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La manovra del governo del cambia niente

Avevano annunciato "la Manovra del Popolo” nel nome della “sfida ai poteri forti”. Hanno finito con l'accordarsi col capitale finanziario, italiano e europeo, contro la maggioranza del popolo.
È stato il passo del gambero.

Dovevano “abolire la Fornero”. Poi sono scesi a quota 100. Poi l'hanno vincolata ai 38 anni di contributi, discriminando moltissime donne, e trasformandola in quota 101, 102... Poi hanno dilazionato gli accessi di sei mesi per i pubblici, di tre per i privati. Poi hanno ridotto questa pseudo quota 100 alla parentesi di un triennio, promettendo i 41 anni per il 2023, quando il montante pensionistico ridurrà gli assegni. Il risultato è che la legge Fornero non è stata toccata: si sono solo aggiunte delle temporanee finestre di uscita. Centinaia di migliaia di lavoratori o dovranno accettare pensioni da fame o saranno costretti a restare al lavoro. Sino a quando? Sino ai 67 anni, come vuole la Legge Fornero. Mentre i giovani non raggiungeranno mai 41 anni di contributi.

Avevano promesso “il reddito di cittadinanza”. Ma i 17 miliardi della campagna elettorale si sono prima ridotti a 9, poi sono diventati 7. Mentre gli aventi diritto sono passati da 10 milioni a 5. E i conti non tornano: con la cifra stanziata o si taglia l'assegno promesso o si taglia la platea di chi ne ha diritto. L'unica cosa certa è che il sussidio è solo temporaneo, il lavoro (eventualmente) offerto sarà precario, si offriranno alle aziende e ai loro profitti nuovi sgravi (mentre si tagliano 4 miliardi sulla scuola). Altro che “abolizione della povertà”.

Non è tutto. Queste stesse elemosine sociali sono coperte da una gigantesca cambiale: 23 miliardi di aumenti Iva nel 2020, 29 miliardi nel 2021. Dunque, saranno pagate o da un colpo pesante ai salari, o da un taglio corrispondente di spese sociali. Mentre si bloccano le assunzioni in larga parte della pubblica amministrazione (dai ministeri alle università), si dà il via libera a un nuovo aumento delle tasse locali, si taglia l'indicizzazione delle pensioni poco sopra i 1200 euro netti (in pratica, quelle maturate con uno stipendio medio), come volle il governo Monti-Fornero. E, dulcis in fundo, non si prevedono le risorse per i contratti pubblici (segnano così, come nel decennio passato, la dinamica salariale di tutti).

Nel contempo, in fretta ed in silenzio, il governo ha approvato il 21 dicembre il percorso che avvia le autonomie rafforzate, frantumando così i diritti sociali a seconda della residenza: regionalizzando fondi di finanziamento, funzioni, concorsi e contratti; rendendo più ricchi i territori già ricchi e più deprivati quelli già deprivati.

Perché tutto questo? Per rassicurare, come sempre, gli interessi del capitale. Per continuare pagare il debito pubblico alle banche (70 miliardi annui di soli interessi). Per continuare a ridurre le tasse alle imprese. Per tagliare salari e diritti sociali. Per continuare a spendere miliardi nell'acquisto di aerei da guerra. Per continuare a ingrassare i profitti, che ammontano a 41 miliardi nel 2018 solo per le società quotate in Borsa.

Doveva essere “il governo del cambiamento”, è stato solo un cambiamento di governo.

È necessaria una ribellione sociale di massa, l'unica che può strappare risultati. In Francia Macron è arretrato, non a caso, solo per paura di una rivoluzione. 17 milioni di lavoratori e lavoratrici sono una forza enorme. La forza in grado di imporre l'unico possibile cambiamento vero: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, della maggioranza del popolo. Il governo che può far piazza pulita del capitalismo e costruire un'altra società, a misura dell'uomo e non del profitto. Quando i salariati prenderanno coscienza della propria forza nulla li potrà fermare.
Costruire questa coscienza è la ragione del nostro partito.
Partito Comunista dei Lavoratori