Post in evidenza

ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

Cerca nel blog per parole chiave

Il nostro dissenso sul No Green Pass

 


Ai margini dell’assemblea del 19 settembre a Bologna

26 Settembre 2021

L’azione di sciopero generale prevista per l’11 ottobre si pone in un passaggio cruciale dei rapporti di classe. La standing ovation dell’assemblea di Confindustria al Presidente del Consiglio non è casuale. Fotografa la piena identificazione del padronato col governo Draghi. Gli industriali battono cassa su tutta la linea. Il governo li rassicura. Un PNRR che in piena pandemia destina alla sanità l’ultima voce di spesa e che al contempo cancella l’IRAP che finanzia la sanità pubblica è ciò che chiedono i padroni, assieme a nuove detassazioni dei profitti e delle rendite finanziarie, liberalizzazione di appalti e concessioni, innalzamento dell’età pensionabile, revisione peggiorativa del reddito di cittadinanza. Alle burocrazie sindacali si offre un posto a un tavolo già imbandito con menù già prenotato, in cambio di un riconoscimento istituzionale. Le burocrazie sindacali, com’è noto, sono di bocca buona. Padroni e governo lo sanno molto meglio di tanti lavoratori.

In questo quadro le lotte dell’ultima fase nella logistica (FedEx) e nell’industria (GKN) hanno rappresentato un fascio di luce in controtendenza. La lotta di GKN in particolare ha riproposto con chiarezza agli occhi di milioni di salariati la vera linea di demarcazione di classe: quella che contrappone il lavoro al capitale. “Mentre Landini preferiva discutere col governo di green pass, noi siamo qui a manifestare per le ragioni del lavoro e a chiedere attorno a queste uno sciopero generale unitario e di massa”: così si è espresso il coordinatore del collettivo di fabbrica GKN nella giornata della grande manifestazione di Firenze. L’azione di sciopero generale prevista per l’11 ottobre, promosso finalmente in modo unitario dall’insieme del sindacalismo di classe, deve porsi in questa direzione. Condividiamo pienamente la piattaforma unitaria dello sciopero indicata il 13 agosto, perché traccia con chiarezza la linea di classe discriminante, anche sul tema della sicurezza sanitaria, senza ammiccamenti a posizioni antivacciniste o avacciniste.

Per la stessa ragione non condividiamo il punto specifico della risoluzione della assemblea del 19 settembre a Bologna che rivendica il no al green pass. Sappiamo bene che i compagni non hanno posizioni no vax e difendono la vaccinazione di massa, ma proprio per questo troviamo assurda la posizione espressa. Perché senza rivendicare né l’obbligo vaccinale né più in generale la vaccinazione di massa, la parola d’ordine "no green pass" avalla di fatto una posizione antivaccinista. Non conta l’intenzione, conta il significato obiettivo di una formulazione equivoca. Il fatto che altre organizzazioni del sindacalismo di classe, come ad esempio la CUB, assumano la stessa parola d’ordine alla vigilia dell’11 ottobre – fuori dalla piattaforma unitaria concordata – accresce la nostra preoccupazione.

Abbiamo espresso già ampiamente la nostra posizione sul tema della vaccinazione (Opporsi ai padroni e al governo, non alla vaccinazione di massa). Siamo per la massima estensione della vaccinazione di massa come misura di salute pubblica. Il fatto che lo siano anche Draghi e i padroni non cambia nulla. Draghi e i padroni chiedono la vaccinazione di massa per assicurare la continuità della produzione e dei profitti, la stessa ragione per cui in Val Seriana, quando non c’era il vaccino, preferivano morti e contagi alla interruzione produttiva. Ai lavoratori la vaccinazione interessa per la ragione opposta: il proprio diritto alla salute pubblica e alla massima protezione collettiva nei luoghi di lavoro. È la ragione per cui sempre il movimento operaio nella sua storia si è battuto per la vaccinazione di massa e ove necessario per l’obbligo vaccinale, contro le posizioni piccolo-borghesi reazionarie che opponevano la “libertà individuale” alla sicurezza collettiva.

Il green pass è oggi una misura di incentivazione della vaccinazione di massa. È un fatto incontestabile. L’alternativa è o l’opposizione/indifferenza alla vaccinazione di massa o l’obbligo vaccinale. L’indifferenza alla vaccinazione di massa “per non dare sponda alla borghesia” è un non senso. Mostrerebbe una subalternità capovolta nei confronti della borghesia stessa. E regalerebbe a padroni e governo il consenso distorto di quella larga maggioranza dei salariati già vaccinati che giustamente chiede sicurezza. L’obbligo vaccinale è una soluzione in astratto ottimale, e un possibile aggravamento della pandemia può renderlo necessario, ma le sue ricadute sanzionatorie per i non vaccinati sarebbero molto più pesanti del green pass, in termini economici e non solo. Il certificato vaccinale dovrebbe essere comunque esibito in quanto obbligatorio, e la violazione dell’obbligo di legge sarebbe inevitabilmente più grave.

Il green pass è oggi la forma più graduale e progressiva della estensione della vaccinazione. Ciò non significa avallare tutte le sue modalità di gestione, tutte le sanzioni previste (o sanzioni, come la sospensione integrale dello
stipendio), e tanto meno l’uso che i padroni possono farne in situazioni specifiche. I padroni sono sempre padroni, gli abusi vanno contestati e combattuti sul terreno del controllo operaio e sindacale. A maggior ragione va respinta ogni tendenza padronale a coprirsi dietro la vaccinazione di massa per allentare o cancellare le altre misure di sicurezza sanitaria in azienda, spesso strappate da lotte e scioperi. Ma questo è terreno della lotta di classe, non del rifiuto o della indifferenza verso la vaccinazione di massa.

La vaccinazione di massa è decisiva ma non è l’unica forma di contrasto della pandemia. Va raddoppiata la spesa sanitaria pubblica con una patrimoniale del 10% sul 10%. Va espropriata la sanità privata, che investe in borsa i soldi pubblici ricevuti mentre diserta la lotta al Covid. Va rivendicato l’esproprio senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori dell’industria farmaceutica e delle industrie produttrici di vaccino, perché senza una produzione e distribuzione di massa dei vaccini su scala mondiale non sarà possibile venire a capo della pandemia. Sono necessari investimenti pubblici concentrati nella scuola e nei trasporti pubblici, che anche oggi continuano ad essere tagliati per pagare il debito pubblico alle banche e foraggiare interessi privati.
Ma sviluppare questo terreno centrale di contrapposizione anticapitalista non implica l’indifferenza o addirittura l’ostilità alla vaccinazione di massa. Ed anzi il no al green pass rischia di oscurare la centralità della piattaforma classista in fatto di sicurezza sanitaria, a vantaggio obiettivo di padronato e governo.

Ci riserviamo di esprimere e formalizzare la nostra posizione e proposta all’interno dell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi e del Patto d’azione anticapitalista - per il fronte unico di classe, di cui siamo parte, alla prima occasione utile, e di rilanciare la nostra proposta più generale sul terreno della ricomposizione del fronte di classe che la vicenda GKN ha posto di fatto con forza (vedi l’appello Unire la lotta contro i licenziamenti).

Partito Comunista dei Lavoratori

RASSEGNA STAMPA (audio & video)

 

RASSEGNA STAMPA


1 ottobre - da il Resto del Carlino: 
Elezioni Bologna 2021, scontro su droga e tasse al confronto tra i candidati del Carlino

https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/politica/elezioni-2021-confronto-candidati-sindaco-1.6864385


1 ottobre - Articolo apparso su Bologna Today: "Cara Bologna ti scrivo...": la lettera del candidato Federico Bacchiocchi alla città

https://www.bolognatoday.it/politica/elezioni/elezioni-bologna-2021/federico-bacchiocchi-candidato-bologna-comunali-amministrative-lettera.html



29 settembre - Intervista andata in onda su Radio Città Fujiko nell'ambito della trasmissione "Una poltrona per otto: le proposte comunali per l'economia


28 settembreIntervista andata in onda su Radio Città Fujiko nell'ambito della trasmissione "Una poltrona per otto: le proposte sulla salute"



27 settembre - Intervista andata in onda su Radio Città Fujiko nell'ambito della trasmissione "Una poltrona per otto: le proposte su ambiente e cambiamenti climatici"




  25 settembre: il Corriere - Bologna

https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/politica/21_settembre_25/comunali-bologna-elezioni-2021-programmi-candidati-la-citta-c4c6078c-1e34-11ec-b5ea-466513b8b436.shtml


  25 settembre: il Resto del carlino - Bologna

https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/elezionicomunali/elezioni-2021-pcl-1.6844282











23 settembre: trasmissione Dedalus su E' Tv. L'intervento del candidato sindaco Federico Bacchiocchi dal minuto 43,10

https://e-tv.it/2021/09/24/dedalus-puntata-del-23-settembre-2021-ospiti-labanti-sermenghi-tosatto-e-bacchiocchi/




Elezioni Bologna: intervista al candidato sindaco Federico Bacchiocchi, Partito Comunista dei Lavoratori https://www.bolognatoday.it/politica/elezioni/elezioni-bologna-2021/federico-bacchiocchi-Partito-Comunista-Lavoratori-candidati-programma.html

Dialogo sulle elezioni con un compagno/a (dubbioso/a) della sinistra radicale

 


Vedo che vi presentate come PCL in quasi tutte le grandi città: Roma, Milano, Torino, Bologna. Che senso ha questa vostra presentazione? Ci si doveva unire, invece di contribuire alla divisione e alla confusione.


