Post in evidenza

ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

Cerca nel blog per parole chiave

No al G7!

Contro le guerre! No alle povertà del capitalismo!

26 Maggio 2017
Il 26 e 27 maggio si terrà a Taormina l'annuale riunione dei paesi capitalisti più industrializzati del mondo.

Come da prassi, dal G8 di Genova (2001, uccisione di Carlo Giuliani per mano di un carabiniere e irruzione nella scuola Diaz da parte della polizia) si consuma il solito teatrino mediatico atto a rappresentare i "7 grandi” come statisti e salvatori dell'umanità, e i contestatori come vandali e teppisti che si divertono a saccheggiare le città. Questo per legittimare il lavoro dei sette grandi (come se l'attuale crisi economica mondiale, le guerre, il terrorismo, il saccheggio delle risorse naturali, le morti sul lavoro non fossero responsabilità dei sette grandi ma dei piccoli incidenti di percorso.

Per noi la situazione è differente.

Le guerre imperialiste che stanno devastando il Medio Oriente attraverso gli "interventi democratici" made USA non hanno fatto che aumentare la rabbia contro l'Occidente creando terreno fertile per le milizie islamiste (Al Qaeda, ISIS), armate da Arabia Saudita e Turchia (alleati degli USA e quest'ultima membro della NATO).

Dalle basi militari di Sigonella a Trapani, passando per il MUOS di Niscemi, la nostra isola è stata trasformata in una vera e propria prima linea del fronte bellico del centro del Mediterraneo, con tutti i rischi per la vita e la salute della nostra popolazione.
Le politiche economiche ultraliberiste hanno affossato il potere di acquisto dei lavoratori e pensionati creando sempre più ricchezza a favore delle imprese (Jobs act, loi travail, riforma Fornero) in modo da avere più libertà per licenziare, cancellando in un sol colpo tutte le conquiste sociali di dure lotte operaie degli anni ‘70 del secolo scorso.
Aumentano le guerre, con il risultato di sempre crescenti flussi migratori dai paesi mediorientali e africani: migliaia di persone che scappano da povertà e miseria ingrossano le fila di masse sterminate senza più diritti pronte a lavorare per una paga da fame (come diceva Marx, esercito industriale di riserva), creando guerre tra poveri a favore dei padroni che così possono ridurre i diritti sociali.

I "7 grandi" sono responsabili di tutto questo: dalle guerre imperialiste ai morti sul lavoro passando per i tagli alla sanità e all'istruzione, alla sicurezza e alla salvaguardia dell'ambiente (la Sicilia è un esempio eclatante di dissesto idrogeologico).
Ma si sa: le élites economiche creano il danno e trovano loro stessi la soluzione, e cosa c'è di meglio che una finta opposizione di partiti che a parole vanno contro le élites alimentando una sterile guerra tra poveri, come la Lega Nord o il Front National in Francia, o lo stesso partito del leader assoluto Grillo?

Solo un partito che metta in discussione il sistema capitalista può davvero cambiare lo stato di cose presenti. Solo le lotte, solo la rivoluzione cambiano le cose.
Partito Comunista dei Lavoratori

La crisi brasiliana a un punto di svolta

A un anno dall'impeachment di Dilma Rousseff, il Brasile precipita in una nuova crisi politica e istituzionale.

Il ciclone delle inchieste giudiziarie sulla corruzione che aveva investito il PT travolge il governo di Michael Temer. Temer è direttamente coinvolto, sulla base di registrazioni inoppugnabili che documentano il pagamento di mazzette all'ex presidente della Camera (Eduardo Cunha, oggi in carcere) per comprare il suo silenzio; mentre il colosso mondiale della carne (JBS) rivela donazioni illegali negoziate direttamente con Temer che ammonterebbero negli ultimi dieci anni a 4,7 milioni di reales (l'equivalente di un milione e mezzo di euro).

Il presidente grida al complotto e intima al Tribunale Supremo di sospendere le indagini. Ma la sua situazione si fa sempre di più insostenibile. Ben otto mozioni parlamentari rivendicano l'impeachment contro Temer. Suoi stretti collaboratori, come l'assessore speciale Sandro Mabel, si dimettono. Il PSB, partito alleato di governo (un ministro, 35 deputati, 7 senatori), si è ritirato dalla maggioranza e chiede a Temer di rinunciare. I gruppi parlamentari del PSDB, altro partito di maggioranza, vacillano. Ambienti interni allo stesso partito del presidente (PMDB) premono per il suo ritiro. L'Ordine nazionale degli avvocati chiede pubblicamente la revoca di Temer. I principali registi ed attori dell'operazione di destituzione di Roussef sono dunque minacciati da un'analoga sorte.

Ma non si tratta della semplice ripetizione di ciò che accadde un anno fa. Oggi la crisi politica e istituzionale del regime borghese è più grave. Sia per ragioni istituzionali, sia soprattutto per l'irruzione sulla scena politica del movimento operaio brasiliano, il gigante dell'America Latina.


LA PARALISI POLITICA E ISTITUZIONALE 

Sul terreno strettamente istituzionale non è agevole trovare lo sbocco della crisi politica.

In caso di dimissioni di Temer, la via delle elezioni anticipate rispetto alla data prevista del dicembre 2018 è ostacolata da una norma costituzionale che prevede una possibile anticipazione delle urne solo nel caso che la rinuncia del presidente avvenga nei primi due anni del suo mandato. Ma Temer era già parte del precedente governo Rousseff, quale vicepresidente. A meno di una riforma costituzionale quello sbocco sembra dunque assai problematico.

L'altra possibilità è la nomina di un nuovo presidente da parte del Congresso, con una elezione pertanto indiretta. Ma un terzo dei deputati e larga parte dei senatori sono coinvolti dalle inchieste giudiziarie per corruzione, come lo sono buona parte dei candidati in pectore alla successione. La via istituzionalmente possibile è dunque politicamente temeraria.

