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Una legge truffa per i lavoratori e le lavoratrici

Ora che la Legge di stabilità è stata approvata, possiamo aggiungere alle considerazioni già espresse un giudizio d'insieme. Doveva essere "la manovra del popolo", è invece una legge truffa.

La Legge Fornero rimane, con la sola parentesi di tre anni della cosiddetta “quota 100” (che quota 100 non è per via del vincolo dei 38/62 anni). Una parentesi che sarà finanziata in parte, oltretutto, dal blocco parziale dell'indicizzazione delle pensioni, voluto proprio dal governo Monti-Fornero. Peraltro moltissimi lavoratori e (soprattutto) lavoratrici interessati saranno esclusi persino dalla “parentesi”, per via del numero insufficiente dei contributi maturati o, di fatto, per la penalizzazione legata al minor numero dei contributi stessi.

Il cosiddetto reddito di cittadinanza, che attende ancora il decreto attuativo, assomiglia sempre più a un incentivo all'assunzione rivolto alle imprese. Lo stesso quotidiano di Confindustria ha commentato con compiacimento: «Le imprese entrano a pieno titolo nell'operazione reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza inizia ad avere sempre più la veste di vera politica attiva» (Il Sole 24 Ore, 28 dicembre). Siamo al punto che persino Matteo Renzi sulle colonne del Corriere della Sera, ha rivendicato la versione annunciata del reddito di cittadinanza come continuità degli incentivi del Jobs act.

Ma soprattutto il punto è: chi paga? Per poter sventolare sotto elezioni il drappo di due bandiere elemosina e al tempo stesso mediare con la UE e rispettare il Fiscal compact - cioè il patto col capitale finanziario - i due imbroglioni Di Maio e Salvini hanno fatto l'operazione più semplice. Hanno spostato il carico di spesa sul 2020 e il 2021 con una gigantesca clausola di salvaguardia sull'Iva: 23 miliardi sul 2020 e 28,8 miliardi sul 2021. Le elemosine sdrucite di oggi sono messe sul conto futuro dei “beneficiari”, o attraverso un aumento massiccio delle imposte indirette ammazzasalari o attraverso un taglio corrispondente delle spese sociali. Semplicemente, ai “beneficiari” questo non viene detto. A loro si comunica la «svolta storica», l'«abolizione della povertà», l'«orgoglio ritrovato dell'Italia» e altre idiozie spazzatura.

Peraltro, l'anticipo del conto è già in parte scritto, nero su bianco, nella manovra approvata. La scuola subisce un taglio triennale di 4 miliardi, dal taglio al sostegno al taglio dell'edilizia scolastica. Le privatizzazioni e dismissioni di beni pubblici previsti sul solo 2019 ammontano a 19 miliardi, mentre nello stesso anno diminuiscono in assoluto gli investimenti pubblici. Le assunzioni vengono bloccate nel 2019 in larga parte della pubblica amministrazione, con la mancata sostituzione di chi andrà in pensione e una pesante ricaduta su servizi già collassati, in particolare nella sanità. Vengono sbloccate le tasse locali, con un via libera ai Comuni per nuovi rincari di Irpef, Imu, Tasi. Si tagliano verticalmente, com'è noto, le spese per l'assistenza e l'integrazione dei migranti (dai famosi 35 euro ne vengono decurtati da 18 a 24, su affitto, pasti, biancheria, formazione).

All'altro capo della società le cose vanno diversamente. Le imprese incassano la deducibilità dell'Imu sui capannoni al 40% (Di Maio puntava al 50%), l'ulteriore abbattimento della tassa sugli utili reinvestiti, anche in contratti a termine, dal 24% al 15% (Ires), la riduzione del 32% dei contributi per gli “infortuni” sul lavoro (Inail), la liberalizzazione degli appalti senza gara entro i 150.000 euro. Le piccole imprese e i liberi professionisti incassano la flat tax al 15% sul fatturato sino ai 65.000 euro nel 2019, e ai 100.000 nel 2020. Le banche e le assicurazioni che pagano un obolo triennale di 5 miliardi, prevedibilmente scaricato sui conti correnti e sulla clientela, intascano i 70 miliardi ordinari di soli interessi annui sul debito pubblico, per di più prevedibilmente maggiorati, di due miliardi, per via dell'aumento intervenuto dello spread (divario del tasso d'interesse tra titoli pubblici italiani e tedeschi) e della fine del Quantitative Easing della BCE.

Quanto ai salariati pubblici e privati, continueranno a reggere sulle proprie spalle l'intero edificio della società borghese. Nulla muterà per loro. Continueranno a pagare l'80% del carico fiscale. Continueranno a subire la vacanza contrattuale nel settore pubblico. Continueranno a subire il Jobs act di Renzi, rimasto intatto in tutti gli aspetti essenziali, a partire dall'abolizione dell'articolo 18. Continueranno a subire il precariato (il famoso decreto dignità che doveva “abolirlo” ha esteso l'uso dei contratti a termine dal 20% al 30% dell'organico aziendale). Continueranno a lavorare nei giorni festivi nella grande distribuzione e nel commercio, visto che la promessa di cancellarli è rimasta tale. Mentre sotto la pressione delle Regioni a guida leghista, Veneto in testa, il governo ha avviato un progetto di autonomie regionali che tratterrà al Nord il grosso del residuo fiscale a scapito del Mezzogiorno, e mirerà a differenziare prestazioni e condizioni giuridiche e contrattuali del lavoro su basi territoriale. Un colpo frontale ai lavoratori e alle lavoratrici di tutta Italia.

Sino a quando? Sino a quando non si produrrà una grande ribellione sociale, di classe e di massa, che ponga l'interrogativo su quale classe governerà l'Italia: se i padroni o i lavoratori.
2 gennaio 2019
Partito Comunista dei Lavoratori