Caro/a compagno/a, capiamo il tuo punto di vista, ma sei tu a far confusione tra piani diversi. Sul terreno delle lotte siamo i primi a batterci per l’unità più ampia del movimento operaio e di tutte le sue organizzazioni attorno a obiettivi comuni contro il padronato e contro il governo. Non a caso il PCL è stato ed è con un ruolo propulsivo in tutti i circuiti unitari dell’avanguardia (Patto d’azione anticapitalista, Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, Coordinamento delle sinistre di opposizione). Ma sul terreno elettorale i rivoluzionari presentano da sempre il proprio programma generale, e il nostro programma generale è non solo contrapposto ai partiti borghesi (liberali, reazionari o populisti che siano), ma anche distinto dai programmi di altri partiti della sinistra.


Ma dov’è la distinzione? Non siamo forse tutti per la difesa dei lavoratori, contro il capitalismo e l’imperialismo, ecc.?

A parole sicuramente, anche perché le parole non costano nulla. Nella pratica le cose sono più complicate. Il Partito della Rifondazione Comunista è stato complessivamente per cinque anni al governo, o nell’area di governo (col primo governo Prodi tra il 1996 e il ‘98 e col secondo governo Prodi tra il 2006 e il 2008), votando di tutto: lavoro interinale, privatizzazioni, tagli alla sanità e alla scuola, addirittura una gigantesca detassazione dei profitti (IRES dal 34% al 27,5%) a vantaggio degli industriali e dei banchieri. Per non palare del voto alle missioni militari, Afghanistan incluso. Solo Marco Rizzo ha fatto di peggio, perché oltre alle schifezze dei governi Prodi ha votato anche quelle del governo D’Alema tra il 1998 e il 2000 e del secondo governo Amato (2000-2001): dai bombardamenti su Belgrado alla parificazione tra scuola pubblica e scuola privata.


Ma sono cose vecchie, occupiamoci dell’oggi!

A noi hanno insegnato che è il passato che spiega il presente. È una verità che vale sempre e su tutti i piani. Quando denunciamo Fratelli d’Italia non ricordiamo anche che Meloni ha votato la legge Fornero? Quando denunciamo la Lega non spieghiamo anche che ha massacrato le pensioni votando il sistema contributivo? Quando denunciamo il PD non ricordiamo anche che ha difeso e gestito tutte le politiche passate di austerità, senza sconti di sorta? E giustamente. Per quale ragione dovremmo dire che il passato non conta solo quando si tratta della sinistra cosiddetta radicale?


D’accordo, avranno fatto errori, ma hanno anche fatto autocritica.

In primo luogo, non si tratta di errori, ma di crimini. Se si vota la detassazione dei profitti, o le missioni di guerra, o il taglio della spesa sanitaria per pagare il debito alle banche, non è che si sbaglia la via del socialismo. È che si vota il programma dell’avversario di classe, in cambio di ruoli ministeriali e istituzionali. Il movimento comunista è nato rompendo con queste politiche. Non le ha considerate “errori”.
In secondo luogo, con tutto il rispetto, dov’è l’autocritica? Rifondazione ha recentemente sostenuto con entusiasmo il governo Tsipras che ha tagliato salari, pensioni, diritti. E oggi sostiene il governo “di sinistra” in Spagna (PSOE-Podemos) che butta a mare i migranti e negozia l’aumento dell’età pensionabile. Non è un caso che Rifondazione indichi il governo Sanchez come modello di riferimento: il suo sogno, sottotraccia, resta quello di una ricomposizione di governo col PD. Oggi impossibile certo, ma...


Vabbè, d’accordo, non avranno fatto autocritica e saranno pure un po’ ambigui, ma qui e ora abbiamo a che fare con un'offensiva padronale terribile che ci sta distruggendo, e voi siete lì che spaccate il capello.

Caro/a compagno/a, stai mischiando le pere con le mele. L’offensiva padronale ci sta distruggendo non perché il PCL si presenta al voto, o perché ci sono troppe liste a sinistra, ma perché quell’offensiva non incontra una risposta proporzionale all’attacco. Questa è l’esperienza degli ultimi quindici anni.
Noi diciamo che occorre alzare un argine sul terreno della lotta. Che occorre unire tutte le vertenze attorno ad un’azione comune: cassa nazionale di resistenza, occupazione delle aziende che licenziano – come hanno fatto in GKN – e loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio. Abbiamo attivato un appello nazionale che sta raccogliendo attorno a questa rivendicazione le adesioni di numerosi operai d’avanguardia impegnati in diverse vertenze. Sia chiaro: qui le elezioni non c’entrano, qui c’entra l’azione di massa. Perché le diverse sinistre politiche e sindacali non uniscono i loro sforzi ai nostri per favorire insieme un'esplosione sociale? Si presentino pure diverse liste, se corrispondono a programmi diversi. Ma si uniscano le forze nell’azione! Lenin diceva “marciare separati, colpire uniti”.


In effetti, farebbero bene a farlo.

Certo, ma attento: quelle rivendicazioni e quel terreno d’azione implicano una prospettiva anticapitalista, la lotta per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, l’unico che realisticamente possa realizzare queste misure di rottura. Se non ci si batte per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, se si persegue la ricomposizione di un “nuovo” centrosinistra, se ci si muove in ogni caso in una logica solo istituzionale ed elettorale, alla fine non ci si batte neppure per l’occupazione delle aziende che licenziano. E infatti siamo purtroppo solo noi ad oggi a batterci per questa parola d’ordine. Guarda caso siamo l’unico partito che ha nel proprio programma la lotta per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, basato sulla loro forza e autorganizzazione.


Mmm, ci penserò. Però questo vostro discorso spazia su tutto tranne sui problemi locali. Queste sono elezioni amministrative, non elezioni politiche.

Sì, sono elezioni amministrative, ma i problemi sono politici ad ogni livello, anche a livello locale. Tutte le giunte locali, di centrodestra come di centrosinistra come pentastellate, hanno tagliato le spese sociali, esternalizzato i servizi, precarizzato il lavoro, in ragione delle politiche nazionali di austerità. Oppure si sono indebitate con le banche sino al collo per compensare i tagli subiti. Noi diciamo che se vuoi regolarizzare il lavoro dei precari, investire in trasporti, sanità, istruzione, devi ribellarti alle politiche d’austerità e cancellare il debito dei comuni con le banche. Oltre a cessare i finanziamenti pubblici alle scuole private. Così se vuoi riconoscere il diritto alla casa, devi requisire le migliaia di appartamenti sfitti oggi controllati dalle grandi società immobiliari, o dalle banche, o dal clero. Possiamo ricordarti che le altre sinistre purtroppo hanno governato per decenni col PD nelle amministrazioni locali gestendo sui territori le politiche nazionali dei sacrifici e della speculazione immobiliare? Come vedi, politica e amministrazione locale sono indissolubilmente legate.


Insomma, mi state dicendo che voi del PCL siete gli unici coerenti... Ma io penso che sarebbe importante unire tutti in uno stesso partito comunista invece che farci la guerra tra piccoli partiti da zero virgola.

Caro/a compagno/a, bisogna intenderci. Rifondazione quando nacque univa “tutti i comunisti”, salvo il fatto di avere un programma riformista. Il risultato è che le sue contraddizioni sono esplose quando entrò nel governo, con l’inevitabile collasso. Dovremmo ora riavvolgere il nastro all’indietro per ripetere in condizioni peggiori un'operazione fallita, come se nulla fosse accaduto? Oggi vi sono migliaia di militanti comunisti in partiti, o attorno a partiti, che comunisti non sono, indipendentemente dal nome che portano. Noi vorremmo unirli in un vero partito comunista. Ma per questo è necessario che tanti compagni e compagne come te acquistino consapevolezza della realtà, fuori dal mito dell'unità. La sinistra era tutta unita quando votava l’austerità e le guerre nei governi Prodi. È proprio l’unità nella compromissione che l’ha distrutta. C’è allora bisogno di costruire una sinistra vera, coerentemente classista, anticapitalista, internazionalista.
Quando abbiamo costituito il PCL abbiamo indicato alcuni principi discriminanti attorno ai quali raggruppare le forze: stare all’opposizione dei governi borghesi, nazionali e locali, di centrodestra, centrosinistra e sinistra riformista; battersi per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori; legare gli obiettivi immediati e concreti di ogni lotta a una prospettiva anticapitalista; costruire sugli stessi principi un partito internazionale del lavoro. Su questa linea discriminante siamo per unire incondizionatamente tutti coloro che la condividono, indipendentemente dalla diversità dei percorsi.


