14 Ottobre 2021
Non è tutto oro ciò che brilla. Una riflessione di metodo sulle dinamiche di lotta
“Basta con la distinzione tra fascismo e comunismo, ideologismi che sono serviti solo a dividere il popolo”. Lo ha affermato Stefano Puzzer, cattolico praticante, oggi impegnato nello sciopero contro il green pass, capo di un sindacato autonomo del Porto di Trieste con cui USB ha rotto nel 2019 perché in mano a elementi di destra. Non pare esattamente un'avanguardia. È utile averlo presente per evitare di confondere lucciole e lanterne.
Ricapitoliamo.
La vaccinazione di massa è da sempre una battaglia del movimento operaio, contro oscurantismi ideologici antiscientisti. L'abbattimento del tasso di contagio, di ricoveri e di morti è oggi dovuto all'estensione della vaccinazione anti-Covid, come chiunque può capire. In un paese in cui il Covid ha ucciso più di 130.000 persone (oltre 5 milioni al mondo) solo i reazionari possono contrastare la vaccinazione.
A questo punto delle due l'una: o l'obbligo vaccinale o il green pass.
L'obbligo vaccinale è una soluzione assolutamente legittima. Se la pandemia dovesse aggravarsi potrebbe rivelarsi necessaria. Ma sapendo le implicazioni logiche: sanzioni maggiori per chi viola la legge, e in ogni caso, ovviamente, la certificazione della vaccinazione avvenuta.
Il green pass è una soluzione di mediazione: riconosce il diritto a non vaccinarsi, assieme al diritto dei vaccinati di abbassare drasticamente il rischio di contagio e le conseguenze peggiori della malattia. Una certificazione, come un certificato elettorale o una patente. Non un “ricatto” ma la certificazione di un diritto.
Altra cosa è la gestione del green pass da parte del governo. La privazione dello stipendio per chi non vuole vaccinarsi è un'enormità. Scandalosa è la difficoltà per molti lavoratori a tamponarsi per la carenza di farmacie, luoghi e dipendenti che facciano i test. Assurdo che le multe per la violazione delle regole siano maggiori per i lavoratori che per i padroni che non controllano. Si possono fare molti esempi. Per non parlare di possibili discriminazioni padronali. Su questo terreno è necessaria ovunque un'azione di mobilitazione, di vigilanza sindacale, di controllo operaio. È il terreno della lotta di classe. Ma contestare il green pass in quanto tale, senza rivendicare l'obbligo vaccinale, è una posizione di indifferenza al contagio, ai ricoveri, ai morti. Non la difesa dei lavoratori, ma il loro abbandono.
Il fatto che posizioni reazionarie possano penetrare in settori di lavoratori, e orientare scioperi, non è un fatto nuovo. Nella lunga storia del movimento operaio è accaduto tante volte. Nel tardo Ottocento e nel primo Novecento vi sono stati scioperi contro la parificazione dei diritti tra uomini e donne, scioperi contro l'uguaglianza tra lavoratori bianchi e neri, scioperi contro i diritti degli immigrati, persino scioperi a favore di guerre imperialiste. Uno sciopero non è di per sé una garanzia della natura progressiva delle sue ragioni. I comunisti, se sono tali, sanno distinguere, sapendo anche andare controcorrente rispetto al senso comune dei lavoratori, quando questo è segnato da posizioni regressive. Viceversa chi benedice indifferentemente ogni lotta e ogni movimento per il solo fatto di essere tali, può anche pensarsi come irresistibile rivoluzionario ma svolge di fatto un ruolo di conservazione della società borghese.
Certo, quando posizioni reazionarie si diffondono anche tra lavoratori – oggi fortunatamente una netta minoranza – è necessario chiedersi perché. Il movimento no vax e no green pass non nasce dal nulla. Capitalizza su un terreno reazionario un'insoddisfazione sociale diffusa che, privata di riferimenti e prospettiva alternativi, trova a volte nel “no green pass” una valvola di sfogo onnicomprensiva. Lavoratori pressati dall'erosione dei salari, dal caro bollette, dalla minaccia di sfratti, dall'attacco al posto di lavoro, dalle mille disfunzioni di una sanità pubblica falcidiata dai tagli (per ingrassare la sanità privata e pagare il debito pubblico alle banche), possono farsi abbagliare da chi presenta loro il green pass come vessazione e ricatto. Per distogliere la loro attenzione dalle vere questioni di classe e dirottare la loro rabbia sociale verso falsi bersagli.
Non è questa una buona ragione per accodarsi al no al green pass, come purtroppo hanno fatto forze diverse dello stesso sindacalismo di classe. È invece una ragione più che sufficiente per costruire una vera prospettiva classista e anticapitalista che ricomponga l'unità di lotta dei lavoratori e delle lavoratrici attorno a una piattaforma generale progressiva, contro il padronato, contro il governo, contro la linea di unità nazionale attorno a Draghi oggi promossa dalla burocrazia CGIL. Ma per questo occorre partire dalla distinzione tra avanguardia e retroguardia. Tra la lotta GKN e quella del porto di Trieste. La prima è la possibile locomotiva di un riscatto attorno alle ragioni generali del lavoro, la seconda è un fanalino di coda che fa da zavorra.