Il vuoto di rappresentanza autonoma dei salariati
I partiti e gli schieramenti borghesi si scontrano all'arma bianca solo per contendersi la rappresentanza della stessa classe. La classe che hanno servito negli ultimi trent'anni, in alternanza o in collaborazione. Perché hanno governato tutti. Senza eccezioni.
“DONNA, MADRE, CRISTIANA”: LA PATRIOTA DELL'INDUSTRIA MILITARE
Il centrodestra, grande favorito del 25 settembre, ha governato per più di undici anni, con tutti i suoi partiti.
Ha governato naturalmente Berlusconi in primis, che oggi sogna una riforma presidenziale che possa portarlo al Colle. Ha governato più a lungo la Lega, anche a braccetto del M5S, sotto la guida di un Matteo Salvini che cerca di nuovo riparo nel futuro ministero degli interni per recuperare consenso elettorale sulla pelle dei poveracci. Ma ha governato anche la patriota Giorgia Meloni, ministra per la gioventù nell'ultimo esecutivo Berlusconi (2008-2011), quello che ha tagliato 8 miliardi alla scuola pubblica (Gelmini), e più di 10 miliardi al sistema sanitario, per ingrassare sanità privata e pagare il debito alle banche.
Non solo. Meloni ha votato sotto il successivo governo Monti la famigerata riforma Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione (Art 81) dietro indicazione dell'Unione Europea, per garantire il soccorso europeo alle banche italiane. Altro che “amica del popolo”! Peraltro la stessa Giorgia nazionale (“Donna, Madre, Cristiana”) che nel suo recente best seller rivendica «la responsabilità di una storia lunga 70 anni, ereditata da Almirante, Rauti e Fini» (altro che abiure) cerca oggi di rassicurare il capitale finanziario internazionale e professa un inossidabile atlantismo. Il suo patriottismo non è solo ideologia da comizio per la platea di Vox, ma anche difesa dell'industria militare tricolore (di cui l'amico Crosetto è illustre esponente), nella spartizione dei fondi europei e degli equilibri del Mediterraneo. Così il blocco navale anti-immigrati e le pose forcaiole in fatto di ordine pubblico non servono solo a dirottare verso falsi bersagli e nelle forme più odiose la rabbia sociale di ampi strati popolari, raggranellando il consenso da portare in dote alla borghesia, ma anche a lustrare le proprie mostrine agli occhi della Polizia e dei Carabinieri, oggi contesi alla Lega.
Resta un paradosso di fondo: il centrodestra gode del consenso maggioritario dei salariati nel momento stesso in cui annuncia un'incredibile flat tax a vantaggio dei capitalisti (sia essa al 15% o al 23%), messa a carico dei salariati stessi, con l'aumento delle tasse per i lavoratori in caso di flat tax al 23%, e/o col taglio ulteriore delle spese sociali e/o con nuovo indebitamento pubblico. Il paradosso misura il disastro compiuto a sinistra nell'arco di trent'anni.
Il PD DRAGHIANO E LA SUA CRISI. L'IMPOSSIBILE DC DELLA SECONDA REPUBBLICA
Il PD ha ostentato l'identificazione con il draghismo. Cioè con il governo del capitale finanziario nazionale ed europeo al massimo livello di rappresentatività. L'accordo con Calenda, poi disdetto da Calenda, e la successiva candidatura di Carlo Cottarelli, sono la carta identitaria del PD: un partito da sempre candidato a svolgere il ruolo della Democrazia Cristiana nella Seconda Repubblica, senza mai disporre della forza della DC e del contesto d'epoca che la rese possibile. Più precisamente, il ruolo di un partito borghese liberale con influenza di massa quale garante della stabilità. Il PD ha governato sempre negli ultimi dodici anni, con l'unica parentesi del primo governo Conte. Ha avuto tre presidenti del Consiglio (Letta, Renzi, Gentiloni) e le presidenze della Repubblica (Napolitano e Mattarella). Ha fornito un sostegno determinante a Monti e Draghi. È stato a tutti gli effetti il partito del potere, un architrave di sistema.