“Indipendentemente dalla diversità dei percorsi”? Mi stupite. Pensavo che foste trotskisti tutti d’un pezzo.

Lo siamo, e ne siamo orgogliosi. Proprio perché lo siamo, il nostro obiettivo non è difendere un recinto ma costruire un partito rivoluzionario. La costruzione di un partito rivoluzionario passa per una selezione di militanti e di quadri dalla più diversa esperienza e provenienza. L’essenziale è la chiarezza dei principi generali su cui si costruisce, principi che certo non sono neutri, perché sono selezionati dalla storia del movimento operaio. Se non c’è chiarezza sui principi, se non c’è un bilancio della storia, si costruisce su basi d’argilla e prima o poi tutto crolla. La crisi del partito di Rizzo ci parla anche di questo.


Però Rizzo dice più o meno quello che dite voi, a parte il passato, naturalmente.

No. Rizzo contrappone i diritti sociali ai diritti civili, sino ad essere per questo omaggiato da ambienti apertamente reazionari. Noi pensiamo, con Lenin, che i comunisti devono costruire un'egemonia classista e anticapitalista su tutte le domande di liberazione. Negare le ragioni degli omosessuali, delle lesbiche, dei transessuali, delle soggettività LGBTQIA+ nel nome delle ragioni degli operai è pura demagogia reazionaria degna di un Salvini o di Meloni. Non certo dei comunisti. Se a questo aggiungiamo l’esaltazione rizziana del Partito Comunista Cinese, che conta nelle proprie file fior fiore di miliardari capitalisti tutti provenienti dalla nomenclatura stalinista, il quadro è completo. L’esempio di Rizzo semmai dimostra quanto il passato influisce sul presente. Come fai a riconoscere i diritti degli omosessuali se rivendichi un regime staliniano che nel 1933 introdusse in URSS il reato di omosessualità? Noi siamo comunisti, non rossobruni.


In alcune città si presenta il PCI, un partito comunista con la falce e martello. Cosa mi dite di loro?

Abbiamo un buon rapporto con il PCI sul terreno dell’azione, ad esempio nel Coordinamento delle sinistre di opposizione. Rispetto al vecchio Partito dei Comunisti Italiani di Cossutta, Diliberto e Rizzo hanno compiuto un passo a sinistra. Ma purtroppo è un partito che resta prigioniero della vecchia tradizione togliattiana. Assumono la Costituzione borghese di De Gasperi e Togliatti come una specie di Bibbia, proprio nel momento in cui l’ipocrisia della democrazia borghese è sempre più evidente. Rispolverano l’utopia di un nuovo modello di sviluppo in ambito capitalistico proprio nel momento storico in cui è fondamentale dimostrare il contrario, e cioè che tutte le rivendicazioni progressive – sociali, politiche, ambientali... – sono incompatibili con il capitale e richiedono il suo rovesciamento. Da comunisti dobbiamo sviluppare una coscienza politica rivoluzionaria tra i lavoratori e i giovani, non creare nuove (vecchie) illusioni riformiste. In fondo la differenza tra PCL e PCI è quella tra marxisti rivoluzionari e riformisti onesti. Il sostegno del PCI alla Cina, presentata addirittura come paese socialista, misura una distanza profonda anche sul piano internazionale. Il nostro internazionalismo è quello che unisce tutti gli sfruttati, inclusi i proletari cinesi, contro tutti gli imperialismi, incluso quello di Pechino.


Noto che non avete citato Potere al Popolo, almeno con loro avreste potuto unirvi, magari appaiando i simboli.

Potere al Popolo non si è compromesso in soluzioni di governo con i partiti borghesi, è giusto riconoscerlo. Ma le ambiguità non mancano. Intanto, a quale Potere al Popolo dobbiamo riferirci? La loro componente che fa riferimento a Je so' pazzo esalta il mutualismo come soluzione sociale. Nulla da eccepire sulle pratiche di solidarietà, anche noi vi abbiamo preso parte. Ma se il mutualismo diventa il programma, è come svuotare l’oceano con il cucchiaino da caffè: un ritorno alle antiche utopie premarxiste. Viceversa, la componente della Rete dei Comunisti, che controlla l'USB, combina una politica spesso settaria sul piano sindacale con una visione positiva della Cina, un gigante imperialista in ascesa che sta colonizzando l’Africa. In Europa gli uni e gli altri hanno come riferimento Jean-Luc Mélenchon, colui che sostituisce il tricolore francese alla bandiera rossa e fa discorsi equivoci su immigrati e vaccini. Insomma, molta confusione dentro PaP. Un'alleanza con loro avrebbe accresciuto, non ridotto, questa confusione.


Insomma, mi state dicendo che dovrei votare per voi.

No. Ti stiamo dicendo che dovresti votare per noi se sei comunista. Se pensi che il capitalismo non sia riformabile e che occorra una democrazia vera dove siano i lavoratori e le lavoratrici a governare. Ma soprattutto, se sei comunista, dovresti aiutarci a sviluppare il PCL, al di là della scelta di voto, nelle battaglie di classe di ogni giorno. Il voto per il PCL è un aiuto al suo sviluppo. Ci farebbe piacere se diventasse anche un tuo investimento. A presto, in ogni caso, nelle lotte.

Partito Comunista dei Lavoratori

GKN: una prima vittoria

 


Continuare la lotta, unire le vertenze

20 Settembre 2021

L’accoglimento del ricorso sindacale contro la procedura di licenziamento dei lavoratori di GKN è un primo importante risultato della loro lotta, della loro determinazione, della loro capacità di raccogliere una vasta solidarietà operaia e popolare.

Il risultato ottenuto non è merito certo della burocrazia sindacale, che ha subito la lotta dei lavoratori senza mai impegnarsi realmente sul terreno della mobilitazione, neppure in occasione della grande manifestazione nazionale di sabato scorso a Firenze. Il merito è solo della lotta operaia e del sostegno e riconoscibilità che ha saputo conquistarsi.

Ora è necessario far leva sulla prima vittoria ottenuta per unire tutte le vertenze del lavoro. Bisogna che nella piccola breccia che si è aperta con questo risultato irrompa un’azione generale della classe operaia.

padroni di GKN fanno sapere che rispettano la sentenza ma si riservano di impugnarla. Significa che non hanno alcuna intenzione di revocare la chiusura dello stabilimento di Firenze. Confindustria già ammonisce il governo a non avallare “la cultura anti-industriale”, cioè a non fare dell’infortunio di GKN un caso di scuola per imbrigliare i licenziamenti. Il governo ha già assicurato a Confindustria nelle scorse settimane che l’annunciata “legge anti-delocalizzazione” è solo una regolazione delle pratiche di licenziamento per metterle al riparo da infortuni giudiziari.

Le dichiarazioni (elettorali) dei partiti di governo in solidarietà con le ragioni dei lavoratori GKN sono solo una montagna di ipocrisia. Le ristrutturazioni in corso o annunciate nell’industria, nei servizi, nei trasporti, nel pubblico impiego indicano che la ripresa capitalistica passa per una nuova offensiva contro il lavoro. La montagna di miliardi che saranno riversati nei portafogli padronali servirà a irrorare questa offensiva. Occorre dunque opporre a questo attacco generale un fronte unitario di resistenza altrettanto generale.

È ora di finirla con le vertenze in ordine sparso, abbandonate a sé stesse, azienda per azienda, stabilimento per stabilimento, nella logica del si salvi chi può. Occorre fare di tante lotte una lotta sola, allargando il varco che i lavoratori GKN hanno aperto. Per questo tanto più oggi sosteniamo con convinzione l’appello rivolto a tutte le organizzazioni della classe operaia da centinaia di lavoratori, lavoratrici, quadri sindacali di diversa appartenenza (Unire la lotta contro i licenzialmenti), per una azione di lotta unificante attorno a comuni indicazioni:

• Occupare le aziende che licenziano, come hanno fatto i lavoratori GKN, e rivendicare la loro espropriazione sotto il controllo dei lavoratori

• Istituire una cassa nazionale di resistenza, che generalizzi la pratica dei lavoratori di GKN e Whirlpool, a sostegno di tutte le lotte prolungate

Lo sciopero generale è più che mai una necessità. Ma è essenziale combinarlo con questa svolta generale di obiettivi e di azione. Per evitare che si trasformi, come tante volte in passato, in un atto rituale senza effetti pratici sui rapporti di forza.

