30 Maggio 2021
Liberalizzazione del subappalto e sblocco dei licenziamenti. Siamo giunti a un passaggio cruciale dello scontro di classe. È necessaria una risposta uguale e contraria. Può e deve essere lo sciopero generale, unitario e di massa, con una piattaforma di lotta generale
Liberalizzazione del subappalto e sblocco dei licenziamenti. Siamo giunti a un passaggio cruciale dello scontro di classe. È necessaria una risposta uguale e contraria. Può e deve essere lo sciopero generale, unitario e di massa.
La liberalizzazione del subappalto è criminogena verso i lavoratori. Hanno eliminato il massimo ribasso su pressione di quei padroni che non vogliono la concorrenza della criminalità peggiore. Ma al tempo stesso liberalizzano una pratica gravida di per sé di supersfruttamento, come sa bene chi conosce l'organizzazione del lavoro in un cantiere navale o nell'edilizia o nei magazzini. Un supersfruttamento che si esercita in primo luogo verso la manodopera immigrata, più facilmente ricattabile, ma non solo. Mentre il cosiddetto appalto integrato, in cui progettazione, esecuzione, controllo fanno capo alla stessa azienda, è destinato a moltiplicare i casi Morandi o funivie, dove il profitto uccide alla cieca.
Le rassicurazioni sulla protezione del lavoro o la promessa di attenzione alla sicurezza valgono meno di zero, come l'esperienza insegna. Ciò che conta è la realtà. E la realtà ci dice che la “semplificazione” come eliminazione dei controlli, quando già non si controlla nulla, e la liberalizzazione dei subappalti quando già di subappalti si muore, sono solo nuove morti annunciate e nuovi crimini, innanzitutto contro i lavoratori.
L'argomento per cui “è l'Unione Europea che ce lo chiede come condizione per darci i soldi” peggiora il quadro. I soldi li intascano le imprese per ristrutturare, cioè per sopprimere lavoro più che per crearlo. Per questo Confindustria e Confedilizia chiedono subappalto libero e taglio dei controlli: un doppio affare sulla pelle dei lavoratori. Sfruttare meglio e di più col portafoglio più gonfio. Altro che “interesse generale”!
Il fatto che la burocrazia CGIL presenti tutto questo come un importante risultato dell'azione sindacale dimostra solo che non c'è limite né alla vergogna né all'ipocrisia.
Le cose vanno peggio in fatto di sblocco dei licenziamenti. Come avevamo previsto e denunciato per tempo, siamo di fronte a una valanga annunciata, a un'onda d'urto contro la classe operaia. Già l'anno della pandemia è stato un anno di licenziamenti per quasi un milione di lavoratori precari, in particolare di giovani e di donne, a partire da turismo, ristorazione, commercio, trasporti. Peraltro nella stessa industria dall'agosto scorso il blocco dei licenziamenti era ridotto ormai a un colabrodo per via delle numerose eccezioni previste, a partire dalla cessazione dell'attività. Ma ora lo sblocco per la grande industria e per l'edilizia dal primo luglio, e a seguire in autunno per le PMI, significa un salto netto e drammatico dell'offensiva padronale. Tanto più odioso se si pensa che la grande industria è stata colpita dalla crisi assai meno che nel 2009, e oggi vanta una rapida ripresa.
La libertà di licenziare accordata ai padroni significa solo libertà di ristrutturare per aziende che già macinano profitti, ma che li vogliono accrescere tagliando i costi. Magari per delocalizzare, magari per fondersi con altre aziende, magari per pagare i debiti alle banche, magari per investire nella speculazione finanziaria e di Borsa. Magari, come spesso avviene, per ricomprare in Borsa le proprie stesse azioni (buy-back) e accrescere così il loro valore e i relativi dividendi. Licenziare gli operai per ingrassare parassiti, questo è lo sblocco annunciato.
I licenziamenti saranno quasi seicentomila, secondo le stime insospettabili di Banca Italia, che naturalmente sostiene lo sblocco. Oltre un milione secondo altre stime. In ogni caso una ecatombe.
L'onda partirà dalla grande industria, dal cuore del proletariato italiano. Colpirà gli stessi lavoratori e lavoratrici che nell'anno terribile della pandemia sono stati costretti a lavorare e produrre senza protezioni o con protezioni fasulle mentre l'Italia era ferma. Lavoratori e lavoratrici che hanno retto sulle proprie spalle l'intera impalcatura della vita economica e sociale senza mai potersi fermare. Lavoratori e lavoratrici che hanno pagato un prezzo alto al contagio in termini di vite, ma anche in fatto di condizioni di lavoro e sfruttamento.
Nel momento della “ripresa”, della decantata riapertura, dell'annunciato “ritorno alla normalità”, a loro si dice “andate a casa”. Cioè in mezzo a una strada. Poi siccome il governo è buono e illuminato offre ai padroni anche un'altra scelta possibile: ricorrere alla continuità per un po' della cassa Covid senza scucire un euro, e dunque a spese dello stato, anche qui per garantire i profitti. Sta ai padroni la scelta al buffet. È quella che la grande stampa borghese presenta come concessione al sindacato: i padroni possono fare come vogliono, ci affidiamo alla loro umanità. Agli operai toccano le conseguenze. Nel momento stesso in cui Confindustria si è fatta in quattro per pretendere lo sblocco, la scelta spesso sarà il licenziamento.
Occorre alzare un argine. Subito. E dev'essere un argine vero.