Il suo programma elettorale rivendica una dopo l'altra le “riforme” raccomandate da Confindustria: ulteriori privatizzazioni (ex Alitalia) sulla pelle dei lavoratori, liberalizzazioni di mercato nei servizi pubblici a vantaggio del capitale (Uber), controllo e gestione dei fondi europei a favore delle imprese, contenimento del debito pubblico a salvaguardia degli equilibri politici nella UE, difesa dei grandi monopoli energetici.
Le pose ambientaliste e sociali mimate da alcuni settori del PD, e dallo stesso Letta dopo la rottura di Calenda, sono solo una cartina fumogena. Basti pensare all'aumento delle spese militari del ministro della difesa Guerini, o alla rivendicazione dell'abolizione dell'IRAP, 13 miliardi sottratti in piena pandemia al finanziamento della sanità pubblica. Mentre persino la minitassa timidamente ventilata sulle successioni superiori ai 5 milioni – in sé assolutamente irrisoria – batte rapidamente in ritirata sotto il fuoco propagandistico della destra.
La verità è che nella storia degli ultimi trent'anni il PDS, poi i DS, infine il PD, è stato l'ariete di sfondamento delle politiche antioperaie. La precarizzazione del lavoro, a partire dal lavoro interinale, ha avuto quella matrice, nel 1997. Lo stesso vale per la deregolamentazione contrattuale, la distruzione dei diritti (prima della scala mobile, poi dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), l'equiparazione tra scuola pubblica e privata, la privatizzazione dell'acqua pubblica, il taglio a sanità e pensioni, le politiche di guerra, a partire dall'aggressione NATO alla Serbia. Sullo stesso terreno democratico vanta gli accordi infami con la Guardia libica per il sequestro e le torture dei migranti (Minniti), su cui oggi si limita a sospendere il giudizio, ed anche le riforme reazionarie della legge elettorale in senso maggioritario.
Se oggi il centrodestra minaccia di conquistare la maggioranza assoluta del Parlamento senza avere la maggioranza assoluta dei voti è grazie alla legge elettorale voluta dal PD. Che poi si presenta come... “barriera” contro la destra. Dopo aver governato con Berlusconi e Salvini e aver spianato la strada a Meloni.
IL MOVIMENTO 5 STELLE. UNO, NESSUNO, CENTOMILA, MA SEMPRE AL SERVIZIO DEL PADRONATO
Il Movimento 5 Stelle cerca di sopravvivere al proprio collasso mimando lo scavalcamento del PD sul terreno sociale. È un'operazione consentita dal profilo draghiano del PD, ma è un'operazione penosa.
Il M5S è stato il principale partito di governo della legislatura uscente, l'unico che ha governato sempre e con tutti. Ha preservato tutte le leggi antioperaie dei governi precedenti, a partire dalla distruzione dell'articolo 18. Ha siglato con Salvini i famigerati decreti sicurezza contro gli immigrati e i diritti di lotta dei lavoratori (criminalizzazione di blocchi stradali, picchetti, occupazioni...). Ha gestito col PD le politiche della pandemia, abbandonando al disastro un servizio sanitario immutato, obbedendo ai diktat criminali di Confindustria contro l'applicazione della zona rossa in Val Brembana, concertando con padronato e burocrazie sindacali la pace sociale nelle fabbriche contro le dinamiche di sciopero (marzo 2020) e in cambio di garanzie finte sulla sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro, aggirate da padroni e prefetture e prive di conseguenze in caso di inosservanza. Infine ha preso parte al governo Draghi e all'enorme operazione a debito, nazionale ed europeo, verso il capitale finanziario. In tutti e tre i governi ha sostenuto l'aumento progressivo delle spese in armamenti.