Il primo risultato dei lavoratori GKN dimostra che solo la forza operaia può strappare risultati. È necessario generalizzare questa esperienza all’intera classe lavoratrice. Ora.

Partito Comunista dei Lavoratori

ELEZIONI COMUNALI DI BOLOGNA: INTERVISTA A FEDERICO BACCHIOCCHI SUL TGR DEL 16 SETTEMBRE E IL NOSTRO PROGRAMMA

 Intervista a Federico Bacchiocchi, candidato sindaco al comune di Bologna andata in onda nell'edizione del 16 settembre del TG dell'Emilia Romagna


Al link seguente è possibile  vedere una lunga intervista a Federico Bacchiocchi andata in onda su Alice TRC TV il 17 settembre alle ore 21 nell'ambito del programma Dentro la Città:

Il nostro programma:






Dalla solidarietà alla lotta generale: tutte e tutti a Firenze sabato 18 settembre!

 


Pubblichiamo il testo del volantino che distribuiremo sabato 18 settembre alla manifestazione della GKN a Firenze

16 Settembre 2021

Unire le vertenze, contrapponendo alla radicalità dei padroni una radicalità uguale e contraria. Occupare le aziende che licenziano, per la loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio. Costruire una cassa nazionale di resistenza.

La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori di GKN è una grande lotta. Per questo va messa al servizio di un fronte comune di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, per un cambio di direzione del movimento operaio italiano.

Da anni le lavoratrici e i lavoratori subiscono la mancanza di una direzione di lotta adeguata a reggere il livello di scontro. Lotte importanti come quelle di Ilva, Acciaierie Piombino, Whirlpool, Alitalia, e tante altre, portate avanti coraggiosamente dalle lavoratrici e dai lavoratori per salvare il proprio lavoro, sono state prima isolate le une dalle altre e poi condotte spesso, in ordine sparso, su un binario morto. La divisione delle lotte è stata la vera forza dei padroni!

Azienda per azienda, la burocrazia sindacale ha predicato ovunque “senso di responsabilità” e “realismo”, portando a spasso gli operai in interminabili girotondi tra Ministeri, istituzioni locali, parroci, tutti prodighi di parole di solidarietà e di promesse... Ma le parole non cambiano i rapporti di forza. E alla fine, troppo spesso, è rimasto il peso materiale della sconfitta: centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, spremuti come limoni, gettati via come ferrovecchio dai loro padroni, senza mai l’occasione di un fronte comune.

È allora necessario un cambio di passo. Una svolta radicale di metodi d’azione, di organizzazione, di piattaforma. Una svolta che dica: la ritirata è finita, ora basta, ora tutte le vertenze si uniscono in un fronte comune, attorno a comuni obiettivi.

La lotta della GKN può diventare insomma una vera vertenza pilota, capace non solo di reggere lo scontro col proprio padrone, ma anche di parlare alla classe operaia italiana: ai lavoratori e alle lavoratrici della Whirlpool, Elica, Bekaert, ex Ilva, acciaierie di Piombino, Texprint; ai lavoratori della logistica, che per le loro lotte combattive hanno subito forti repressioni e pagato con la morte di Adil, sindacalista SI Cobas assassinato durante un picchetto; a tutti coloro che lottano, e che possono unirsi alla lotta.

È necessaria una proposta di azione comune!

• Le fabbriche che licenziano vanno occupate, come hanno fatto le lavoratrici e i lavoratori di GKN, per impedire ai padroni di portar via i macchinari

• Va organizzata una cassa nazionale di resistenza per sostenere la lotta prolungata, generalizzando l’esperienza di GKN

• Va rivendicata la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano, per garantire il diritto incondizionato al lavoro

• Va promosso un coordinamento nazionale di tutte le lotte di resistenza, per fare di tante vertenze isolate una grande vertenza nazionale. Trasformando la debolezza di ognuno nella forza di tutte e tutti.


Occorre portare queste rivendicazioni nello sciopero generale dell’11 ottobre. Per fare di questa giornata di sciopero un momento di sviluppo reale del fronte unico della classe lavoratrice.

A chi obietta che le rivendicazioni sono troppo avanzate, e che è “impossibile” realizzarle, rispondiamo che sono tutte proporzionali al livello obiettivo dello scontro. E che solo ponendosi su questo livello è possibile strappare risultati parziali e concessioni. Senza contrapporre alla forza dei padroni una forza uguale e contraria, siamo tutti condannati a rotolare all’indietro, come negli ultimi decenni.

In una battaglia di classe si può vincere e si può perdere. Il modo peggiore di perdere è non investire tutte le proprie potenzialità nel tentativo di vincerla. Senza una svolta unificante di azione la migliore lotta aziendale rischia di finire in un vicolo cieco. Ma perché una svolta unificante si produca occorre partire da una proposta generale. Le compagne e i compagni di GKN sono nelle migliori condizioni di esperienza, credibilità ed attenzione pubblica per avanzare questa proposta, rivolgendosi innanzitutto alle decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori già in lotta.

Il PCL, in ogni caso, porta e porterà questa proposta di azione in ogni luogo di lavoro, sindacato di classe, circuito di avanguardia, riconducendola alla prospettiva di un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, basato sulla loro forza e sulla loro autorganizzazione. L’unico governo che può presentare il conto al padronato.

Partito Comunista dei Lavoratori

Appello. Unire la lotta contro i licenziamenti!

 


Per adesioni: appellocontroilicenziamenti@gmail.com

14 Settembre 2021

Istituire una cassa nazionale di resistenza. Occupare le aziende che licenziano, come hanno fatto in GKN. Nazionalizzarle senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori. Opporre alla radicalità dei padroni una radicalità uguale e contraria

Pubblichiamo qui, su richiesta dei promotori, un appello nazionale per l'unificazione del fronte di lotta contro i licenziamenti, a partire dalle vicende GKN e Whirlpool. L'appello è promosso da lavoratori e lavoratrici di diversa appartenenza sindacale: RLS, RSU, compagni e compagne con ruoli sindacali e/o rappresentativi/e di realtà di lotta importanti nella propria azienda, settore, territorio. Attorno a questo appello, che qui pubblichiamo con la prima rosa di firmatari, si svilupperà una campagna nazionale di adesioni e iniziative di supporto, di cui verrà data periodica informazione.

I compagni e le compagne che intendono aderire possono scrivere a appellocontroilicenziamenti@gmail.com




UNIRE LE LOTTE CONTRO I LICENZIAMENTI!

Lo sblocco dei licenziamenti ha moltiplicato l’offensiva padronale contro i lavoratori e le lavoratrici. Le vicende Whirlpool, GKN, Giannetti, Timken, sono emblematiche. I licenziamenti si concentrano nel settore automotive, dove Stellantis già dichiara ufficiosamente 12000 “esuberi”. Ma coinvolgono anche il settore dei trasporti (Alitalia), colpiscono la logistica (FedEx), si estenderanno all’industria tessile e alle piccole imprese quando diverrà operativo lo sblocco anche in questi settori. Nel complesso un salto nell’attacco al lavoro, che si aggiunge al mancato rinnovo nel primo anno della pandemia di un milione di contratti precari.

Spesso, padroni italiani o stranieri che hanno mercato e commesse e che hanno incassato complessivamente miliardi di soldi pubblici pagati dai lavoratori, decidono di trasferire altrove la produzione per beneficiare o di salari ancor più miserabili, o di ulteriori esenzioni fiscali, o di puri vantaggi speculativi di carattere finanziario. In altri casi, in cui la crisi di settore è reale (auto, siderurgia, trasporti) la si scarica sui salariati a protezione degli azionisti. A pagare sono sempre i produttori della ricchezza, a vantaggio di chi la intasca.

Ad oggi questa offensiva generale non trova una risposta generale unitaria del movimento operaio. Dal 2008 si moltiplicano vertenze su vertenze a difesa del lavoro, che coinvolgono centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, la loro generosità, la loro tenacia. Ma sono tutte vertenze in ordine sparso, in un quadro di grande frammentazione. Manca una risposta unificante. Ogni vertenza è ripiegata su sé stessa, sulla propria specifica situazione, in una giostra interminabile di contatti istituzionali, annunci elettorali, promesse di futuri acquirenti: che o sono fantasmi, o sono faccendieri, o pongono come condizione d’acquisto la cancellazione di posti di lavoro e/o di diritti acquisiti. È il calvario degli ultimi 15 anni (Alitalia, Termini Imerese, Alcoa, Eutelia, Acciaierie di Piombino, etc.). Un lungo elenco di croci. Ora è la volta di Whirlpool, Giannetti, Timken, GKN.

