra e la stessa esperienza della Repubblica di Weimar con i suoi decreti antinazisti dei primi anni '30. Può essere solo la forza organizzata del movimento operaio, in una logica di fronte unico d'azione, ampia e risoluta.
Il Partito Comunista dei Lavoratori intende porre a tema questa necessità in tutte le organizzazioni antifasciste, di classe e di massa.