Industriali, banchieri, governo, e tutti i partiti borghesi, dal PD alla Meloni, si sono uniti attorno allo sblocco del licenziamenti. Occorre unire sul fronte opposto i lavoratori e le lavoratrici, le loro organizzazioni sindacali, i partiti che parlano in loro nome. È l'ora del fronte unico. Non di questa o quella sua simulazione in miniatura, ma di un vero fronte di massa. Non sappiamo se vi sono le condizioni e le disponibilità necessarie a crearlo. Sappiamo che questa è un'esigenza oggettiva a fronte del salto dell'offensiva padronale.
Per questo è necessario che ogni organizzazione del movimento operaio, grande o piccola, sindacale e politica, si assuma le proprie responsabilità.
In primo luogo la CGIL. Il suo apparato dirigente è complice determinante della deriva del movimento operaio negli ultimi quarant'anni. Tutto il peggio delle politiche padronali – precarizzazione, privatizzazioni, tagli sociali, legge Fornero, distruzione dell'articolo 18 – è passato o col suo sostegno o col suo lasciapassare. In ogni caso con la sua complicità. Lo stesso governo Draghi è nato col consenso attivo della burocrazia CGIL, che si è subito iscritta all'unità nazionale. E ora? Lo sblocco dei licenziamenti mette la CGIL con le spalle al muro. O la capitolazione o la lotta. Non esiste una terza possibilità. L'idea di rimettersi fiduciosi al dibattito parlamentare, sperando in qualche emendamento sottobanco, è semplicemente ridicola. Quale sarebbe oggi il partito borghese disponibile a contrastare il diktat vincente di Confindustria per tutelare gli operai? L'idea di compensare lo sblocco con gli ammortizzatori sociali non è meno penosa. Non solo perché gli ammortizzatori sono declinati al futuro eventuale mentre lo sblocco dei licenziamenti è imminente, ma per la natura stessa degli espedienti annunciati: o puri incentivi ai padroni a danno degli operai (scivoli pensionistici con decurtazione della pensione), o pannicelli caldi per i futuri licenziati (piccolo allungamento della Naspi e riduzione del suo décalage). Ragionare oggi in questi termini significherebbe accettare i licenziamenti. Esattamente ciò che non può essere accettato.
Maurizio Landini dichiara che la CGIL non può subire lo sblocco licenziamenti? Prendiamo atto. Noi non abbiamo un grammo di fiducia nel segretario della CGIL. Ma diciamo che la CGIL ha un solo modo per far seguire i fatti alle parole: quello di organizzare da subito lo sciopero generale. Uno sciopero generale vero, capace di bloccare il paese. Uno sciopero che rivendichi il ritiro dello sblocco, senza alcun mercanteggiamento di sorta. Ogni altra soluzione (manifestazioni pro forma, presidi simbolici a Montecitorio, chiacchiere su carta stampata e talk show) può essere forse utile per le telecamere, non per gli operai. Gli operai hanno bisogno di una lotta seria. Se Landini non è in grado neppure di promuovere uno sciopero generale per opporsi a un milione di licenziamenti, allora se ne vada. Una richiesta formale di sue dimissioni che l'opposizione interna alla CGIL avrebbe in quel caso il dovere di avanzare, senza timidezze e balbettii.
Se, come tutto lascia credere, la CGIL non attiverà lo sciopero, la responsabilità di indirlo e prepararlo dovrà assumerselo l'insieme del sindacalismo di classe, unitariamente e da subito. Non servono a nulla, tanto più di fronte alla valanga annunciata, puri scioperi di sigla di questa o quella organizzazione autocentrata. Serve il più ampio fronte unitario di lotta di tutta l'avanguardia di classe. Solo così lo sciopero può diventare attrattivo per quei settori di classe non organizzati nel sindacalismo di base, oggi privi di una indicazione alternativa. Sono i settori di classe dell'industria che nel marzo del 2020 attivarono scioperi di massa in molte imprese per chiedere sicurezza sanitaria, costringendo governo padroni e burocrati a inventarsi protocolli farsa pur di bloccare la lotta. Sono settori di classe essenziali cui è necessario rivolgersi e parlare.
È necessario che lo sciopero generale contro lo sblocco dei licenziamenti si coniughi a una piattaforma di lotta generale, a partire dalla riduzione generalizzata dell'orario di lavoro (32 ore pagate 40) e una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco.
È necessario che lo sciopero si leghi all'indicazione dell'occupazione delle aziende che licenziano e della loro nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo operaio.
È necessario infine che nei settori oggi investiti dallo squadrismo padronale, come la logistica, dove i padroni ricorrono a mazzieri prezzolati per spezzare i picchetti (come alla FedEx e altrove), quei mazzieri trovino una risposta organizzata degli operai sullo stesso terreno che hanno scelto: con la formazione di squadre di autodifesa munite di bastoni, che agiscano come servizio d'ordine dei picchetti. Alla forza si risponde con la forza, uguale e contraria, come nella storia migliore del movimento operaio.
Crediamo che i circuiti unitari della sinistra di classe che si sono costituiti, a partire dal Patto d'azione anticapitalista per il fronte unico di classe e dall'Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, abbiano le carte in regola per sviluppare immediatamente una proposta di azione unitaria rivolta all'insieme del sindacalismo di classe, fuori da ogni logica di primogenitura e pregiudiziali.
La lotta della FedEx, straordinaria per molti aspetti, è stata giustamente valorizzata da tutti noi per il suo esemplare carattere classista, la sua natura radicale e prolungata. Proprio per questo è importante metterla al servizio di un allargamento del fronte di classe, con una proposta pubblica di unità d'azione che metta ogni soggetto di fronte alle proprie responsabilità, privandolo di ogni alibi o pretesto.