La legge sulle delocalizzazioni annunciata dal governo Draghi, su modello della legge francese Florange del 2014, non offre alcuna risposta ai lavoratori. Non riguarda né le chiusure legate a crisi economico-finanziarie, né le delocalizzazioni interne alla UE (GKN). Si limita a un piano di cosiddetta “mitigazione delle ricadute occupazionali”: preavviso dei licenziamenti, generici impegni che non valgono nulla per il futuro occupazionale dei licenziati, una multa irrisoria in caso di inadempienze. Per di più oggi, su richiesta di Confindustria, si sono cancellate dal testo di legge persino queste sanzioni simboliche. Nei fatti è una legge che prescrive come licenziare educatamente e monetizzare il licenziamento. Proprio come avviene in Francia. Una truffa presentata come “soluzione”. Inaccettabile.

È necessario voltare pagina. Non pioveranno concessioni dall’alto senza una svolta di lotta dal basso: una svolta di lotta radicale quanto radicale è l’offensiva del padronato. Una svolta che finalmente unifichi le centinaia di vertenze presenti e future, sottraendole all’isolamento, all’abbandono, alla sconfitta. Non si tratta di ignorare le specificità di ogni vertenza, che è sempre un terreno d’azione importante. Si tratta di unire le vertenze al di là della loro specificità. Di individuare comuni forme di lotta e comuni rivendicazioni, che possano trasformare tante vertenze in ordine sparso in una grande vertenza nazionale a difesa del lavoro, capace di mettere la lotta di ognuno al servizio di tutti, e la lotta di tutti al servizio di ognuno. È l’unica via per cambiare i rapporti di forza e strappare risultati.

Per questo proponiamo a tutte le organizzazioni del movimento operaio di unire nell’azione le proprie forze attorno a misure e rivendicazioni di svolta.


OCCUPARE LE AZIENDE CHE LICENZIANO. FARE COME ALLA GKN

Se il padrone licenzia deve incontrare ovunque una risposta uguale e contraria. A partire dalla occupazione dello stabilimento interessato. Dalla fabbrica non deve uscire neppure un bullone. L’occupazione è una prima forma di requisizione. È ciò che hanno fatto i lavoratori di GKN, con una scelta esemplare, che non a caso ha messo in allarme padronato e governo. imponendo la loro vertenza all’attenzione pubblica. Estendere e generalizzare questa forma d’azione significa moltiplicare i suoi effetti. Significa dire alla borghesia e ad ogni padrone che se vuole licenziare deve mettere sul conto, in primo luogo, la perdita di controllo sui suoi impianti. Un ammonimento che in termini pratici vale infinitamente di più di una multa (eventuale) da assorbire a bilancio.


PER UNA CASSA NAZIONALE DI RESISTENZA

Una occupazione prolungata ha bisogno di essere coperta ben al di là degli ammortizzatori esistenti. C’è bisogno di una cassa di resistenza. È quella che è stata adottata dai lavoratori di Whirlpool, di FedEx, di GKN e di altre vertenze. Ma occorre andare al di là della raccolta volontaria di vertenza in vertenza. Occorre una grande cassa di resistenza nazionale pronta a sostenere ogni azione di lotta prolungata a difesa del lavoro, con l’impegno a tal fine di tutte le organizzazioni di classe e di un loro comitato unitario di controllo. Significa dire alla borghesia e a ogni padrone che i lavoratori sono pronti a reggere ovunque uno scontro di lunga durata. Un deterrente di certo più efficace di qualsiasi “raccomandazione” ai padroni di usare buone maniere.


NAZIONALIZZARE LE AZIENDE CHE LICENZIANO, SENZA INDENNIZZO E SOTTO IL CONTROLLO DEI LAVORATORI

Se il padrone vuole licenziare i lavoratori, questi ultimi hanno diritto a rivendicare il licenziamento del padrone. Se il padrone antepone la proprietà al lavoro, il lavoro ha diritto a mettere in discussione la proprietà. Senza un euro di indennizzo: perché l’indennizzo se lo sono preso con anni e decenni di risorse pubbliche, e con lo sfruttamento dei lavoratori. Nazionalizzare senza indennizzo significa riprendersi ciò che i lavoratori hanno già abbondantemente pagato, e porlo sotto il proprio controllo. Significa dire che il problema non è il costo del lavoro per il capitale ma il costo del capitale per il lavoro, ribaltando decenni di sacrifici e arretramenti che hanno solo ingrassato i profitti.

È una rivendicazione che pone la prospettiva di una alternativa di società partendo dalla necessità immediata del posto di lavoro. Non a caso appartiene alla storia del movimento dei lavoratori, in particolare nelle epoche di crisi. Riprenderla e generalizzarla significa dire alla borghesia e ad ogni padrone che i lavoratori non sono più disposti a considerare intoccabile la proprietà degli azionisti. Se il padrone vuole licenziare deve sapere che la sua proprietà è in gioco. Un avvertimento forse più convincente delle solite prediche virtuose.


PER UNA ASSEMBLEA NAZIONALE UNITARIA DI TUTTE LE VERTENZE CHE DECIDA SU FORME DI LOTTA E OBIETTIVI COMUNI

Questa svolta generale di indirizzo è richiesta dal nuovo livello dello scontro.

Per discuterla e approfondirla crediamo necessaria una grande assemblea nazionale delle rappresentanze di tutte le aziende in lotta, al di là di ogni diversa appartenenza di categoria o di sindacato. Una assemblea nazionale che possa definire democraticamente una piattaforma comune e un’azione comune. Una assemblea che contrapponga al fronte unitario del padronato il fronte unitario dei lavoratori. Una assemblea che ponga l’esigenza di una vertenza generale di tutto il mondo del lavoro, nella prospettiva di una lotta internazionale che ribalti i rapporti di forza tra le classi.


Per adesioni: appellocontroilicenziamenti@gmail.com




Primi firmatari:


Luigi Sorge, operaio STELLANTIS Cassino, Assemblea Generale FIOM CGIL Frosinone/Latina

Gabriele Severi, RSU USB Marcegaglia Forlì

Thomas Casamenti, RSU USB Marcegaglia Forlì

Fabio Frati, Direttivo nazionale CUB trasporti Alitalia

Enzo Accursio, RSU UILM Whirlpool Napoli

Madonna Pasquale, RSU Cgil Jabil Marcianise Caserta

Alessandro Babboni, cassaintegrato Jsw Steel Italy, ex Acciaierie Piombino

Paolo Francini, cassaintegrato Jsw Steel Italy, ex Acciaierie Piombino

Paolo Ferrari, USB, cassaintegrato Jsw Steel Italy, ex Acciaierie Piombino

Giuseppe Filippeschi, cassaintegrato Jsw Steel Italy, ex Acciaierie Piombino

Franco Panzarella, Assemblea Generale GCIL Prato

Enrico Chiavacci, CD FISAC Toscana, Coordinatore Regionale FISAC per le Banche di Credito Cooperativo e membro del Coordinamento Nazionale FISAC Gruppo Iccrea

Aurelio Fabiani, RSU IIS Spagna/Campani Spoleto

Ettore Magrini, USB Territoriale Spoleto

Renato Pomari, RSU FIOM CGIL IBM Milano

Roberto Galvanin, RSU USB Stefani Vicenza

Andrea Bartoli CD FILCTEM CGIL Firenze

Arduino Fraveto, direttivo provinciale CUB, Stellantis Cassino

Andrea Camilli, CD FILCTEM CGIL Pisa

Luca Tremaliti, CD Nazionale FILT CGIL, marina mercantile

Diego D’Agostino, CD FIOM STELLANTIS Cassino

Carlo Velletri, RSU FIOM Guidolin Padova

Fausto Torri, Enel distribuzione La Spezia, Assemblea generale CGIL La Spezia

Gerardo Iuliano, Novolegno Montefredane Avellino

Giovanni Ferraro, CD FP CGIL sanità privata, Napoli

Roberto Bonasegale, RSU FIOM Bcs Abbiategrasso, AG FIOM Ticino-Olona

Mario Maddaloni, RSU USB Napoletana gas

Emanuele Troisi, RSA FLC CGIL Istituto A. Lombardi - Airola (BN)

Lorenzo Mortara, CD FIOM Vercelli, RSU YKK Vercelli

Gennaro Navarra RSA FP CGIL sanità privata Napoli

Gina Atripaldi, USB Napoli

Stefano D'Intinosante, RSU Somec Conegliano (TV), CD FIOM CGIL Treviso

Raffaele Ucci, Farmacia Falco di Marcianise (CE)