Temer cerca di usare questa impasse per restare in sella, presentandosi alla classe dominante come l'unico possibile garante della governabilità del sistema. Ma il suo indebolimento politico verticale, che l'ha portato a un grado di consenso nettamente inferiore al 10% a livello di massa, sta trasformando proprio la sua ostinata resistenza in un fattore di radicalizzazione della crisi, anche sociale.


L'IRRUZIONE DELLA CLASSE OPERAIA 

L'irruzione della classe operaia brasiliana sul terreno della lotta è il fatto nuovo dello scenario politico brasiliano.

La dinamica della lotta di classe e di massa in Brasile ha conosciuto in questi anni un processo contraddittorio, anche in relazione alla crisi capitalistica.
Il prolungato sviluppo economico brasiliano degli anni 2000, trainato dalle materie prime e dallo sviluppo cinese, conosceva un arresto all'inizio del presente decennio, per effetto della crisi capitalistica internazionale. Le mobilitazioni dell'estate 2013 contro il governo Rousseff espressero un'importante reazione diffusa di settori giovanili alle politiche di austerità del governo PT e alla erosione progressiva delle misure redistributive degli anni del boom. Ma la classe operaia, a livello di massa, restò prevalentemente passiva.
Un anno fa l'operazione di destituzione parlamentare di Rousseff fu accompagnata da manifestazioni di massa della destra reazionaria, che cercò di capitalizzare lo scollamento passivo tra grandi masse e PT ponendosi alla testa dell'indignazione popolare contro la corruzione. Il tutto sullo sfondo di una crisi capitalistica molto profonda che nel 2015/2016 ha visto un crollo del 7,2% del PIL brasiliano. Lo stesso avvento del governo Temer, dopo un'estenuante travaglio parlamentare, non innescò un'immediata risposta sociale, nonostante il discredito del personaggio. Le manifestazioni di protesta guidate dal PT coinvolgevano settori di attivisti della sinistra politica, non la massa proletaria. Ancora nel marzo scorso il corrispondente di Le Monde in Brasile poteva scrivere: «Le strade che un anno fa vedevano manifestazioni di massa oggi tacciono».

Quel silenzio non è durato a lungo. E la ragione è semplice. Nel tentativo di consolidare il proprio legame con la grande borghesia brasiliana e il capitale finanziario internazionale, il governo Temer ha promosso un avventuroso attacco frontale alla classe operaia. Ha fatto approvare una legge che blocca la spesa sociale per vent'anni. Ha promosso un disegno di legge che alza l'età minima per accedere alla pensione. Ha annunciato una riforma della legislazione del lavoro che scompone i periodi di ferie secondo le volontà delle imprese, e alza a 12 ore il tetto massimo di lavoro giornaliero. Questo attacco frontale da parte di un governo già impopolare ha innescato la risposta di massa.

Lo sciopero generale del 28 aprile, promosso dalla CUT, è stato il primo sciopero generale dal 1996 e il più grande sciopero generale della storia del Brasile dopo il 1989. Hanno scioperato trentacinque milioni di salariati. Non solo nei trasporti e nei servizi, ma nell'industria. Il proletariato industriale è stato il protagonista della giornata. Nella siderurgia, nelle raffinerie, nei cantieri navali, in tutti gli stabilimenti dell'industria automobilistica (Volkswagen, Ford, General Motors, Renault...). Più volte combinando il blocco della produzione con il blocco delle vie di comunicazione attraverso barricate di strada. Il tutto con una rivendicazione centrale: il ritiro immediato delle misure antioperaie, ma con la sovrapposizione progressiva della rivendicazione politica della cacciata del governo. “Fora Temer” è da un mese la parola d'ordine del movimento operaio brasiliano.

Questa dinamica pone una riflessione di fondo. La svolta a destra di Temer e le sue provocazioni sociali si scontrano con una classe operaia strutturalmente rafforzata dalla fase prolungata del boom economico. È la stessa dinamica che in forme diverse coinvolge l'esperienza Macri in Argentina. La ripresa di massa in entrambi i paesi misura la fragilità della svolta a destra latinoamericana (come analizzato dal documento internazionale del nostro quarto Congresso). Il quadro continentale è lungi dall'essere stabilizzato.


PER L'AUTORGANIZZAZIONE DI MASSA. PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI 


Il combinarsi della crisi politico istituzionale con la radicalizzazione del movimento operaio può ora innescare sviluppi imprevedibili della situazione brasiliana.

L'enorme manifestazione di massa del 24 maggio a Brasilia, l'incendio di due ministeri assaltati dalla folla, il temerario uso dell'esercito contro i manifestanti come non avveniva dai tempi della dittatura, la revoca obbligata di questa misura repressiva da parte di un governo indebolito e alla sbando, scandiscono negli ultimi giorni l'accelerazione della crisi, e lo spostamento una volta di più del terreno stesso dello scontro, dalle istituzioni alla piazza. La caduta ripetuta della Borsa di San Paolo (-8% il 18 maggio) registra a suo modo la dinamica generale.

Le burocrazie sindacali di CUT e CTB, legate al PT, cercano di contenere e deviare la dinamica di massa sul terreno elettorale attorno alla richiesta di elezioni immediate: è il tentativo del PT di rilanciare la candidatura di Lula alle elezioni presidenziali, prima di una possibile stretta giudiziaria ai suoi danni.

I marxisti rivoluzionari hanno il compito opposto: dare al movimento della classe operaia una prospettiva indipendente sul terreno della lotta. Sciopero generale sino al ritiro delle misure antioperaie! Fora Temer! Un congresso nazionale di delegati operai, eletti nei luoghi di lavoro, che definisca un programma di svolta, per un'alternativa di potere dei lavoratori! A fronte della crisi istituzionale e dell'ascesa del movimento operaio, diventa decisiva l'indicazione di una soluzione politica della crisi: la parola d'ordine dell'autorganizzazione di massa e di un'alternativa politica di classe assume una valenza centrale.

Non si tratta di avanzare la parola d'ordine democratica dell'Assemblea costituente (che sembra divenuta la parola d'ordine universale di alcune organizzazioni trotskiste, dal Venezuela al Brasile). Si tratta di collegare la mobilitazione in atto alla prospettiva del governo dei lavoratori come unica vera soluzione della crisi brasiliana.
Marco Ferrando

Contro i politicismo borghesi. Rilanciare l'opposizione di classe Testo del volantino nazionale mensile del PCL

Con la vittoria nelle primarie del PD Renzi tenta di rilanciare le proprie ambizioni nello scenario politico italiano.