Le pose dell'ultima ora sul piano sociale non possono ingannare nessuno: la richiesta del salario minimo è stata disattesa in primo luogo dai governi Conte sotto il veto di Confindustria e burocrazia sindacale. Quanto al reddito di cittadinanza, già in partenza assolutamente insufficiente, discriminatorio verso gli immigrati non residenti da almeno dieci anni e penalizzante verso i nuclei familiari più numerosi, è stato ulteriormente riformato in senso peggiorativo dai governi Conte due e Draghi, sotto la pressione delle organizzazioni padronali che vogliono mano libera per sotto salari e sfruttamento.
SINISTRE CORRESPONSABILI E (DIVERSAMENTE) SUBALTERNE.
COSTRUIRE LA RAPPRESENTANZA AUTONOMA DEI SALARIATI
Questo panorama generale non si è affermato per un destino cinico e baro. Vi hanno concorso le responsabilità dei gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale dell'ultimo trentennio. Inclusi i quattro anni di corresponsabilità di governo sotto i due governi Prodi (PRC), e i tre anni aggiuntivi sotto i governi D'Alema e Amato, nel caso di Rizzo. Esperienze che hanno non solo contribuito a colpire la classe operaia ma hanno demolito perciò stesso la credibilità della sinistra come riferimento del lavoro. Acqua passata, si dirà, e invece no. Ciò che oggi accomuna le diverse sinistre che si affacciano al voto è la loro subordinazione diretta o indiretta ai poli borghesi e la rimozione della rappresentanza autonoma dei lavoratori.
Sinistra Italiana si è mostrata disposta a tutto pur di subordinarsi al PD. Persino a subire il suo accordo con Calenda, poi naufragato, e la candidatura di Cottarelli. La difesa ambientale e sociale a braccetto col PD è una contraddizione in termini e la misura dell'ipocrisia. L'argomento di un accordo necessario per battere la destra è risibile persino sul terreno strettamente elettorale, come tutti possono intendere. L'accordo ha invece una valenza tutta politica: Sinistra Italiana si riduce a una corrente esterna del PD, con diritti di libera uscita, come verso il governo Draghi, ma senza alcuna autonomia strategica. E la subordinazione strategica al PD significa subordinazione strategica al grande capitale, italiano ed europeo. Perciò stesso un aiuto alla reazione.
Il Partito Comunista di Rizzo ha portato a conclusione il proprio corso politico rossobruno, a rimorchio di culture reazionarie: in particolare dell'impasto no vax, complottista, putiniano. Difensore della “tradizione”, dei “valori nazionali”, del principio comunitarista, della sacra icona della famiglia. Se Sinistra Italiana si è ridotta a corrente esterna del PD, il PC si è ridotto a corrente esterna del campo reazionario e della sua periferia. Se il gruppo dirigente di Sinistra Italiana ha precipitato la crisi di SI pur di accordarsi col PD, Marco Rizzo non ha esitato a distruggere ciò che resta del suo partito pur di accordarsi alla reazione come ultima ruota del carro. Nel suo caso, il fascino irresistibile dell'avventura personale al di là di ogni barriera di classe ha avuto la meglio su ogni altra considerazione.
Unione Popolare rimpiazza la centralità di classe con le istanze interclassiste della cittadinanza democratica e progressista, lungo il terreno già battuto degli accordi con Di Pietro, Ingroia, Spinelli. La figura centrale e preponderante di De Magistris riassume la fisionomia dell'Unione, non meno dell'insistita proposta di un accordo col M5S. In questa operazione i partiti della sinistra svolgono il ruolo di portatori d'acqua. Il PRC, a dire il vero, con vocazione più sacrificale e subalterna di PaP, ma dentro la comune rimozione della rappresentanza centrale del lavoro e all'inseguimento di un grillismo perduto.
Il vuoto di rappresentanza politica indipendente di diciotto milioni di salariati resta dunque al centro dello scenario politico. Non è certo il PCL che può oggi colmare questo vuoto, e neppure l'alleanza elettorale delle sinistre classiste che pure abbiamo avanzato nel presente contesto e che altri hanno purtroppo declinato. Ma sicuramente il nostro partito porrà al centro della propria azione e proposta questo tema essenziale. In tutte le forme possibili, in ogni sede possibile.