Donatella Ascoli, Musei Civici Veneziani, AG CGIL Veneto, CD FILCAMS CGIL Veneto

Elder Rambaldi, AG FP CGIL Veneto, Vigili del Fuoco Venezia

Marco Di Pietrantonio, RSU Provincia di Pescara, CD CGIL Pescara

Leonardo Radi, operaio forestale Unione dei Comuni di Grosseto

Elena Felicetti, lavoratrice precaria della scuola, FLC CGIL Pavia

Diego Ardissono, CD NIDIL CGIL Padova

Sergio Castiglione, CD FLC CGIL Caltanissetta

Luca Gagliano, NIDIL CGIL Padova

Vincenzo Cimmino, lavoratore precario della scuola, AG nazionale FLC CGIL

Sergio Borsato, CD FLC CGIL Milano

Antonio De Caro, lavoratore precario

Francesco Doro, FILCTEM CGIL Venezia, Lumson SPA

Mauro Goldoni, FILLEA CGIL Ancona

Isidoro Migliorati, RSA SI COBAS Memc. SPA Novara

Crescenzo Papale, USB Marche, impiegato pubblico

Antonio Tralongo, CUB Palermo, lavoratore dello spettacolo

Giuseppe Ranieri, CUB PENSIONATI Milano

Riccardo Spadano, SGB Lazio

Barbara Pecchioli, SGB Oss Ospedale Arezzo

Franco Grisolia, SPI CGIL, Collegio di verifica CGIL Lombardia

Alessio Dell’Anna, insegnante precario, FLC CGIL Milano

Natale Azzaretto, assemblea provinciale SPI CGIL Milano

Diiego Peverini, USB Terni, Busitalia srl Umbria

Alessia Isernia, insegnante precaria, FLC CGIL Milano

Mario Cermignani, avvocato giuslavorista

Andrea Mario Lucchetti, ausiliario socio assistenziale Milano

Franco Dreoni SLC GGIL Firenze

Francesco Monti, SLC CGIL Reggio Calabria

Linda Bonci, operaia tessile Arezzo

Leo Barbi, ANPI Gavorrano Scarlino

Simione Perugini, musicista, Cortona

Maurizio Rossi, Pensionato, ex operaio La Magona D’Italia, Piombino

Ettore Ceccanti, autista Tiemme Grosseto

Paolo Gianardi, Pensionato comune di Piombino, SPI CGIL

Stefania Martelloni. Pensionata ex impiegata Tiemme Piombino

Giuliana Giuliani, Castagneto Carducci

Aldo Montalti, SPI CGIL

Alessandro Giannetti, USB, ex operaio ENEL Lardello

Gianfranco Bilancieri, Medico, Castagneto Carducci

Emanuela Pulcini, COBAS lavoro privato, Coopculture Roma

Ivan Romanò, operaio chimico Pirelli Bollate

Sonia Lenti

Lorenzo Materiali

Giuseppe Di Pede, operaio cartaio Cartiera Burgo, Sora (FR)

Gisella Rossi




(in aggiornamento)

Appello "Unire le lotte contro i licenziamenti"

Quando il proletariato chiedeva il vaccino

 


L'epidemia di colera nella Napoli del 1973

12 Settembre 2021

La spiegazione degli eventi e l’insegnamento della storia si contraddistinguono, in questo periodo pandemico, non dalla qualità delle fonti ma dalla quantità delle fonti. Siti privi di qualsiasi fondamento scientifico proliferano distorcendo le notizie e la verità sui vaccini anti-Covid. Pullulano frasi come “vengono nascosti effetti collaterali e decessi post-vaccino”, “I vaccini anti-Covid sono sperimentali”.

In Italia l’Agenzia Italiana per il farmaco (Aifa) pubblica periodicamente il resoconto con le segnalazioni di sospetti eventi avversi, e la realtà è che «i vaccini autorizzati contro il Sars-Cov hanno effettuato tutti i passaggi della sperimentazione per ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio», non vi è stato nessun “salto del turno”.

Il nozionismo in sostanza sta sostituendo a poco a poco lo spazio della comprensione dei grandi fenomeni storici. Anche le lotte sociali di classe vengono sostituite da paure e convinzioni medievali. Il Covid-19 non è solo una malattia fisica, ma in molti scuote e mobilita le paure più irrazionali.

Era il 1973 quando un’epidemia di colera colpì l’Italia. La propagazione del colera, rispetto alla diffusione del Covid-19, ebbe un processo geograficamente inverso. Il centro del contagio fu Napoli, una città del Sud. Tutto ebbe inizio nell’agosto del '73, per la precisazione il 24 agosto, a Torre del Greco (dove Giacomo Leopardi morì 1837 durante un’altra epidemia di Colera), ove si segnalarono alcuni casi di gastroenterite acuta.

Già il 20 agosto la ballerina inglese Linda Heyckeey morì a causa del colera. Era più di un sospetto. L’ospedale Cotugno del capoluogo campano in pochi giorni assorbì molti pazienti, tutti affetti dagli stessi sintomi: diarrea, nausea e vomito. Il colera si diffuse, il batterio killer iniziò a preoccupare. La malattia viaggiò veloce per le vie della città e con essa, alla stessa intensità, si diffusero la paura e il panico.

Napoli aveva già avuto a che fare con il colera nel 1835, nel 1849, nel 1854, nel 1865, nel 1884 e nel 1893. I decessi furono migliaia, e migliaia di vittime – circa 16000 – il Vibrio cholerae (batterio responsabile del colera) li fece nella penultima epidemia del 1884. L’incubo colera si stava riproponendo per l’ennesima volta a Napoli.

La Napoli degli anni '70 era una Napoli molto diversa da quella di oggi, non solo in senso strutturale ma anche sociale. Il tessuto sociale era strettamente più connesso alla coscienza politica. L’impatto del colera a Napoli negli anni '70, se paragonato ai numeri del Covid-19 odierni, fu sicuramente di lieve entità, le morti (secondo le stime più pessimiste) furono 24, con circa 1000 pazienti ricoverati. Altre regioni come la Puglia, la Sardegna o città come Roma, Firenze, Pescara, Bologna e Milano, contarono ammalati ma nessun aspetto drammatico per le statistiche.

La ricerca delle cause della diffusione della malattia furono, almeno nella prima fase, complesse. Inizialmente infatti si ritenne che l’epidemia fosse stata causata dal consumo di molluschi infetti dai vibrioni, in particolare cozze, che venivano ingerite anche crude. La cosa molto particolare e curiosa è che le vere responsabili della diffusione del batterio furono le cozze tunisine e non quelle nostrane, perché i frutti di mare partenopei avevano un tale concentrato di colibatteri, a causa dell'inquinamento del mare, da impedire di sopravvivere allo stesso batterio del colera [1].

Fu il primo caso d’inquinamento selettivo per il proliferare di batteri.

Le autorità, dunque, adottarono diverse misure di anticontagio: iperclorinarono le acque dell’acquedotto municipale, bloccarono la vendita dei frutti di mare e il consumo nei ristoranti e nelle trattorie, e in concomitanza attivarono una raccolta di massa straordinaria di rifiuti, sanificarono strade ed effettuarono controlli a tappeto.

La situazione era seria, era necessario reagire, tanto più che, come tutte le questioni sociali, restavano sacche di convinzioni medioevali, populiste e parafasciste che facevano resistenza. Ieri come oggi avevamo la destra retrograda (i no vax odierni) in prima linea, i soliti sprezzanti del pericolo (negazionisti dell’epidemia) che pensarono bene di farsi riprendere mentre ingurgitavano cozze crude. Oppure si doveva fare i conti con l’incoscienza nazionalpopolare dei giovani, come quella degli "scugnizzi" che dopo essersi vaccinati si gettavano nelle inquinate acque di Via Caracciolo [2].

La presenza del Colera a Napoli, in pochi giorni, divenne un fatto ufficiale. I media sottolineavano il dato. Il Mattino il 28 agosto ufficializzava la presenza dell’epidemia. Gli anziani del posto avevano ancora vivo il ricordo di cosa aveva fatto il colera nel 1910, pochi decenni prima (111 decessi). Il 29 agosto, il Corriere titolava: «Paura del colera». Il giorno dopo: «Contagiati anche i bimbi».

Era necessario reagire, ma mancavano le dosi. In città, il siero anticolerico contava poco più di 17000 dosi [3]; la popolazione iniziava ad accusare il colpo e la non chiarezza sull’origine della diffusione del batterio metteva Napoli in ginocchio. I napoletani, oltre a subire la malattia, per la paura si trovano sigillati in casa senza poter consumare nulla, dal pesce all’acqua alla frutta. Il disagio cresceva, e aumentava anche il livello di coscienza di classe. Il popolo scese in piazza al grido di “vogliamo il vaccino!”. Napoli reclamò il vaccino. Era la classe operaia, la povera gente dalla grande Napoli che stava reagendo.

