Intervistato da Left, il cui sottotitolo propugna niente meno che «un pensiero nuovo a sinistra», De Magistris ha snocciolato in sintesi i principali punti del programma di Unione Popolare.
Left presenta De Magistris quasi come un martire: «chi glielo ha fatto fare di metterci la faccia», di raccogliere «le firme sotto l’ombrellone». L’ego smisurato dell’uomo e l’ambizione sfrenata per la sua carriera sono - è proprio il caso di dirlo visti i riferimenti balneari - insabbiati dal commovente sacrificio strappalacrime dell’ex magistrato per il bene nostro.
Nella prima parte dell’intervista, De Magistris commenta la situazione generale e illustra i grandi valori vagamente retorici della nuova coalizione. Scopriamo così che Unione Popolare è «sostanziata da percorsi e da persone credibili», a differenza dei personaggi dell’ultima legislatura che sarebbero «saltimbanchi» di un «quadretto tragicomico» di capi di partito interessati alle poltrone anziché ai programmi.
Left è molto generosa, perciò a questo punto non domanda per quale motivo De Magistris abbia continuato a cercare un accordo con ben due di questi saltimbanchi, Conte e Fratoianni, addirittura per fare con loro un «terzo polo» che mettesse in pratica quel che «il M5S ha detto ma evidentemente non vuole realizzare». Sono credibili Conte e Fratoianni dopo un’intera legislatura passata il primo al servizio del sistema, e una vita, il secondo, spesa tra l’appoggio al PD e l’opposizione di Sua Maestà? Ha senso aver cercato accordi con loro? E senza scomodare costoro sono credibili Acerbo e tutta la nomenclatura di Rifondazione che, finché sono stati in parlamento, hanno giocato più o meno lo stesso gioco di Conte e Fratoianni? Sta di fatto che se oggi Unione Popolare è un po’ più credibile, par di capire, lo deve non a De Magistris, ma al rifiuto dei due saltimbanchi di allearsi con lui. Siamo quindi sicuri che la marionetta di sé stesso non sia qualcun altro?
In ogni caso la forza di Unione Popolare sta nel suo pacifismo di fondo. Null’altro è dato di sapere sul tema, se non che solo tale compagine può fregiarsi di un simile fiore all’occhiello. Pare chissà quale atto di coraggio anziché il contrario, tacere che l’Ucraina è un paese invaso dall’imperialismo russo armato di bombe atomiche, e che essere contro la guerra, oggi, ha senso solo se si è innanzitutto contro la guerra della Russia. Evidentemente queste verità elementari non interessano a De Magistris, lui è pacifista equidistante, e come è risaputo chi è equidistante tra il debole e il forte, sta di fatto dalla parte del più forte. Infatti De Magistris in nome del pacifismo solidarizza con curdi e palestinesi, ma con gli ucraini nemmeno nominati evidentemente no.
La sola e unica proposta pacifista presente sulla piazza è pure «ambientalista, costituzionalmente orientata, per la giustizia sociale». Che la Costituzione sia orientata per la giustizia sociale è l’eterno ritorno di un mito duro a morire. La verità è che in mezzo ai tanti fronzoli sulla giustizia sociale, la Costituzione contiene ben più corposi articoli a protezione della proprietà privata borghese. Prendere come asse della propria proposta sociale l’architrave su cui si è retta la ricostruzione del capitalismo imperialista italiano dal crollo del fascismo ad oggi non appare proprio come la formula della lungimiranza. Soprattutto se pensiamo a quanti prima di De Magistris non abbiano cavato ragno dal buco strimpellando suppergiù la stessa solfa. Ma tant’è, la nuova sinistra si fa con le stesse identiche chiacchiere della vecchia.
Fin qui il minimalismo della pars destruens, ma Left incalza con la pars costruens: «quali sono le vostre proposte?».
Così risponde l’ex magistrato:
«un reddito domestico» per «contrastare la povertà». Una volta la sinistra voleva grandi mense e lavanderie pubbliche eccetera, per sollevare la donna dal lavoro domestico e strapparla così alla clausura casalinga ed famigliare. Oggi De Magistris vuole darle un piccolo reddito per barricarla in cucina e alleviare con un palliativo il suo sfruttamento, magari in omaggio alla femministe piccolo-borghesi, non sia mai che lo votino, visto che loro per prime avanzano simili, rivoluzionarie pretese.
