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Ondata di scioperi in Gran Bretagna per forti aumenti salariali


Un esempio per la classe operaia italiana

Gli scioperi per il salario ritornano sullo scenario della lotta di classe. Non (ancora) in Italia, ma in altri paesi d'Europa.
In Francia nel mese di giugno, presso alcune aziende dell'industria e legate al settore dei trasporti. Ma soprattutto ora in Gran Bretagna, col quarto sciopero generale in nove compagnie ferroviarie e agitazioni salariali in via di propagazione nella logistica (Amazon), nei porti, nei trasporti urbani, nell'università, nelle telecomunicazioni (British Telecom), nella sanità e nella scuola. La stampa britannica parla dell'“estate del malcontento”. Complessivamente, è la più importante ripresa di scioperi nel paese degli ultimi decenni.

Il panorama sindacale inglese è stato segnato dal ciclone di Margaret Thatcher (1979-1990). Il governo della “lady di ferro” promosse le peggiori leggi antisindacali d'Europa: la massima restrizione del diritto di proclamazione degli scioperi e il divieto per legge degli scioperi di solidarietà. Il governo Cameron in anni recenti ha peggiorato il quadro limitando ulteriormente gli spazi di agibilità sindacale. Le trade unions che ancora nel 1995 registravano 13 milioni di iscritti, ne contano ora poco più di sei milioni. Un dimezzamento della propria forza organizzata.

Ma nulla è per sempre nella lotta di classe. La Brexit aveva promesso alla classe operaia un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro grazie al recupero della cosiddetta sovranità. Ma nessuna delle promesse si è realizzata. Ed anzi il peggioramento della condizione operaia nell'ultimo quinquennio è stato al centro dello scenario pubblico. La crisi del governo Johnson ha avuto come sfondo non solo la gestione disastrosa della pandemia o i costumi personali del premier, ma il logoramento del consenso sociale attorno al governo conservatore.

Ora un'inflazione tra il 9% e il 13%, senza eguali in Europa, ha trasformato il dissenso passivo in una prima reazione di lotta di importanti settori di salariati. Una reazione con riverberi non solo sindacali ma politici.
Lo scontro interno al Partito Conservatore sulla successione a Johnson ha come oggetto la risposta da dare al conflitto sociale, con la favorita Liz Truss che apertamente rivendica l'eredità della Thatcher e annuncia in caso di vittoria il varo di nuove leggi antisciopero che impediscano «al sindacalismo militante di prendere in ostaggio la nazione britannica».
Il Partito Laburista, spiazzato dagli scioperi, non sa bene che pesci prendere. Il leader Keir Starmer, succeduto a Corbyn, ha vietato ai ministri del suo governo ombra di prendere posizione a favore degli scioperanti per guadagnare credibilità agli occhi della City. Ma il partito è scosso. Persino alcuni ministri ombra hanno disobbedito al segretario schierandosi a sostegno dello sciopero dei ferrovieri. Mentre la burocrazia delle trade unions, che pur si oppone alla generalizzazione dello scontro, cerca di usare lo sciopero per rafforzare il proprio peso specifico nel partito.
Di certo la crisi interna al Partito Conservatore, la successione irrisolta ai vertici del governo, e persino il declino della Regina per via dell'età e dei malanni, conferiscono a questa prima ripresa della lotta di classe in Gran Bretagna un'importanza particolare. Non solo sindacale, e non solo per la Gran Bretagna.

Mentre il grosso della sinistra politica italiana vive la campagna elettorale come spazio separato dalla lotta di classe e senza alcuna centralità della rappresentanza del lavoro, noi diciamo che la prima ripresa degli scioperi britannici, l'affacciarsi di agitazioni salariali in Francia, la ripresa del sindacalismo americano valgono di più, in termini di potenzialità di svolta, di ogni altro fattore elettorale o politologico. È sul terreno della lotta di classe, e soprattutto del suo incontro con un programma anticapitalista, che può maturare una prospettiva di vera alternativa.

Così anche in Italia. Giorgia Meloni si è già affrettata a celebrare anzitempo la propria annunciata vittoria elettorale e conquista del governo. Ma non tutto si gioca sul terreno politico istituzionale. Ed ogni soluzione di governo che emergerà dal voto dovrà comunque misurarsi con le incognite dello scontro sociale. La classe operaia italiana ha certo subito un lungo ciclo di arretramenti sociali e delusioni politiche. Ma non è uno scenario irreversibile. Per questo indichiamo gli scioperi britannici come esempio per il proletariato italiano. Solo una ripresa della lotta dei lavoratori attorno a una propria piattaforma unificante può innescare dal basso uno scenario nuovo, scompaginare gli assetti politici esistenti, aprire la breccia di un'alternativa. Il PCL porta e porterà questo tema centrale in ogni battaglia. Anche sul terreno elettorale, dove ne abbiamo la possibilità.

Partito Comunista dei Lavoratori