Il voto referendario del 4 dicembre ha seppellito sotto una valanga di no il progetto reazionario di Renzi che mirava a concentrare nelle mani dell'uomo solo al comando tutte le principali leve istituzionali. Le basi materiali della sconfitta di Renzi vanno ricercate nello sfaldamento delle sue basi politiche di appoggio, progressivamente venute meno dopo gli sfondamenti che il governo Renzi ha operato su articolo 18, JobsAct e Buona Scuola. Il 60% di no, in ampia parte di lavoratori e giovani, sono anche il riflesso di quella scollatura e hanno chiuso con una disfatta il primo capitolo della vicenda politica renziana.

Il governo Gentiloni è segnato dalla debolezza della sua maggioranza politica: la sua ritirata sui voucher, con lo scopo malcelato di evitare una seconda sconfitta referendaria, ha dimostrato la sua fragilità. La sua composizione ministeriale, che ha riproposto provocatoriamente i peggiori interpreti del governo Renzi, assume oggi con i rinnovati scandali di molti dei suoi esponenti di spicco a partire da Boschi un carattere di pesantezza sulle rinnovate ambizioni di Renzi, a partire dal delicato passaggio della legge di stabilità di fine anno.

Con il ritorno alla segreteria del PD, Renzi tenta di rilanciare le proprie ambizioni, sganciando definitivamente il PD da ogni logica di vecchio centrosinistra e lanciandosi alla conquista dell'elettorato di Forza Italia e invocando per sé il voto utile di sinistra, in aperta contrapposizione a MDP e al resto della sinistra politica riformista.

Per provare a vincere la sua sfida, Renzi cercherà probabilmente una prova di forza per disegnare una legge elettorale su misura delle sue ambizioni per tentare di arrivare alle elezioni anticipate in autunno.

Ma la domanda centrale che interroga tutti i principali attori dell'establishment italiano è: quale governo dopo le elezioni? Con la fine del vecchio bipolarismo e la disfatta del progetto istituzionale reazionario di Renzi il 4 dicembre, la borghesia italiana è rimasta senza una soluzione di governo.
Il consolidamento di un quadro tripolare e l'impasse istituzionale, a partire dalla legge elettorale, non offre alcuno sbocco stabile di governo. Tutti i principali esponenti sono impegnati a tirare acqua al proprio mulino, dal M5S che tenta di cavalcare ogni scandalo allo scopo della propria affermazione elettorale, alla Lega di Salvini che si barcamena tra ambizioni lepeniste e nostalgie di centrodestra, fino alla stessa ipotesi nuovamente alla ribalta di un governo dell'inciucio tra Berlusconi e Renzi.

Il movimento operaio non ha nulla a che spartire con questi disegni, tutti mirati contro i suoi interessi sociali, tutti interessati a costruire sulla crisi politica della seconda repubblica diverse soluzioni reazionarie.

Difendere l'autonomia del movimento operaio dai tre poli reazionari (renzismo, salvinismo, grillismo), rilanciare e unificare l'opposizione sociale di massa attorno a un proprio programma indipendente, costruire la prospettiva di un'alternativa di classe alla crisi politica borghese, è tanto più oggi il compito dell'avanguardia.

Il PCL si batte e si batterà come sempre in ogni lotta per questa prospettiva.
Partito Comunista dei Lavoratori

1917-2017 CENTO ANNI DOPO

Il Partito Comunista dei Lavoratori
in collaborazione con RedStarPress e Associazione Culturale Victor Serge

organizza:


Storia, politica e attualità della rivoluzione comunista

Diego Giachetti - Centro studi Livio Maitan
Virginia Pili - Storica
Graziano Giusti - Redattore di Pagine Marxiste
Natale Azzaretto - Partito Comunista dei Lavoratori
Cristiano Armati - Red Star Press
Michele Terra - Direttore Unità di Classe, PCL
Gigi Roggero - Collettivo Hobo
Francesco Giliani - Storico, Sinistra Classe Rivoluzione
Chiara Mazzanti - Commissione oppressione di genere, PCL
Emilio Quadrelli - Saggista

Sabato, 27 Maggio 2017 
10:30-16:30
Casa Del Popolo 20 Pietre
Via Marzabotto 2, Bologna


Bus n.13-19-81-91-39-35 fermata Ospedale Maggiore - parcheggio interno su via Marzabotto
È previsto il pranzo presso la casa del popolo
Partito Comunista dei Lavoratori

Non stiamo con chi divide gli oppressi

Sulle dichiarazioni di Debora Serracchiani

Debora Serracchiani nelle sue dichiarazioni sulla vicenda dello stupro a Trieste riesce ad esprimere tutti i peggiori difetti della classe dirigente politicamente arretrata e reazionaria, che costituisce il quadro di direzione del PD renziano.

