La carta dei valori siglata tra i 16 principali partiti sovranisti e conservatori europei, tra cui Lega e Fratelli d’Italia, testimonia il ruolo da protagonista che l’estrema destra vuole giocare in Europa nei prossimi anni. In nome di un’Europa che rimette al centro le singole identità nazionali, le forze dell’estrema destra nazionalista chiamano a raccolta quanti vogliono un continente senza immigrati, islamici e omossessuali.
I sovranisti, rivendicando «l’eredità giudaico-cristiana dell’Europa», ripropongono la difesa della famiglia tradizionale, lo stop all’immigrazione, l’opposizione "all’iperattivismo morale dell’Unione europea". Questo manifesto ideologico disvela un’Europa cupa e reazionaria: quella sovranista e oscurantista dei diritti cancellati e delle libertà negate, quella che discrimina le donne e la comunità Lgbtq+.
Le dure parole di molti leader europei arrivano tardi e servono a poco. Non saranno certo le élite liberali del continente, le stesse che negli ultimi vent’anni non hanno mosso un dito per salvare le decine di migliaia di migranti annegati nel Mediterraneo, a difendere i diritti civili e democratici. Solo la ridiscesa in campo di una forte mobilitazione operaia su scala continentale, capace di saldare in un unico fronte la battaglia per i diritti civili e democratici con quelli sociali, può spazzare via la folata reazionaria che attraversa gran parte d’Europa. Solo una nuova stagione di lotta che rimetta al centro i bisogni e le aspirazioni delle classi subalterne può essere il lampo di magnesio che illumina una notte senza stelle.
UN FRONTE COMPOSITO ALLA RICERCA DI UNA CONVERGENZA
Questo manifesto ideologico è stato sottoscritto dalle forze politiche che fanno parte di tre gruppi diversi nel Parlamento UE, ovvero Identità e Democrazia (ID) e Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR), più Fidesz. Accanto al Rassemblement National di Marine Le Pen e agli spagnoli di Vox, spicca la presenza del partito del premier ungherese Viktor Orbán, recentemente uscito dal PPE, e del partito del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, due forze di governo che confermano il peso rilevante che le nazioni dell’Europa centrale rivestono in questo schieramento. Anche i sovranisti di casa nostra rivestono un ruolo importante. Matteo Salvini e Giorgia Meloni ricoprono un ruolo apicale all’interno dei loro rispettivi gruppi europei, e in caso di successo elettorale nelle prossime elezioni politiche, possono aspirare a diventare il perno imprescindibile del mondo conservatore e sovranista del vecchio continente, potenzialmente in grado di saldare le forze politiche dell’Europa Occidentale con quelle dei paesi di Visegrad.
La convergenza realizzata dal documento siglato lo scorso 2 luglio rende manifesto un duplice obiettivo: allargare l’area delle forze identitarie e al contempo rassicurare l’establishment sul fatto che il fronte sovranista in via di costruzione non sarà di stampo puramente estremista. Non a caso, la dichiarazione d’intenti non contiene le posizioni più schiettamente euroscettiche che alcuni dei sottoscrittori avevano sostenuto nel recente passato, come l’uscita dalla UE e l’abbandono della moneta unica. L’edulcorazione delle posizioni più accesamente antieuropeiste è funzionale al progetto di trasformare quest’area composita in un baricentro politico capace di attrarre quelle forze di centrodestra che si sentono a disagio nel Partito Popolare Europeo. Anche per questo dall’elenco dei firmatari sono state escluse le forze che più di altre vengono percepite come forze radicali e antisistema, come i tedeschi dell’AfD.
LE INCOGNITE DEL PROCESSO IN CORSO
L’arco politico che ha siglato la “carta dei valori” potenzialmente potrebbe associare 115 deputati, diventando a Strasburgo la terza formazione dopo i popolari e i socialdemocratici. Un numero ragguardevole, che potrebbe anche fungere da leva per accaparrarsi presidenze di commissioni e quote rilevanti dei finanziamenti dell’europarlamento.
Ovviamente la costituzione di un gruppo comune non rappresenterebbe il primo passo verso la costruzione di un’internazionale sovranista, che in sé sarebbe un vero e proprio ossimoro. Più realisticamente questo confronto che si è aperto nel campo sovranista potrebbe favorire la definizione di un nuovo contenitore politico dell’estrema destra al parlamento europeo, anche se la strada appare scoscesa e irta di ostacoli. La galassia sovranista, del resto, è assai composita e conflittuale, e le convergenze fra i suoi membri sono spesso parziali e momentanee. Da sempre questo mondo è attraversato da rivalità non episodiche, ma vi sono anche interessi specifici e questioni di merito assai significative che in alcuni casi riflettono visioni diametralmente opposte, come nel caso di Vlaams Belang e di Vox, entrambi uniti nel richiedere una ferrea regolamentazione dell’immigrazione, ma con gli spagnoli feroci nemici degli indipendentisti di casa loro, e con i fiamminghi che si battono apertamente per la secessione delle Fiandre dal Belgio. Altre formazioni, invece, all’ultimo momento si sono defilate dalla dichiarazione congiunta, come gli olandesi di JA21, che volevano che nella dichiarazione comune fosse contemplato il no al trasferimento di risorse dal Nord al Sud dell’Europa.
