La compagna Bianca Cerri ci ha lasciato. Le è stato fatale questo stramaledetto Covid, che mesi fa ce l'ha portata via senza senza che potessimo rivederla un'ultima volta, senza che potessimo perfino accorgercene. D'altra parte non amava le luci della ribalta, Bianca, lei che faceva di tutto perché le luci si indirizzassero altrove, dove era sempre e solo buio pesto, dove in pochi potevano o volevano guardare.
Abbiamo incrociato Bianca a Roma tanti anni fa, alla ricerca di un interprete per un compagno greco. Lei, che conosceva sette lingue, accettò divertendosi, senza nemmeno chiederci chi fossimo. Da allora è stata sempre, generosamente, al nostro fianco, come è stata al fianco di altri e di chiunque le chiedesse un aiuto, chiunque le proponesse di fare qualcosa insieme, fosse pure nello spazio di un pomeriggio.
"Continuo a collaborare come posso e resto incrollabilmente fedele agli ideali del comunismo, che sono stati la portante della mia vita", ci tenne a precisare subito, fin da quella prima occasione. Bianca è rimasta fedele agli ideali del comunismo combattendo la bestia del capitalismo laddove questa mostrava il massimo della sua brutalità all'interno del massimo della sua espressione più idolatra e demente: le carceri del più grande paese imperialista del mondo, gli Stati Uniti. Alle carceri USA, alle leggi penali ed elettorali, e in generale alla storia recente di quel paese, Bianca aveva dedicato la sua attività professionale di giornalista e scrittrice. Sull'universo concentrazionario a stelle e strisce aveva scritto un libro nel suo stile, documentato e "in presa diretta", America letale. Epistolario dal braccio della morte.
Un'attività professionale che non sarebbe potuta essere ciò che è stata se non avesse poggiato sullo spirito profondamente e interamente militante di Bianca, militante nel senso pieno ed etimologico della parola. Tant'è che aveva iniziato ad occuparsi di carceri leggendo su un giornale italiano un appello di detenuti dell'altra parte dell'Atlantico, e questo le è bastato perché iniziasse un lavoro decennale non di distaccato giornalismo davanti a uno schermo ma di viaggi infiniti in giro per le prigioni americane, di acquisizione diretta dei dati e dei meccanismi, e soprattutto di colloquio e scambio con i carcerati, che conosceva personalmente a decine. Un lavoro di ricerca e scavo condotti in prima persona, nel cuore del cuore della bestia. Un lavoro da militante, appunto. Che l'aveva portata a contatto con larga parte dei dannati di quella terra: con detenuti cosiddetti comuni, con condannati alla pena capitale, con prigionieri politici delle Pantere Nere e di altre organizzazioni, con la repressione politica nei confronti dei detenuti che avevano sviluppato una coscienza politica e si erano avvicinati al marxismo.
"Non resistere è acconsentire alla tua stessa oppressione" (Mumia Abu-Jamal). E Bianca ha resistito, eccome se ha resistito. Come ha potuto e come ha saputo, nelle sue condizioni di salute "abbastanza precarie", come le definiva lei stessa abbozzando e senza mai perdersi d'animo; le sue condizioni che la piegavano ma non la spezzavano, e che non hanno spezzato mai, fino alla fine, il suo sorriso, il suo sguardo dolcissimo, la sua voglia infinita di discutere, di fare, di progettare.
Sei anni fa, in questo periodo dell'anno, Bianca commentò i primi risultati della contesa elettorale che incoronò Trump esclamando, a ragione: "Comunque vada sarà una sconfitta". Noi oggi ti salutiamo, compagna Bianca, ringraziandoti per quello che ci hai dato e che ci hai insegnato, e non perdendo la certezza che alla fine di questa lotta, tua e nostra, comunque vada sarà una vittoria. E allora ci sarà tempo per un'altra chiacchierata, un altro caffè, un'altra sigaretta.