Diciamolo con chiarezza, uno stupro è uno stupro. È uno stupro.
Non ci sono gradazioni. È massimamente esecrabile lo stupro di gruppo? È per la o le donne che ne rimangono vittime peggio di quello che viene perpetrato in famiglia? Non possiamo fare una classifica, è vergognoso fare una classifica. Subire la violenza sessuale è drammatico per ogni donna in ogni condizione. Forse tutto questo è molto più indicato in un'aula di giudizio. Nelle considerazioni sociali e politiche dobbiamo leggere la realtà per quella che è. E venendo alle dichiarazioni successive di Serracchiani, a difesa della sua posizione, andiamo sempre peggio. Il profugo viene accolto sul nostro territorio e quindi entrerebbe in un meccanismo “fiduciario di carattere familiare”. Nell’esperienza delle donne, la famiglia, nel sistema vigente - cioè quello spietatamente capitalistico - è un luogo di costrizione e doveri, dove la fiducia copre sempre gli interessi della parte più forte, l’uomo. E che dire di quello che evidentemente pensa del rapporto con chi in questo paese arriva chiedendo rifugio e lavoro? Che dire delle responsabilità delle borghesie europee, i cui interessi predatori in Africa e in Medio Oriente continuano a sfruttare i territori e le popolazioni creando miseria e impedendo uno sviluppo autonomo, anzi colpevoli della distruzione dei governi progressisti che si erano sviluppati in particolare in Africa negli anni '60 e '70 del secolo scorso? La miseria, la ricerca di un miglioramento della vita spinge masse enormi ad abbandonare le loro case e affrontare la drammatica vita dell’emigrazione. mAggiungersi al carro della propaganda razzista, richiamare valori presunti universali, resta quello che è: una operazione demagogica a recupero di settori arretrati. Ci sembra anzi che questo che tutti e tutte hanno interpretato come una dichiarazione personale da cui alcuni esponenti del suo stesso partito hanno voluto distinguersi, sia in continuità con un programma evidente che va dal Fertility Day al Decreto Orlando-Minnisti. Se è la ricerca della difesa delle donne colpite dalla violenza, in particolare quella famigliare, questo partito, con questo governo, dovrebbe fare ben altro.

Come prima cosa non trasformare, alla ricerca di visibilità, l’esperienza traumatica vissuta da una giovane donna in un caso mediatico che la espone alla rivittimizzazione. E della vittimizzazione delle donne, delle lavoratrici e dei lavoratori, il PD se ne intende. Se da un lato, partito e governo fanno proclami di tutela delle donne, con l'altra mano tolgono diritti, servizi e possibilità di indipendenza alle donne stesse, con leggi vergognose quali il Jobs Act e l'eliminazione dell'articolo 18.

Delle due l'una: le donne si difendono sempre, oppure occorre smascherare queste espressioni di "solidarietà" femminile per quello che sono: demagogia populista.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione di genere

 

Rastrellamenti cittadini e razzismo istituzionale

Quando la caccia all'emarginato e all'immigrato divengono il leitmotiv trasversale

Dalla Lega Nord al Movimento 5 Stelle, dal PD a NCD, tutte le forze politiche intervengono e vogliono apporre al proprio petto istituzionale le medaglie della nuova gloriosa guerra al migrante, al clandestino, all'irregolare, al povero, al senzatetto.
Decoro, pulizia, ordine, legalità. Parole d'ordine sulla bocca di tutti. Parole d'ordine perfette per scatenare la guerra tra poveri, scatenando gli sfruttati italiani e comunitari contro i diseredati extracomunitari, clandestini e con loro tutti i senzatetto, barboni, clochard.

È così che il governo PD vara il decreto Minniti-Orlando, che va a rafforzare un regime separato per tutti i migranti, permettendo l'accesso al "gratta e perdi" dell'accoglienza solo a pochissimi fortunati; per gli altri esistono i "moderni" campi di concentramento ed espulsione, lo status di sgradito e non riconosciuto "clandestino", il limbo esistenziale dell'irregolare senza diritti. Tutti costretti ad un regime di sorveglianza totale, costante e capillare; a quotidiani trattamenti da criminale nelle strade, con reparti di squadroni della morte di polizia e carabinieri a caccia della minima occasione per appioppare una bella denuncia, un provvedimento di espulsione accompagnato da qualche scarica di botte; un biglietto di sola andata per un CIE, o un CPR; disprezzo e odio di massa in quanto capro espiatorio di ogni problema sociale.

Così, in questo clima da stato d'emergenza, in cui il migrante è il terrorista, il pericolo per la nostra società e il nostro benessere, la causa della nostra disgrazia economica e politica, tutto è consentito.
Nei quartieri popolari, nelle stazioni e nelle piazze vengono messe in moto pattuglie di forze dell'ordine in tenuta da controguerriglia urbana, pronti a frugare nelle tasche, e non solo, di qualsiasi migrante. L'obiettivo è riempire elenchi di destinati ai campi di internamento, comunque li si voglia chiamare.

Così il 2 maggio a Milano, contro questo nemico interno minaccioso e mendicante, alla stazione centrale centinaia di poderosi poliziotti e carabinieri, con tanto di elicotteri e cavalleria, hanno fatto una bella "pulizia" sociale ed etnica della zona, per difendere il diritto dei turisti a non vedere l'esistenza di povertà, miseria e abbandono nella città della moda. Non per nulla, eliminata la "spazzatura" umana, colpevole di essere vittima della disumanità di questo sistema, può passare l'AMSA, per eliminare i giacigli e tutti i pochi averi di chi è stato rastrellato.

Così il 3 maggio, i Vigili urbani della Roma targata Movimento 5 Stelle, in perfetto ossequio ai nuovi poteri affidati dall'assist del PD col Decreto Orlando sulla sicurezza urbana, danno vita ad un'essenziale e strategica retata contro i pericolosissimi ed indecorosi ambulanti (da cui poi, magari, comprano roba a buon prezzo quando non la "requisiscono") provocando la morte di un cinquantatreenne senegalese, Nian Mougette, colpevole di cercare di sopravvivere vendendo qualche cianfrusaglia o qualche vestito contraffatto a turisti e romani. Per lui la morte in una fuga dai manganelli, dall'internamento, dall'espulsione. Per i manager che fanno fallire aziende e organizzano bancarotte, che licenziano migliaia di lavoratori, che fanno morire in incidenti mortali i dipendenti per risparmiare sui costi, che vivono sulla guerra e sulla distruzione di intere società, ci sono premi milionari, benefit stellari accompagnati da onore e gloria.

Così, il presidente della Commissione Ambientale del Comune di Roma, il pentastellato Diaco, di fronte all'inaccettabile immagine dei senzatetto che recuperano un pasto dalla Caritas presso il parco di Colle Oppio, sente un fremito securitario e in difesa del decoro. Come si può accettare che ci siano dei poveri senzatetto e che per di più si presentino in un luogo turistico a prendere quelle poche briciole che la gerarchia ecclesiastica concede per darsi una maschera umana? Questo problema deve essere risolto, e per combattere l'indecenza della povertà non ha trovato miglior soluzione di vietare i pasti serali della Caritas. Se non mangiano se ne vanno, o al massimo muoiono di fame, ma almeno non sporcano e non disturbano i selfie dei turisti.

