28 Maggio 2021
La strage della Funivia di Stresa, nel suo piccolo, è una carta d'identità della società borghese. Anche della sua ipocrisia.
In due giorni, i maggiori intellettuali di riferimento della borghesia liberale hanno offerto un estratto chimicamente puro della propria ipocrisia o della propria meschinità.
Sul fronte della meschinità, Paolo Mieli ha sbaragliato ogni possibile concorrenza: ha denunciato “la pista terrorista”. Siccome nella strage sono morte persone israeliane “può essere stato un attentato palestinese, bisogna indagare”. Per l'occasione ha presentato come “capo della sicurezza israeliana” il responsabile per la sicurezza nella scuola di sua figlia a Milano. In questo caso il fanatismo sionista è il principale responsabile di una colossale idiozia, di cui però per spirito di reverenza nessuno gli ha chiesto conto, neppure sulla stampa concorrente.
Nel fronte dell'ipocrisia ha primeggiato invece Ezio Mauro, con un editoriale su Repubblica intitolato «La sicurezza e il capitale», dove il nostro lancia un lirico appello a «ricreare uno spirito di autentica comunità. Naturalmente puntando sull'energia di chi vuole ripartire, sull'interesse del capitale e sull'impegno della forza lavoro: ma dentro un disegno comune, perché il lavoro è libertà solo se produce insieme cittadinanza, benessere, progresso e sicurezza.». Applausi scroscianti. In realtà è l'ennesimo appello a un capitalismo immaginario, per non guardare il capitalismo reale. Quello in cui l'”interesse del capitale”, nel mentre sfrutta il lavoro, fa strage di vite.
I fatti di Stresa sono impietosi. L'azienda chiamata Ferrovie del Mottarone aveva gestito la funivia di Stresa per trent'anni, dal 1970 al 1997. Poi aveva perso la concessione a causa del grave degrado dell'impianto rilevato dalla magistratura. Ma nel 2001 la stessa società responsabile del precedente degrado ritorna in pista vincendo la gara d'appalto, grazie al massimo ribasso. Dal 2014 nessuna altra azienda si candida in gara, perché nessuno può offrire prezzi più bassi.
Luigi Nerini, attuale proprietario delle Ferrovie del Mottarone (la società che gestisce la funivia in questione) aveva acquistato quattro anni fa l'80% della funivia dal gruppo altoatesino Leitner, dandogli in pegno il capitale della sua società. Il gruppo Leitner dal 2016 fornisce la manutenzione ordinaria e straordinaria della funivia, percependo un canone annuale di 150000 euro. Gestore e controllore erano dunque stretti da una relazione d'affari. Le Ferrovie del Mottarone, che controlla la funivia, fa un utile pari a oltre il 20% del fatturato annuo. Luigi Nerini prende un compenso di 96000 euro dalla sua società, e ha in concessione la funivia dal comune di Stresa sino al 2028. Il comune versa 130000 euro annui alla società di Nerini per la gestione dell'impianto.
Dunque: Nerini ha il margine economico sufficiente per continuare a praticare la riduzione dei costi, sbaragliando ogni concorrenza e facendo lauti profitti; la Leitner, che dovrebbe controllare l'impianto, ha interesse alla massima reddittività delle Ferrovie di Mottarone perché partecipa del suo capitale. Quale incentivo può avere alla severità dei controlli e ai relativi costi? Nessuno.
Quanto al cosiddetto controllo pubblico del Ministero dei trasporti, peggio che andar di notte. L'ultimo controllo dell'USTIF, organo periferico del ministero, risale al 2018. Per tre anni un impianto che ha in mano ogni giorno la vita di centinaia di persone è stato “controllato” dai privati. Da chi lo gestisce (Ferrovie di Mottarone) e da chi è in affari con chi lo gestisce (Gruppo Leitner).
Il blocco dei freni di emergenza per massimizzare gli incassi è il frutto di questo. Non del caso o della «banalità del male» (Mentana). Ma della legge del profitto su cui si fonda l'intero ordine della società attuale.
L'abbiamo visto col Ponte Morandi quanto è grande il cinismo degli azionisti. Salvo il fatto che i Benetton non solo non finiscono in galera ma incasseranno fior di miliardi dalla cessione di Autostrade. I pesci più piccoli delle Ferrovie di Motterone subiranno (forse), ce lo auguriamo, pene severe. Ma nessuna pena riporta in vita le vittime di un omicidio. Né soprattutto evita la moltiplicazione annunciata di altri omicidi. Tanto più oggi.
Infatti il governo Draghi annuncia la liberalizzazione dei subappalti al massimo ribasso, l'appalto integrato (dove progettazione e controllo sono unificati), l'abbattimento dei controlli (quali?) sugli investimenti pubblici, oltre alla libertà di licenziamento. Ovunque l'imperativo del post-pandemia è “correre, correre, correre”. Ma verso dove, e a quale prezzo?
Solo una rivoluzione può cambiare le cose.