La giustizia borghese: paradiso per i ricchi (e per i padroni), inferno per i poveri
Gli appartati repressivi, dalle forze dell’ordine ai tribunale al sistema carcerario, sono parte essenziale dello Stato borghese.
Come sappiamo da Marx in poi, questi apparati devono essere funzionali al mantenimento dell’ordine sociale borghese, fondato sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori da parte dei capitalisti.
L’amministrazione della giustizia, in un regime borghese, non può dunque contraddire questa funzione essenziale.
Le statistiche correnti sulla popolazione carceraria sono già esplicative: la maggioranza della popolazione carceraria è composta da autori di reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti; più di un terzo è immigrata.
Sono due condizioni che fanno trasparire la natura prevalentemente proletaria e sottoproletaria della popolazione carceraria, mentre i colletti bianchi (padroni, manager e grandi funzionari pubblici e privati) latitano e nella grande maggioranza dei casi, quando non assolti o prescritti, riescono ad ottenere sconti di pena e arresti domiciliari, grazie all’aiuto di apparati di difesa legale (interi studi di avvocati) posti al loro servizio grazie alle disponibilità economiche.
Già questo basta ampiamente ad illustrare la natura di classe dell’amministrazione della giustizia.
Dai numeri delle statistiche si può anche desumere che il sistema carcerario serva soprattutto a reprimere la cosiddetta devianza sociale, e non i crimini connessi all’esercizio dello stesso regime economico, come ad esempio i reati connessi alla mancata sicurezza sul lavoro, le molestie e il mobbing, i reati ambientali, eccetera.
Questi reati, tipici della classe capitalista e dei propri funzionari, vengono, a conti fatti, repressi in misura significativamente minore.
I fatti di cronaca a volte illuminano questa realtà spesso oscurata dai discorsi di abili retori del foro giuridico. È il caso dei fatti accaduti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020.
“Mi hanno ucciso di mazzate”. Così ha denunciato un ex detenuto del carcere. “Li abbattiamo come vitelli” è la frase impressa nella chat presente nei cellulari degli agenti della Polizia Penitenziaria accusati dalla Procura di santa Maria Capua Vetere di aver commesso “un’orribile mattanza”.
Questa mattanza è stata il frutto della vendetta ordinata ai secondini da parte dei propri superiori per punire i detenuti rei di aver protestato dopo essere venuti a conoscenza di una caso di Covid nel carcere, dove le misure di sicurezza e di prevenzione dal contagio, in carceri disumanamente sovraffollate, più che latitare spesso erano proprio assenti.
L’episodio peraltro si inserisce nella serie di rivolte carcerarie esplose tra il marzo e l'aprile dello scorso anno e che hanno provocato la morte di molti detenuti i circostanze mai del tutto chiarite.
Questi episodi, per le modalità descritte, con i detenuti costretti a passare tra due ali di poliziotti che li colpivano duramente con i manganelli alle spalle, ricordano tristemente le analoghe mattanze che avvennero alla scuola Diaz e presso la caserma di Bolzaneto in occasione delle contestazioni del G8 di Genova nel luglio 2001, e di cui ricorre il ventesimo anniversario proprio in questi giorni.
In definitiva, se nella società la classe lavoratrice è fatta oggetto, in ragione del rilancio dei profitti e del ciclo di valorizzazione capitalisti, di misure di macelleria sociale, licenziamenti, sfratti, precarietà e attacco alle condizioni di sicurezza sul lavoro, nelle carceri della giustizia borghese si completa l’opera letteralmente con una vera e propria “mattanza” per colpire i devianti, prodotti necessari dello sfruttamento e alienazione capitalistici.
Negli stessi giorni possiamo avere l’esatta controprova del carattere selettivo e classista della repressione.
Il compagno Adil Belakhdim è stato investito e ucciso da un crumiro, autista di camion, aizzato dal padrone dell’azienda. In questo caso si sono applicate le regole garantiste, consentendo immediatamente gli arresti domiciliari all’assassino, mentre la campagna di stampa deplora le violenze che si produrrebbero nel corso dei picchetti operai, ovviamente senza indicarne le responsabilità padronali e la complicità della polizia che sta a guardare.
La tragedia della funivia del Mottarone è stata senza dubbio provocata dalla più efferata trascuratezza delle minime misure di sicurezza, la cui responsabilità ricade sul gestore e il management, eppure in barba alle raccomandazioni della Procura il GIP ha scarcerato immediatamente proprio questi ultimi adendo alle misure di massima garanzia per gli imputati.
Proprio quelle misure di garanzia e di rispetto minimo dei più elementari diritti umani che corpi scelti di Polizia Penitenziaria pensano bene di poter trascurare a piacimento.
Il fatto che l’episodio emerga alla cronaca, e che per questo la Procura debba aprire l’indagine, dimostra soltanto che si tratta della solita punta dell’iceberg di un sistema di amministrazione della giustizia e della detenzione di chiara matrice classista.
Solo un governo delle lavoratrici e dei lavoratori che porti al socialismo sarà in grado di rovesciare questo sistema e di far rispettare i diritti e le garanzie per le proletarie e i proletari, i poveri e le classi popolari, punendo adeguatamente i terribili crimini commessi dai capitalisti e dai loro servi.