Non è un caso che il farneticatore Salvini si sia con più forza lanciato ad inneggiare a ruspe, pulizie etniche, rastrellamenti, espulsioni, muri, olio di ricino.
Non è un caso che i Cinque Stelle cavalchino la vergognosa strumentalizzazione del procuratore Carmelo Zuccaro sulle ONG, con cui un pezzo di magistratura cerca di utilizzare i tribunali per far passare il paradigma politico dell'invasione e dell'errore di tentare di salvare le persone buttate in mare dagli scafisti e dai trafficanti, paventando collusioni tra ONG e scafisti (in alcuni casi sicuramente possibili), quando son gli stessi accordi governativi e istituzionali con i vari governi criminali locali che garantiscono a trafficanti, istituzioni, forze militari e di polizia locali enormi flussi di denaro per poter giocare con la vita di masse di disperati.

Solo una mobilitazione generale del mondo del lavoro contro banchieri, padroni, industriali, speculatori e guardie armate di questi poteri potrà mettere in campo una forza uguale e contraria a quella con cui i potenti e loro governi opprimono e reprimono gli sfruttati e gli emarginati. Una vertenza generale che unisca intorno a sé le ragioni di tutti gli sfruttati e di tutti gli emarginati, e che possa aprire la strada alla prospettiva fondamentale di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, l'unico governo che può farla finita finalmente con le leggi liberticide, col razzismo di Stato, con la xenofobia istituzionale.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

 

Per una lotta classista e anticapitalista contro tutte le politiche securitarie e repressive

Decreto Minniti-Orlando sull'immigrazione e decreto Orlando sulla sicurezza urbana. La repressione di sfruttati, migranti, poveri e senza tetto si fa sempre più totalitaria e capillare.

10 Maggio 2017
Siamo nel momento in cui la “sicurezza”, l' “ordine”, la “pulizia”, il “decoro” sono le parole d'ordine dominanti, la copertura ideologia populistica e ideale per la stretta repressiva contro tutti coloro che hanno subito e subiscono gli effetti della crisi economica e delle politiche di aggressione ai servizi pubblici e sociali, alle condizioni di lavoro, ai diritti sindacali, alle condizioni di vita della grande massa di salariati e disoccupati, studenti e immigrati, donne e discriminati.

In questo senso intervengono i due decreti dei magnifici esponenti del Governo Gentiloni, il governo della continuità, mascherata da transizione, delle politiche del Partito Democratico, di Renzi, della Confindustria e in generale degli interessi padronali italiani ed europei. Un compendio di capillarizzazione del controllo sociale e della repressione, anche preventiva; della criminalizzazione della povertà, della marginalità, della difficoltà economica e sociale; della ghettizzazione di questi elementi e della loro espulsione dalle zone della città messe a profitto e mercificate per un turismo del consumo; della criminalizzazione e repressione preventiva di tutte le forme di protesta, dissenso o lotta con l'utilizzo di DASPO urbani e poteri extra conferiti finanche a sindaci sceriffi dell'ordine, della pulizia e della sicurezza; della condanna a tutti i migranti di ulteriori ricatti, di condizioni di reclusione concentrazionarie, di espulsioni facilitate e arbitrarie, di legittimazione di forme di schiavismo e lavoro gratuito, di messa a profitto del business dell' “accoglienza”.

Insomma, essere sfruttati, poveri, emarginati corrisponde sempre più ad essere soggetti sgraditi di una società che deve essere vetrina lucida e scintillante della merce più vendibile e profittevole, ma elementi necessari su cui garantirsi il meccanismo dello sfruttamento, della precarietà, del controllo sociale e del ricatto occupazionale.



LE MISURE SULLA “SICUREZZA URBANA”



Su queste, il ministro Orlando si è dato alla pazza gioia. Il ministro della Giustizia che rappresenta la continuità totale con l'era Renzi, ha dato dimostrazione di saper divenire il perfetto traduttore delle istanze liberiste nella gestione della geografia umana per garantire la messa a valore di città vetrine e vettori di un consumo omologante e che nasconde sotto il tappeto, o dietro l'armadio, il suo prodotto principale: povertà, senzatetto, precarietà, assenza di servizi pubblici e sociali, proteste, contestazioni. Così per garantire decoro e pulizia, mentre si privatizzano i servizi pubblici, licenziando, tagliando, non fornendo un servizio dignitoso nelle zone periferiche, popolari, non messe a valore e in vetrine, si prendono una serie di provvedimenti che un po' trasformano i sindaci in sceriffi, un po' rendono i Prefetti dei plenipotenziari dell'ordine pubblico e della repressione, un po' rendono orwelliano il controllo tecnologico sociale. Invece che affrontare il fatto che esiste la povertà, invece che affrontare il fatto che i servizi sociali sono costantemente tagliati, invece che affrontare il fatto che le case popolari vengono svendute o lasciate al degrado e non si assegnano alloggi popolari, invece che affrontare il fatto che ci siano centinaia di migliaia di sfratti ogni anno, invece che affrontare la disoccupazione e la creazione di sacche di popolazione senza diritti perchè troppo povere o immigrate, invece che affrontare l'abbandono alla speculazione di tutta la città si fa altro.



Con i “Patti per la sicurezza urbana” si definiscono


  • aree della città particolarmente importanti in cui non possono esserci elementi che disturbino il decoro: poveri, mendicanti, ambulanti, abusivi, proteste, contestazioni, picchetti, bivacchi etc

  • la possibilità di costruire reti di controllo sociale, attraverso l'installazione di sistemi di videosorveglianza privati con tanto di sconti fiscali per chi collabora. Così se rubi una mela puoi essere arrestato fino a 48 ore dopo. E per ovviare al taglio dei servizi di igiene ambientale e pulizia si “inventano” reti di volontariato, in cui magari infilare migranti ricattati dal sistema di accoglienza attuale. Meno salariati per quel lavoro e più volontari a titolo gratuito, magari ricattabili e che sperano di trovare un lavoro.