Al reddito domestico va aggiunto «un reddito di cittadinanza». Left sorvola sul fatto che il reddito di cittadinanza già c’è. Sorvoliamo anche noi, perché il problema vero è un altro, prepariamoci però: se già Di Maio aveva abolito la povertà col reddito di cittadinanza, col raddoppio del reddito domestico, De Magistris si appresta a darle cappotto...
Il punto reale è che il reddito di cittadinanza oggi va a circa un milione di persone per poco più di 500 euro di media al mese. Le donne casalinghe in Italia si aggirano sui 7 milioni, in pratica, per modificare la situazione, De Magistris dovrebbe moltiplicare per 7 il reddito di cittadinanza. Quindi stiamo parlando solo di uno spot elettorale, eppure lui definisce il suo programma concreto, non «astrattamente utopistico». Un programma astrattamente utopistico, cioè rivoluzionario, potrebbe anche attuarlo un simile punto (anche se non ne avrebbe alcun bisogno tanto è retrogrado), ma un programma così concreto e realistico che non si azzarda a varcare le colonne d’Ercole della Costituzione capitalista può tranquillamente riporlo nel cassetto dei sogni.
La concretezza del doppio reddito si fa ancora più articolata e profonda in materia di lavoro. Il lavoro bisogna «crearlo», cioè moltiplicarlo. La sinistra in origine voleva dividerselo fino ad azzerarlo – «lavorare meno per lavorare tutti!» era lo slogan. Liberarsi una volta per tutte dello sgobbo era il vecchio scopo, quella nuova non vede l’ora di appiopparcelo, perché «solo con il lavoro c’è emancipazione». Il lavoro nobilita, insomma, pensieri non così distanti da quelli più medioevali dei negrieri delle piantagioni.
La storia della società di classe ci mostra da 5000 anni esattamente l’opposto delle idee finto progressiste di De Magistris. Quel poco di buono che la cosiddetta civiltà ha mostrato rispetto alle altre formazioni sociali, cioè arte, filosofia, scienza, astronomia eccetera, lo deve essenzialmente a una classe di privilegiati che ha potuto emanciparsi fino a far niente tutto il giorno sfruttando il lavoro degli altri. Ci si emancipa liberandosi progressivamente dal lavoro, non incatenandosi per altri cinque anni all’emancipazione modello De Magistris! È così vero che una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, sia giornaliero che di vita (abolizione della Legge Fornero e ripristino dei 35 anni di lavoro per la pensione), al momento non è previsto. Come non è prevista alcuna abolizione di tutte le leggi sul precariato (magari apparirà successivamente, ma è significativo che alla prima intervista sia saltata).
Chi crea il lavoro per De Magistris? Innanzitutto lo stato borghese, prima con l’assunzione del milione di dipendenti pubblici di berlusconiana memoria; poi l’impresa naturalmente, specie se è piccola e media. Il nuovo modo di essere di sinistra non parla solo a dipendenti pubblici e operai ma «anche al vasto mondo dei professionisti, delle partite Iva, dei lavoratori autonomi. Dobbiamo pensare anche alle piccole e medie imprese. Vanno sostenute. Meno burocrazia e più incentivi se creano lavoro e rigenerazione urbana, riqualificazione».
