I pestaggi a Santa Maria Capua Vetere e la natura reale dello Stato
L'ignobile pestaggio di centinaia di detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere richiama alcune considerazioni obbligate.
Il fatto che l'ex ministro degli interni Matteo Salvini vada a solidarizzare con gli agenti della Guardia Penitenziaria arrestati perché «non hanno fatto nulla di male» dà la misura dell'uomo, oltre che del segretario della Lega: non c'è da stupirsi per chi solidarizzò a suo tempo con i massacratori di Cucchi definendoli “innocenti” e “vittime della campagna ideologica della sinistra”. Per chi fa della divisa il proprio marchio di riconoscimento è normale.
Piuttosto colpisce il commentario sorpreso e sdegnato della stampa borghese democratica, e dell'attuale ministra della giustizia: «Tradita la Costituzione, voglio verificare ogni passaggio».
Ma di che verifica c'è bisogno? Gli agenti erano indagati da un anno, perché le telecamere, che forse gli agenti credevano spente, avevano ripreso la mattanza, e perché le registrazioni, spesso cancellate, erano state acquisite dal magistrato di sorveglianza.
Eppure per un anno gli agenti sono rimasti al loro posto con la copertura del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Anche perché un anno fa (16 ottobre) l'allora ministro Bonafede – ossimoro ingrato – dichiarava solennemente in Parlamento che tutto si era svolto regolarmente nelle carceri italiane (Santa Maria Capua Vetere inclusa) nonostante gli scenari di guerra documentati dai media e le tante morti oscure tra i detenuti. «Una doverosa operazione di ripristino della legalità», dichiarò il Guardasigilli, col plauso corale del M5S e del PD, gli stessi che oggi fanno i sepolcri imbiancati dell'indignazione, gli stessi che assieme a Salvini sorreggono Draghi e la ministra Cartabia. Se la ministra “vuole verificare ogni passaggio” della vicenda interroghi prima di tutto chi le dà i voti in Parlamento.
Per il resto è tutto terribilmente chiaro, nel suo orrore. Pestaggio pianificato di tutti i detenuti da parte del “Gruppo di supporto agli interventi”, la struttura militare di rinforzo chiamata dalle autorità carcerarie. Partecipazione attiva e collettiva di tutti gli agenti al pestaggio e all'umiliazione dei detenuti – disabili inclusi – tra manganellate, calci, perquisizioni anali coi manganelli, strappo di barbe, privazione in giornata di cibo e acqua. Per i pestati proibizione delle cure mediche, del contatto coi familiari, del cambio di vestiti impregnati di sangue per una settimana, imposta dalla minaccia di altri pestaggi.
C'è bisogno di aggiungere altro a questo spettacolo di vigliaccheria, disumanità, ed impotenza?
“Non facciamo di tutta l'erba un fascio, distinguiamo le mele marce dal resto!”, protesta il buonsenso democratico. Lo si è detto per la Diaz e Bolzaneto di vent'anni fa a Genova, come per Cucchi, Aldovrandi e mille altri. Lo si è detto per i carabinieri di Modena che torturavano e taglieggiavano i tossicodipendenti per gestire in proprio lo spaccio. Lo si dirà nei prossimi giorni quando troveranno conferma i pestaggi cileni consumati, a telecamere spente, nelle carceri di Ascoli e di Potenza. Come se l'eterno ripetersi di pratiche di violenza e tortura da parte dei corpi militari dello Stato non fosse sufficiente di per sé per porsi interrogativi di fondo e più scomodi.
Qual è la natura reale dei “corpi di pubblica sicurezza”, in tutte le loro articolazioni? Santa Maria Capua Vetere è, nella sua brutalità, un caso di scuola. La mattanza è stata compiuta collettivamente, senza eccezioni. Gli indagati sono solo una parte degli agenti coinvolti, quelli di cui è stata possibile l'identificazione. Le testimonianze parlano del pieno coinvolgimento dei comandi.
La retorica delle “male marce” va allora esattamente rovesciata: perché nessuna mela buona si è messa di mezzo, ha rifiutato i pestaggi, ha denunciato i responsabili? Il punto è esattamente questo. Nei corpi repressivi non conta la coscienza di qualche singolo, ma lo spirito di squadra, la cultura della forza, l'obbedienza gerarchica al comando, la reciproca omertà e copertura come codice d'onore. Quella cultura che magari inneggia sui social alle prodezze della polizia di Bolsonaro e che fa di Salvini “Il Capitano” della Polizia.
Chi si dissocia, a maggior ragione chi denuncia, è l'“infame”, come nella malavita. È la ragione per cui “casi” come quelli in questione sono solo la punta dell'iceberg di ciò che realmente avviene in tante strutture carcerarie o questure, ai danni di soggetti deboli, marginali, ricattabili, spesso oggetto di pubblica esecrazione, e per questo maggiormente indifesi. È il mondo sommerso della delinquenza dello Stato, infinitamente più ampio di ciò che inquadrano le telecamere di sorveglianza.
“Ma la Costituzione...”. La Costituzione è un pezzo di carta, la vita reale è un'altra cosa. La Costituzione di De Gasperi e Togliatti, al pari di tante costituzioni borghesi, prevede formalmente il diritto al lavoro, alla casa, alle cure, persino l'uguaglianza, oltre che il rispetto della dignità di ogni persona. La vita reale della società borghese si fonda invece sullo sfruttamento e l'oppressione della maggioranza della società da parte di una piccola minoranza, che si regge sull'uso della forza. La Costituzione formale che declama i diritti serve a nascondere la costituzione reale della società che li calpesta. La democrazia borghese nasconde, da sempre, la dittatura dei capitalisti.
“Applichiamo la Costituzione...”. Ma per “applicare i principi della Costituzione” è necessario rovesciare quella società capitalista che la stessa Costituzione tutela, quello Stato borghese che la stessa Costituzione sorregge. Lo Stato è fondamentalmente un corpo di uomini in armi al servizio della classe sociale dominante, come scriveva Engels. La forza dello Stato è superiore alla sua legge formale, perché la sua legge reale è la forza, anche nella Repubblica più democratica.
“Lo Stato siamo noi!” gridavano gli agenti nel mentre massacravano i detenuti di Santa Maria Capua Vetere. Purtroppo è la realtà. Senza spezzare l'apparato burocratico e militare dello Stato, senza sciogliere i corpi repressivi, senza rovesciare la forza organizzata della borghesia, nessuna alternativa sociale è possibile. Solo una rivoluzione può cambiare le cose. Solo il potere dei lavoratori può realizzare una democrazia vera.