  • poteri ai sindaci per imporre ordinanze restrittive e preventive per fermare tutti i fenomeni sociali annessi alle condizioni imposte da questo sistema, mescolando criminalità e spaccio, a fenomeni sociali come, l'abusivismo degli ultimi, l'accattonaggio, l'abuso di alcool, la prostituzione coatta o pratiche politiche come le occupazioni di spazi pubblici e abitative. Non avendo alcun potere sulle politiche sociali (perchè tanto si applicano le solite direttive di tagli, privatizzazioni, vendite di immobili, aiuti fiscali e regolatori per speculazioni), possono però imporre ad un senzatetto di non avvicinarsi mai più ad una determinata panchina, e a un mendicante ad un determinato ingresso di museo. Anzi, addirittura potranno permettersi di fare multe in caso di picchetti, occupazioni di binari, cortei, manifestazioni e, oltre a questo, intervenire con dei DASPO localizzati.

  • I Prefetti divengono i grandi decisori degli sgomberi di occupazioni abitative singole e collettive. Le uniche cose di cui devono assicurarsi sono ovviamente i diritti del proprietario dell'immobile, la sicurezza e l'ordine pubblico. Se poi gli sgomberati non hanno soluzioni alternative, adeguate al loro reddito e alle loro condizioni economiche, nel caso anche con alloggi popolari o a canone sociale, di ciò non ci si fa minimo problema. Al massimo occuperanno altrove o rimarranno nelle loro auto a dormire. Non è un affare di Stato, o di Comune...sono fatti loro. L'importante è che la proprietà, che magari manteneva l'alloggio vuoto o abbandonato perchè “il mercato non tira”, possa ritornare ad avere sotto controllo il proprio patrimonio, sia esso pubblico o privato.

  • La diffusione sempre più capillare della videosorveglianza ad alta tecnologia tramite investimenti specifici e sgravi fiscali per i privati che installano questi sistemi, rendendo sempre più facile l'arresto sino a entro 48 ore in base alla valutazione dei video, il tutto dentro la logica del "per la tua sicurezza: denuncia il tuo vicino".

  • Se un povero morto di fame, magari immigrato, osa fare il parcheggiatore abusivo deve essere seriamente punito, e questo argomento merita una voce particolare, proprio perchè emblema del pericolo in cui incorriamo tutti giorni come lavoratori e cittadini nelle nostre città. Per cui se per guadagnare qualche euro si fa il “parcheggiatore abusivo” si rischia una bella multa da 1000 a 3500 euro! Il concetto è: non puoi trovare lavoro perchè non ti faccio avere i documenti, oppure non trovi lavoro perchè non assume quasi nessuno, ti metti a arrangiarti facendo sicuramente un lavoro poco utile e produttivo per tirare su quattro euro, quale modo migliore per affrontare la tua situazione se non quella di condannarti ad una multa che difficilmente potrai pagare senza grandi conseguenze.




LE MISURE PER IL “CONTRASTO DELL'IMMIGRAZIONE IRREGOLARE”



Bisogna fare poco sforzo logico per comprendere, già nel titolo, tutta la faziosità che ha saputo esprimere la centrifuga di menti brillanti come quella del tandem Minniti-Orlando. Al figuro del decreto precedente si aggiunge qui la “svolta a sinistra” nel Ministero dell'Interno del Governo Gentiloni: l'ex membro del PCI Marco Minniti. In perfetta continuità con la sua specializzazione in servizi segreti, sicurezza e intelligence si butta in un'operazione per rafforzare la sicurezza degli italiani dalla minaccia dell'invasione di masse di poveri, sfruttati e fuggitivi dell'Africa Nera, del Medio Oriente macellato e, quindi, di tutta una serie di potenziali terroristi e islamisti, criminali e spacciatori, stupratori e sporcaccioni. Dopo l'aumento dei CIE, i centri di concentramento per immigrati, dove uomini e donne senza diritti vengono abbandonati a fame, condizioni igeniche devastanti e maltrattamenti, e dopo il raddoppio delle espulsioni; dopo l'accordo, coperto di sangue di migranti e fiumi di capitali, con uno dei governi libici, quello riconosciuto dall'establishment internazionale di al-Sarraj, che ha sancito la condivisione di interessi nel mantenere uno status di corruzione, affari e poteri nel business della merce umana dei migranti; ora arriva questo nuovo decreto.

Obiettivo: tutti coloro che non sono riconosciuti come soggetti che abbiano diritto a status di rifugiato o di protezione internazionale (molto pochi e con tempistiche infinite e sempre maggiori difficoltà, e soprattutto costretti per questo a rimanere in Italia anche qualora volessero solo transitare) divengono irregolari, quindi da espellere perchè minaccia per la sicurezza, l'ordine, il benessere, il decoro. Per cui l'immigrato economico, la donna che sfugge da situazioni di violenza, clandestini perchè diversamente non potevano arrivare, il rifugiato non riconosciuto come tale, il ricattato e povero immigrato senza contratto in regola etc, sono tutti soggetti senza diritti, senza servizi, senza assistenza che possono al massimo lavorare in nero sotto costante ricatto,sfruttati senza alcun diritto e ghettizzati o divenire manovalanza della criminalità organizzata. Il tutto potenziando la macchina delle espulsioni e l'universo concentrazionario disumano che, si assicura, sarà distante dai luoghi abitati, vicino agli aeroporti, per non turbare troppo le coscienze e non costringere la massa a occuparsene e agli internati di poter nel caso tentare di denunciare particolari condizioni di disagio con delle proteste. Il tutto rientra perfettamente nel paradigma del signor Minniti lanciato già a fine anno passato: i migranti sono “non più solo un problema di ordine pubblico, ma una questione su cui si gioca la tenuta del tessuto democratico del Paese".