Nelle foto in bianco e nero di allora ci sono uomini, donne e bambini che protestano perché vogliono difendersi da quel nemico che evoca terrore e lutti. Proprio come dovrebbe essere oggi per il Covid-19, la gente di Napoli ancor meno di cinquant’anni fa lottava per aver un vaccino, per poter essere libera, per poter mandare i figli a scuola, per uscire e tornare alla normalità.

Ai giorni nostri, con un nemico molto più letale e cattivo, le cronache e le immagini in bianco e nero di quella estate napoletana del 1973 ci consegnano una grande esperienza positiva, l’esempio di come il popolo debba rispondere.

Si creano dunque a Napoli i primi centri vaccinali, uno dei primissimi fu alla Casa del popolo di Ponticelli (un’iniziativa promossa da alcuni militanti del PCI), e in poco tempo la vaccinazione cambia passo. Il 3 settembre il Corriere d’Informazione parla di circa 800000 napoletani vaccinati, e l’obiettivo del milione sembra vicinissimo; “prima di sera”, aggiunge, “potrebbero arrivare a sfiorare il milione”, ma lo cosa che più colpisce è, come afferma il Corriere: «in città si nota un clima molto più sereno».

Per rendere possibile la campagna di immunizzazione, in città erano stati allestiti decine di centri dove il vaccino poteva essere somministrato. Al 3 di settembre ne risultavano attivi «44 nella sola Napoli». Un aiuto importante, per dovere di cronaca, fu dato dalle truppe NATO presenti in Campania, dotate di "siringhe a pistola" capaci di somministrare le dosi in tempi molto rapidi. Questi strumenti erano quelli che utilizzavano per le loro truppe in Vietnam.

Quello che dobbiamo valutare con molta attenzione oggi è quello che ci ha insegnato questa vicenda. A Napoli ci fu una grande partecipazione della popolazione alle proteste per ottenere il vaccino. Con grande tenacia e pazienza, i partenopei ottennero il vaccino, mostrando piena fiducia nella scienza, nell’immunizzazione e nei vaccini.

La storia, come spesso accade, non solo tende a ripetersi, ma purtroppo, come diceva un grande, insegna ma non ha allievi. Nel caso del Covid, purtroppo, ha subito un ulteriore affronto ed è stata ribaltata.





NOTE



1) approfondimenti a questo link.



2Corriere del mezzogiorno



3) Corriere della Sera






ALTRE FONTI



L’epidemia di colera a Napoli



La lezione dell’epidemia del colera



Eugenio Gemmo

Alitalia/ITA, gravissimo attacco a lavoratori e lavoratrici

 


Il trasporto aereo sta conoscendo in tutto il mondo un enorme processo di ristrutturazione legato alla crisi del settore, precipitata dalla pandemia. Naturalmente a scapito dei salariati. In Italia la danza attorno al cadavere di Alitalia, in amministrazione straordinaria, sta producendo l'attacco più grave. Una compagnia di bandiera saccheggiata negli anni e decenni da azionisti avventurieri e manager lestofanti, col concorso di tutti i governi, è in crisi terminale. I commissari da tempo incaricati della sua liquidazione, a garanzia dei creditori, sono alla fine dell'opera. Ma con qualche complicazione imprevista.


La UE, pressata dalle compagnie concorrenti, chiede ad Alitalia di restituire i 900 milioni di prestito ponte a suo tempo effettuato, in quanto “aiuto di Stato”, ciò che oggi determinerebbe il fallimento formale di Alitalia.
Ma se Alitalia va in fallimento, come possono i commissari straordinari che la gestiscono cedere i gioielli aziendali alla nuova compagnia subentrante (ITA, Italia Trasporto Aereo), e per di più garantire le banche creditrici? Da qui una duplice operazione. Da un lato il governo chiede formalmente alla UE di sospendere temporaneamente la richiesta di restituzione del prestito. Dall'altro lo stesso governo garantisce la UE che in omaggio alla libera concorrenza la nuova compagnia, controllata dal Tesoro, sarà in discontinuità con la vecchia. In altri termini, garantisce che non si tratta di una nazionalizzazione, più o meno mascherata.

La discontinuità annunciata si concretizza nel fatto che ITA, la nuova compagnia, assumerebbe solo 2800 lavoratori, sui quasi 11000 dipendenti attuali di Alitalia. Per di più i 2800 non sono necessariamente tra i lavoratori uscenti, perché verrebbero riassunti sul libero mercato. Gli uscenti che volessero provare ad essere riassunti dovrebbero fare tutta la trafila della presentazione del curriculum, partendo da zero. È la concorrenza, bellezza, quella tra i salariati.

Non è tutto. I 2800 “fortunati” verrebbero assunti non col contratto nazionale ma con un contratto aziendale che prevede tagli del 30% sui salari di tutte le figure professionali. E per gli altri 8000 lavoratori che rimangono a spasso? Nessuno di loro si illuda di poter godere del “privilegio” di una cassa integrazione lunga come i licenziati del 2008. Al massimo, se va bene, un anno di cassa integrazione, e un po' di formazione, per candidarsi sul mercato a futura memoria. ITA dichiara che ne potrebbe riassumere qualcuno entro il 2025, ma solo se il mercato lo consentirà.

In realtà tutto fa pensare che ITA sia solo una tappa dell'operazione. Come il governo Draghi ha già fatto intendere, non c'è alcuna volontà di tenere a lungo una compagnia controllata dal Tesoro. L'obiettivo è quello di ricollocare la nuova ITA sul mercato per nuovi compratori pescecani. Lufthansa si è candidata da tempo a rilevare le spoglie di Alitalia. La sua unica richiesta è quella dello spezzatino per poter comprare ciò che le conviene e mollare il resto. È esattamente quanto sta facendo il governo assieme ai commissari straordinari: separazione della cessione dei 52 aerei dalla cessione del marchio; esternalizzazione annunciata dei servizi aereo portuali; una deroga governativa nel decreto infrastrutture all'obbligo di accollarsi i dipendenti da parte di una azienda che acquisisce un ramo d'azienda da un'amministrazione straordinaria. ITA è dunque il nuovo boccone appetibile per il mercato capitalistico dell'aviazione europea. Il taglio dei posti di lavoro, le condizioni contrattuali umilianti dei pochi lavoratori assunti, sono l'offerta di mercato di ITA con la copertura del Tesoro. L'ex manager FIAT Alfredo Altavilla a capo di ITA è l'uomo perfetto per l'operazione: applica al trasporto aereo la logica di Marchionne.

Su questo terreno non c'è nulla da trattare. Persino le burocrazie sindacali che per lungo tempo hanno coperto un negoziato a perdere sono state costrette (per il momento) ad alzarsi dal tavolo. Ma non è sufficiente un gesto episodico e formale. È necessario che tutte le organizzazioni di classe del settore uniscano le proprie forze a difesa di tutti i posti di lavoro e dei diritti sindacali minacciati. È ciò che propone giustamente CUB Alitalia, sin dal 2008 l'organizzazione più coerente e determinata della categoria.

ITA ha annunciato per il 15 ottobre il proprio decollo? Sarebbe bene informarla che alle condizioni poste per quella data non ci sarà alcun decollo. Come i lavoratori possono occupare una fabbrica, così possono occupare le piste.

C'è bisogno al tempo stesso di una lotta generale di tutti i lavoratori e le lavoratrici del trasporto aereo di tutte le compagnie. Basta con la concorrenza al ribasso tra le compagnie sulla pelle dei lavoratori! L'intero trasporto aereo va nazionalizzato sotto il controllo dei lavoratori, a tutela dei posti di lavoro e della dignità di ognuno. Il trasporto è un servizio pubblico e deve essere posto sotto controllo pubblico, tutto. E devono essere i lavoratori a controllare direttamente la gestione del trasporto, sulla base di un piano nazionale, contro mazzette, ruberie, sprechi, clientelismi.

Occorre inoltre gettare un ponte verso tutte le altre vertenze a difesa del lavoro, a partire da GKN e Whirlpool, per una piattaforma di lotta comune contro i licenziamenti.
Giù le mani dal lavoro! Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio di tutte le aziende che licenziano! No a privatizzazioni mascherate!

È il tema di una petizione nazionale oggi promossa da avanguardie di lotta di diverse aziende in crisi, e di diversa appartenenza sindacale. Il PCL, assieme ad altri soggetti, sostiene convintamente questa petizione. La manifestazione nazionale di sabato 18 settembre a Firenze sarà un'occasione di sviluppo importante di questa campagna unitaria, nell'interesse dell'intero mondo del lavoro.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il virus di Marco Rizzo e del suo CC

 


Dai governi di centrosinistra al civettamento con la destra, persino sui vaccini

Come Partito Comunista dei Lavoratori abbiamo assunto per tempo una posizione chiara sul tema delle vaccinazioni. Abbiamo registrato molti consensi attorno alle nostre posizioni, assieme a critiche e polemiche. Abbiamo interloquito com'era doveroso con le critiche politiche, anche severe; non abbiamo risposto a insulti, perché non abbiamo tempo da perdere. Di certo più passa il tempo più ci sentiamo confortati nelle nostre convinzioni, tanto quanto siamo sconcertati da altre prese di posizione che si vorrebbero comuniste ma in realtà capitolano a luoghi comuni reazionari.