L’evoluzione di questo processo dipenderà anche dai rapporti di forza tra la Lega e Fratelli d’Italia, una partita che si gioca a Strasburgo ma soprattutto a Roma, dove in palio c’è la conquista del primato nella coalizione di destra che concorrerà alle prossime elezioni politiche. Da verificare saranno anche le linee di faglia che, nel prossimo periodo, si possono aprire all’interno delle singole forze politiche, come nella Lega, dove il ministro dello sviluppo economico Giorgetti può appoggiarsi a settori importanti del Carroccio, quelli maggiormente legati ai ceti produttivi del Nord Italia, per perseguire un indirizzo politico diverso da quello salviniano: scolorire il profilo sovranista della Lega per avvicinarsi al PPE.
Anche nel partito di Marine Le Pen si possono aprire delle contraddizioni, come si è iniziato a vedere al recente congresso di Perpignan, dove l’estrema destra transalpina ha iniziato ad interrogarsi sull’efficacia della cosiddetta dédiabolisation, una strategia volta a presentare un’immagine rassicurante intesa a conquistare il consenso tra i ceti moderati che tradizionalmente votano per le formazioni che collocano al centro. Una strategia che alle ultime elezioni regionali ha segnato il passo, non riuscendo ad allargare il consenso e creando malumore tra la base militante (con la chiusura di alcune federazioni) ed anche tra l’elettorato più radicale, che in previsione delle elezioni presidenziali del prossimo anno potrebbe essere attratto dai proclami accesamente retrivi di Eric Zemmour, se il noto commentatore deciderà di correre per l’Eliseo.
L’INEFFICACIA DELLA RISPOSTA EUROPEISTA
A questa ventata oscurantista, lo schieramento liberale e socialdemocratico contrappone i valori della costruzione europea, che a loro dire difenderebbero i diritti civili e democratici dei cittadini. In questo quadro, le cancellerie europee hanno usato parole di fuoco per denunciare la deriva illiberale dell’Ungheria di Orbán. Da quando è uscito dal PPE, il premier magiaro è costantemente pressato dalla critica dei governi dell’Unione Europea che gli imputano il non rispetto dei valori comunitari in merito allo stato di diritto e all’indipendenza della magistratura. Gli strali si sono appuntati soprattutto sulla legge omofoba e discriminatoria approvata dal parlamento di Budapest. Persino il Consiglio d’Europa si è sentito in dovere di prendere posizione per il rispetto dei diritti Lgbtq+. Tali vibranti proteste in difesa dei diritti civili sono una novità assoluta per i paludati ambienti di Bruxelles, visto che non hanno proferito parola per una legge approvata alla fine del 2018 che impone ai lavoratori ungheresi di effettuare una mole di ore di lavoro straordinario non pagato. Una legge significativamente ribattezzata “legge schiavitù”, che ha gonfiato i profitti non solo degli imprenditori locali, ma anche dei capitalisti stranieri (in specie tedeschi) che lì hanno delocalizzato una parte della loro produzione. Segno che per l’Unione Europea le necessità dell’economia capitalista prevalgono sui valori, e che i diritti sociali si fermano davanti ai cancelli delle fabbriche.
LA NECESSITÀ DI UNA RISPOSTA DI CLASSE
Al di là delle fortune elettorali altalenanti, le forze della destra e dell’estrema destra europea dimostrano di essere ben radicate nella società. Non solo confermano la capacità di produrre fatti politici rilevanti, ma soprattutto continuano ad essere in grado di veicolare le loro posizioni reazionarie, xenofobe e razziste in amplissimi strati della società.
In un’Europa ferita dalla pandemia, dove chi già subiva gli effetti delle politiche di austerità si ritrova ancora più povero ed abbandonato, la malapianta della predicazione sovranista può trovare nuova linfa vitale, riproponendo falsi miti, nuove identità e facili capri espiatori a cui addossare la colpa del disagio e della crisi. Il razzismo nei confronti dei migranti, la contrapposizione tra gli ultimi e i penultimi, e la discriminazione delle minoranze, possono cioè conoscere una nuova stagione capace di occultare le contraddizioni di fondo – quelle di classe – che muovono e determinano i destini individuali e collettivi.
Lo scenario dominato dalla falsa contrapposizione tra élite europeista e nazionalismo sovranista si potrà nuovamente riprodurre se le forze del movimento operaio non abbandoneranno la fallimentare politica collaborazionista, per rilanciare invece una decisa e coerente mobilitazione anticapitalista che si batta contro i veri responsabili della crisi economica e sociale. Anche perché la narrazione reazionaria dei nazionalisti si è finora nutrita di quel groviglio di risentimento e di senso di abbandono che negli ultimi decenni è cresciuto nel seno delle classi subalterne, mentre i cosiddetti progressisti sposavano la causa della “buona globalizzazione” e lasciavano le classi inferiori preda delle loro paure e delle loro sofferenze.