Già. Perchè i flussi di circa 500.000 migranti all'anno causati dal sistema economico e sociale predatorio del capitale nel Mondo, a beneficio delle borghesie nazionali e internazionali, mettono in mostra l'effetto che fa il capitalismo: guerre e guerre civili, miseria, fame, distruzione di tessuti sociali, schiavismo, depredamento di risorse naturali per il profitto di multinazionali, tratta di esseri umani come merce di bassissimo valore (tanto che possono morirne a migliaia in mare ogni mese ed essere considerati marginali e rapidamente dimenticati danni collaterali, se fossero barili di petrolio sarebbe considerata una catastrofe). Ma i flussi al tempo stesso servono alle borghesie nazionali, perchè creano allarme nel meccanismo della competizione, per quel poco lavoro senza diritti, che viene richiesto per garantirsi l'erosione dei salari di tutti. Creare eserciti di disoccupati, lavoratori potenzialmente ricattabili da accettare di svolgere lavori gratuiti, a cottimo, sotto caporalato, in nero, con orari stressanti e turni massacranti è lo strumento migliore per dividere i lavoratori, evitandoche ritrovino nella lotta per pretendere migliori condizioni la via per colpire il reale nemico, chi le proprie condizioni le ha sempre mantenute o migliorate, anche grazie ai meccanismi della crisi economica, così come con le guerre e le devastazioni.



Così il decreto prevede:


  • l'istituzione di 20 “Centri di permanenza per il rimpatrio” con cui sostituire nel nome ma non nell'essere i “Centri di Identificazione e Espulsione”. Un più capillare servizio concentrazionario in cui infilare individui senza alcun diritto, privati di assistenza medica e sanitaria, in sovraffollamento, senza servizi igienici adeguati, con poco cibo e al freddo. Come già detto, distanti da centri abitati e in prossimità di aeroporti, per facilitare il carico/scarico della merce umana;

  • Abolizione del secondo grado per i richiedenti asilo, impedendo così il ricorso al primo giudizio del tribunale in caso di rifiuto della protezione internazionale, il migrante non avrà gli stessi diritti di qualsiasi altro cittadino di fronte alla magistratura e alle forze dell'ordine;

  • Abolizione dell'udienza, così il migrante oltre ad avere un grado in meno, può vedere giudicata la propria espulsione o la presa in carico della richiesta di asilo o protezione internazionale senza neppure il “rito sommario di cognizione”, ossia senza neppure un contraddittorio e un confronto con il giudice, che potrà semplicemente guardarsi una bella videoregistrazione del richiedente. Almeno si può star tranquilli che non si farà prendere da sentimenti umani inutili, sarà come in un talk show: guarda il video, pigia il tasto rosso o il tasto verde, metti il like a chi ha rischiato la vita per una traversata di fortuna dove migliaia di suoi connazionali, e magari familiari, sono morti nelle onde.

  • Si istituisce sostanzialmente una procedura ed un tribunale speciale per la gestione dei migranti e dei profughi, in cui i diritti dei “giudicati” sono inferiori a quelli della comune gestione liberale e borghese, già quella sufficientemente repressiva con gli sfruttati e clemente con gli sfruttatori.

  • Lavoro schiavistico in cambio di accoglienza. E questo è sicuramente un elemento centrale del decreto. Istituisce e formalizza che il sistema di accoglienza, essendo puramente un sistema di mantenimento in uno status di dipendenza dalle cooperative, dai privati e dal sistema generale dell'attuale accoglienza prefettizia, diviene la giustificazione per ottenere dai CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e dal sistema SPRAR masse di lavoratori senza retribuzione, chiamati “volontari”.

  • La trasformazione degli operatori del sociale, spesso “volontari” o lavoratori sottopagati su cui ricade la gestione relazionale di tutte le politiche di abbandono e di diserzione di una reale integrazione, in pubblici ufficiali, “controllori sociali”, come dichiarato dall'Assemblea autoconvocata di alcune centinaia di operatori sociali che vogliono opporsi al Decreto Minniti-Orlando praticando una forma di “obiezione di coscienza”.




COME RISPONDERE A TUTTO CIO'?



La risposta, secondo noi del Partito Comunista dei Lavoratori non può che essere classista e dalla parte degli sfruttati. Tanto più adesso che decreti come questi pongono chiaramente in campo gli interessi di padroni e speculatori contro gli interessi degli oppressi. La divisione tra lavoratori comunitari ed extra-comunitari, la divisione tra lavoratori italiani e non italiani, tra lavoratori del sud e del nord, e così via, sono solo divisioni funzionali a chi i lavoratori e i disoccupati li sfrutta e li rende la base dei propri profitti. La risposta non può limitarsi al solo rifiuto di questi decreti, ma deve porsi nella prospettiva di indicare soluzioni alternative, con la consapevolezza che possono essere solo contro il sistema che si fonda su questi meccanismi. Solo una risposta che possa porre la prospettiva dell'unità di tutti gli sfruttati, italiani e stranieri, immigrati regolari e non, può essere una risposta che sappia contrapporsi con forza ad una tendenza internazionale e non solo italiana.

Per questo rivendichiamo la lotta contro questo sistema di accoglienza e la necessità di unire italiani ed immigrati in un programma classista e rivoluzionario:


  • Lotta per un salario dignitoso per tutti, per i pieni diritti sindacali a tutti gli immigrati regolari e non, per un posto di lavoro stabile e contro il precariato, il caporalato, il lavoro nero e quello gratuito, anche quando mascherato da “lavoro volontario”. Lotta inserita entro la logica generale del lavorare meno ma lavorare tutti, a parità di salario.

  • Contro il sistema di accoglienza fondato sull'appalto a privati, che nei fatti viene gestito per mantenere i richiedenti asilo in uno stato di dipendenza e necessità, senza la reale fornitura dei servizi che gli spettano (avviamento al lavoro, corsi di lingua, formazione e orientamento, assistenza medica e sociale, mediazione sulle procedure di accesso a permessi di soggiorno e status di rifugiati). Per un sistema di accoglienza statalizzato, sotto controllo dei lavoratori e dei migranti accolti

  • Lotta per velocizzare e snellire le procedure per la richiesta del permesso di soggiorno e per l'accesso alla carta di soggiorno, contro i ricatti delle forze dell'ordine e delle amministrazioni che ne gestiscono le domande, contro gli abusi e le estorsioni nei confronti dei migranti; Per la cancellazione del reato di clandestinità, perchè non può esser reato una condizione sociale.