È il caso, per ultimo, di Marco Rizzo. Il suo partito – suo nel senso proprio del termine – ha sentito il bisogno di formalizzare la propria posizione attraverso un comunicato del Comitato Centrale (1). L'abbiamo letto e riletto più volte, per paura di esserci sbagliati. Eppure no, non c'è nel testo una sola parola, una, a favore della vaccinazione.

Andiamo con ordine. Il CC del PC lamenta giustamente che «nel nostro paese da oltre trent'anni, governi di centrodestra e centrosinistra, e così il governo Conte ieri e Draghi oggi, hanno ridotto e continuano a ridurre pesantemente la sanità pubblica, a partire dalla drastica riduzione di posti letto in ospedale, della medicina territoriale, di prossimità e di quella di base». Parole sacrosante.

Ma negli ultimi trent'anni non hanno operato anche i governi che Rizzo ha appoggiato? Ne contiamo ben cinque. Il primo governo Prodi (1996-1998), i due governi D'Alema (1998-2000), il secondo governo Amato (2000-2001), il secondo governo Prodi (2006-2008). In tutto sette anni. Sette anni in cui quei governi, al pari di tutti gli altri, hanno tagliato posti letto, medicina territoriale, di prossimità ecc., al solo scopo di ingrassare la sanità privata e pagare il debito pubblico alle banche. Di più: furono proprio quei governi di centrosinistra tra il 1996 e il 2001, con il ministro Bindi, a liberalizzare i fondi sanitari integrativi picconando il servizio pubblico (Legge 229). Ora, un dirigente politico e parlamentare come Rizzo, che con ruoli allora di primo piano ha appoggiato quei governi combattendo chi a sinistra li contrastava, con che faccia può ergersi oggi a difensore della sanità pubblica?

E per favore non si parli di “errori” o di “autocritiche” (che peraltro mai ci sono state). Gli errori si commettono quando si sbaglia all'interno del nostro campo di classe, nell'esercizio dell'opposizione. Ma quando per ben sette anni si sostengono i governi capitalisti che massacrano la sanità pubblica per conto dei banchieri, si sta per sette anni dall'altra parte della barricata. In quel caso non si compiono errori, si commettono crimini. Possibile che Rizzo non senta il bisogno di spendere una parola su questo? Possibile che il Comitato Centrale del PC non gli chieda conto di nulla?

Il CC del PC dichiara che «come marxisti crediamo nell'analisi e nel processo scientifico convalidato», ma che «siamo altresì attenti analisti della torsione che il capitalismo globalizzato compie nella sua corsa sfrenata verso il profitto». Dunque? Dunque «Siamo contro il Green Pass in quanto strumento non atto alla difesa della salute pubblica, ma elemento divisivo, discriminatorio». Ora, al netto del giudizio sul green pass, su cui abbiamo detto la nostra, un ingenuo potrebbe dedurre che Rizzo, da marxista scientista quale si dichiara, rivendichi la vaccinazione obbligatoria per tutti, in modo da cancellare la cosiddetta discriminazione del green pass. E invece no. Del vaccino Rizzo non parla proprio, non una sola parola a suo favore. Come si intende combattere il covid? Con «un piano straordinario per la difesa del lavoro, della sanità...» e «un piano pubblico e gratuito per avere tamponi ed esami salivari che permetta un serio e continuo monitoraggio della pandemia». È tutto.

Ora, intendiamoci bene. Avendo noi combattuto per decenni tutti i governi capitalisti che hanno saccheggiato la sanità pubblica – anche quelli che Rizzo appoggiava – siamo molto sensibili al “piano straordinario per la sanità pubblica”. Per la precisione rivendichiamo, non da oggi, un raddoppio della spesa pubblica per la sanità finanziato da una patrimoniale di almeno il 10% sul 10% più ricco (significherebbe 400 miliardi) e la cancellazione del debito pubblico verso le banche, quelle banche che i governi e i partiti di centrosinistra hanno rappresentato al meglio “per trent'anni”.

Ma perché opporre tutto questo alla vaccinazione di massa, e addirittura non far parola di questa? Se vogliamo “un piano straordinario per la sanità pubblica” non è anche per rafforzare la vaccinazione, moltiplicare il personale che la gestisce e i luoghi preposti, velocizzare i tempi, coinvolgere settori sociali oggi esclusi di fatto dalla vaccinazione per ragioni di marginalità sociale, discriminazione etnica, ecc.? E invece no. L'obiettivo di Rizzo è solo quello del monitoraggio serio e continuo della pandemia. Ma che senso ha contrapporre il monitoraggio della pandemia (giustissimo) alla vaccinazione di massa? Nessuno. In questi termini il no al green pass di Rizzo si riduce a una strizzata d'occhio ai no vax per cercare di incassare il loro voto per le prossime amministrative. Con buona pace dei... marxisti e del progresso scientifico.

Da comunisti sosteniamo con chiarezza la vaccinazione di massa, per la sua massima estensione possibile su scala planetaria in base agli studi scientifici disponibili. La teoria per cui gli attuali vaccini non sarebbero convalidati è pretestuosa e falsa. Non solo perché è la stessa obiezione che è stata mossa dagli ambienti reazionari al piede di partenza di tutti i vaccini nella lunga storia dell'umanità (dal vaiolo al morbillo), ma perché mai nella storia dell'uomo un vaccino ha goduto della sperimentazione su cinque miliardi di esseri umani in meno di un anno. La quantità modestissima di casi avversi su questo gigantesco campione disponibile conferma le ragioni del vaccino. La sua efficacia è misurata dall'abbattimento verticale di ricoveri e decessi pur in presenza di una variante Delta molto più contagiosa e potente. L'argomento per cui “Stati Uniti, Israele, Gran Bretagna registrano un aumento dei casi, nonostante la vaccinazione di massa, dunque il vaccino non serve” rovescia l'ordine logico del discorso. Proprio perché quei paesi sono partiti per primi con la vaccinazione di massa, registrano per primi l'esaurimento della copertura vaccinale. Un po' come gli infermieri nei nostri ospedali. È un argomento che milita semmai a favore della terza dose, non certo del rifiuto del vaccino. Misura quanto sia necessaria la copertura vaccinale.

Il vero scandalo planetario, la vera dittatura sanitaria, è quella per cui dieci stati imperialisti si sono accaparrati il 75% dei vaccini, privandone larga parte dell'umanità. L'intera Africa è costretta a tassi di vaccinazione pressoché inesistenti. L'America Latina nel suo insieme non supera il 30% di vaccinazione. In Europa i paesi della fascia balcanica, dove vanno le “nostre” imprese a caccia di manodopera a basso costo, hanno tassi di vaccinazione che stanno tra il 20% e il 30% (Bulgaria il 20%, Romania il 32%). La Francia imperialista, attraversata da proteste no vax di settori di classe media, priva le proprie colonie di un vero sistema di vaccinazione, condannandole a tassi abnormi di contagio e di morte: si prenda il caso di Martinica, Guadalupe, Nuova Caledonia, dove il contagio senza protezione del vaccino tocca le 2000 persone ogni 100000 abitanti. Lo stato sionista d'Israele, ipervaccinato "in casa", priva del vaccino i palestinesi dei Territori e parte della sua stessa popolazione arabo-israeliana.

Questa situazione non spiega solamente la barbarie del capitalismo e dell'imperialismo, ma anche la persistenza dell'epidemia mondiale. Perché il virus si diffonde e riproduce, con tutte le sue varianti, proprio nelle sacche della povertà mondiale. È un caso che la variante Delta si sia prodotta in India, dove è irrisoria la vaccinazione e massimo l'accumulo della miseria? Tanto più in questo quadro emerge l'assurdità reazionaria delle posizioni no vax all'interno dei paesi imperialisti (e l'opportunismo di chi non le contrasta). Non è solamente un insulto alla miseria del mondo. È un insulto anche alla razionalità della scienza, nella battaglia contro la pandemia. Persino nella logica piccolo-borghese del proprio interesse individuale, come se la salute individuale potesse porsi al riparo della condizione dell'umanità. Il piccolo-borghese lo vorrebbe, ma così non è, e non può essere. Tanto più oggi la battaglia contro la pandemia può essere solo anticapitalistica e internazionale, a favore di una vera vaccinazione planetaria, contro i pregiudizi no vax ma anche contro chi a sinistra li avalla per piccoli calcoli di bottega (elettorale).



(1) https://www.facebook.com/315768485124369/posts/5012366738797830/

Partito Comunista dei Lavoratori