La crisi economica che va avanti dal 2008 è la crisi del capitale piccolo, medio e grande, ma nessuno è stato più colpito di quello piccolo e medio. Più sei grande, meglio ti difendi dalla tempesta. Perciò nessuno più della piccola e media impresa ha dovuto chiudere i battenti, trascinando con sé il mare di disoccupati e precari in più che ci ritroviamo. La piccola, media impresa che, pur senza aver colpa diretta, è il maggior responsabile nei fatti dell’aumento vertiginoso dell’esercito industriale di riserva, è vista da De Magistris come la soluzione al problema da lei stessa creato. Come se fino ad oggi, oltretutto, il capitale di tutte le taglie non avesse avuto sgravi e incentivi da parte dei governi di tutti i colori. Se sgravi e incentivi non han risolto il problema prima, né con Monti né con Renzi né con nessun altro, non lo risolveranno nemmeno ora con De Magistris. Il fatto è che mai come oggi il capitalismo, per un posto di lavoro che “crea”, ne distrugge altri due. Non c’è incentivo o sgravio che, partendo dalla centralità del capitale, possa invertire la rotta. Bisogna immaginare e volere il lavoro libero dal capitale, perché il lavoro non ha bisogno del capitale per essere creato, tanto più che “creare lavoro” è un’espressione empirica, da analfabeti in materia di economia politica. Il capitale infatti non crea mai lavoro, il capitale crea il profitto, cioè sé stesso. Ma la coppia capitale-lavoro è indissolubile per De Magistris, perché la nuova sinistra non vede l’ora di essere trainata dai baristi che non trovano lavoratori (in nero) per colpa del reddito di cittadinanza. E se non li trovano ora col reddito di cittadinanza, chissà quanti posti di lavoro "creeranno" quando De Magistris l'avrà raddoppiato, affiancandogli il futuristico "reddito domestico".
Come finanziare redditi domestici e posti di lavoro come se piovesse nella pubblica amministrazione? Tassando «le grandi rendite finanziarie, quelle degli oligarchi e gli extra profitti delle multinazionali». I profitti normali evidentemente le multinazionali possono tenerseli, così come non è prevista alcuna patrimoniale. Meno ancora è prevista la nazionalizzazione di credito e banche, unica misura che renderebbe davvero possibile la tassazione col contagocce di De Magistris. Anche questa, infatti, diventa impossibile se tutte le leve economiche restano in mano ai privati. In compenso è previsto il salario minimo e l’adeguamento al costo della vita. Un salariato che prenda più di quello che gli serve per arrivare alla fine del mese non è previsto, serve che abbia quel tanto che basta per continuare a fare il salariato tutta la vita.
Null’altro da segnalare del primo schizzo abbozzato di programma, se non qualche parola di rito sull’acqua pubblica, sulle rinnovabili, sulla raccolta differenziata e l’economia circolare, sulla cultura e sul turismo, oltre alla perla sui diritti civili: «Noi non avremo nessun problema ad attuare i diritti civili». E lo dice uno che bacia il sangue di San Gennaro e che, da cattolico fervente, non dice una parola sul necessario esproprio di tutte le proprietà e prebende della Chiesa per attuarne anche solo mezzo.
La radicalità di Unione Popolare al momento è tutta qui. Se abbiamo fatto pelo e contropelo al De Magistris pensiero non è per voler a tutti costi dargli contro. Noi infatti siamo pronti a sostenere anche il più piccolo dei suoi apparenti miglioramenti per i lavoratori. Persino l’improbabile reddito domestico, pur criticandolo, non ci sentiremmo di farlo mancare a casalinghe imprigionate dall’impossibilità di un’alternativa qualunque.
La disamina precisa e millimetrica del programma di De Magistris la facciamo a futura memoria per i nostri critici più accaniti. La parabola di tutti questi tentativi di sinistra interclassista e subalterna segue un canovaccio collaudato. Di norma, specie quando non si ha prospettiva immediata di governo, si parte con un programma molto più robusto per poi diluirlo mano mano che al governo ci si avvicina.
Quello di De Magistris e Unione Popolare parte già molto annacquato perché fin da subito vuole essere «un programma radicale ma di governo». Il nuovo pensiero di sinistra si presenta insomma come la vecchia Rifondazione “di lotta e di governo”. E si sa che tra la lotta e il governo, cioè tra i lavoratori e i padroni, prevalse l’interesse di governo, l’interesse del capitale.
Come mai De Magistris parla di governo, quando anche raggiungere il quorum appare un’impresa molto difficile? Perché qualora avvenga il miracolo, potrebbe essere il nuovo governo ad aver bisogno della stampella dei miracolati. Ecco allora che il profilo basso di Unione Popolare serve a rendere più digeribile l’eventuale tradimento subito dopo le elezioni, quando l’ex magistrato potrebbe correre in soccorso di Letta o di qualcun altro, traghettando tutto il suo partito personale dentro il nuovo carrozzone di larghe intese, lasciando con il cerino in mano chi glielo ha lasciato costruire, conservando stretto per sé il ruolo della serva.