  • Lotta per lo Ius soli e per un procedimento di formazione e accesso alla cittadinanza a tutti gli immigrati che ne fanno richiesta;

  • Lotta per la chiusura di tutti i CIE e CPR esistenti e in programma, contro ogni sistema concentrazionario che crei campi di internamento in cui privare di qualsiasi diritto i reclusi;

  • Lotta per l'autorganizzazione dei migranti e per l'unione di questi con i lavoratori del settore dell'accoglienza e del sociale, e di tutti e due con tutti i lavoratori italiani, e non, in lotta per il proprio posto di lavoro, per il proprio salario e per i propri diritti

  • Lotta per l'apertura di canali umanitari protetti e garantiti attraverso il controllo popolare per evitare le traversate che producono migliaia di morti ogni anno. Oltre 5.000 nel 2016, anche grazie agli accordi bilaterali che sono garanzia di flussi di euro per governi amici per mantenere il tutto così come è, al massimo con qualche truffa e trappola, che possono costare la vita e la libertà a migliaia di migranti tra corruzioni, giochi di potere, accordi tra milizie, clan, politici, etc.

  • Lotta per dei servizi pubblici universali, statali, gratuiti e sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici, per garantire accesso all'assistenza sanitaria, all'istruzione, al trasporto e alla casa a tutti i lavoratori, i precari e i disoccupati, indistintamente dal sesso, genere, nazionalità, etnia, religione etc

  • Lotta per la costruzione di comitati di quartiere fondati sull'antirazzismo, sulla solidarietà, sulla lotta per il salario indiretto e per il sostegno delle lotte dei lavoratori della città, per una gestione dal basso dei quartieri e delle città, contro ogni politica securitaria, repressiva e fondata su un sistema di controllo orwelliano dei comportamenti e delle condizioni di vita;

  • Per un decoro urbano che significhi pieni servizi e accesso al necessario per tutti e tutte, per una lotta alla povertà, alla marginalità, alla precarietà che si traduca in una lotta per migliori condizioni per tutti e non nell'espulsione di chi è vittima di questo sistema in zone periferiche o in ghetti. Per città a misura d'uomo, gestite dai lavoratori, dagli sfruttati per i lavoratori e gli sfruttati.

  • Per una lotta antirazzista che individui e affronti le organizzazioni politiche che si fanno portatrici di messaggi di divisione nazionale, di minaccia di invasione, di politiche securitarie reazionarie e contro gli sfruttati, nelle più svariate ed edulcorate forme: partendo dalle organizzazioni neofasciste e neonaziste (ForzaNuova, CasaPound, FronteVenetoSkinHead, Lealtà e Azione etc...) a vari partiti politici della destra post-MSI (Alternativa Tricolore, La Destra ), alle forze politiche della destra liberista e liberale (Forza Italia, Fratelli d'Italia, NCD etc) passando per i populisti razzisti e neo-nazionalisti della Lega Nord e i populisti reazionari del Movimento 5 Stelle. Con l'aggiunta a pieno titolo di tutte le forze dei passati governi di centrosinistra, fin dalle leggi Turco-Napolitano, per arrivare all'attuale svolta totalitario-securitaria del PD Renziano.

  • Contro tutte le politiche securitarie interne e contro i migranti, europee e nazionali. Contro tutte le politiche di guerra, imperialistiche e predatorie. Per un vero internazionalismo dei lavoratori uniti contro i padroni e gli sfruttatori, le banche e i loro governi in tutto il Mondo!

  • Per l'unica prospettiva che possa realmente abbattere i confini e, con essi, le divisioni in seno alla classe lavoratrice e a tutti gli sfruttati e gli oppressi: Il Governo dei Lavoratori e delle Lavoratrici, fondato sugli organi di autogoverno dei lavoratori e degli oppressi, in Italia come in tutto il Mondo. Solo la prospettiva della presa del potere della classe lavoratrice può garantire un sistema socio-economico e politico tale in cui siano inutili le divisioni nazionali, le guerre tra borghesie (combattute dai proletari) per spartirsi fette di pianeta, il saccheggio delle risorse da parte delle classi padronali, la guerra tra poveri per le poche briciole concesse, al prezzo del lavoro, del sudore e del sangue per garantire il banchetto.
Partito Comunista dei Lavoratori

Emmanuel Macron, la vittoria del grande capitale

La vittoria di Macron alle elezioni presidenziali ha avuto proporzioni consistenti. Nelle sue dimensioni quantitative, e nella sua estensione omogenea alla quasi totalità del territorio francese e di oltremare. È un'affermazione che ha capitalizzato fattori diversi: la domanda di sicurezza di ampi settori di classe media che temono le ricadute di un'uscita dall'euro sui propri risparmi; il profilo d'immagine di un candidato giovane, estraneo alle vecchie nomenclature degli (ex) partiti dominanti, capace di intercettare una confusa domanda popolare di cambiamento; il richiamo della contrapposizione al lepenismo, non travolgente come nel 2002, ma tuttora capace di motivare al voto ampi settori dell'elettorato della sinistra (compresa la maggioranza dell'elettorato di Mélenchon, che è cosa diversa dalla maggioranza degli attivisti di Francia Ribelle) e dello stesso elettorato gollista.

La vittoria di Macron è indubbiamente un fattore di tenuta dell'Unione capitalistica europea. Il tripudio delle Borse, la soddisfazione dei governi imperialisti del vecchio continente, sono comprensibili. La rappresentazione di una Unione irreversibilmente condannata a un rapido crollo sotto la pressione travolgente dei partiti populisti - rappresentazione diffusa in ambienti diversi della sinistra dopo l'affermazione della Brexit - si è rivelata prematura e sbagliata. Il risultato delle elezioni olandesi e francesi ci parla di un quadro più complesso, in cui fenomeni di polarizzazione politica ed elettorale si combinano con riflessi conservatori. Il ridimensionamento annunciato del nazionalismo populista in Germania porta lo stesso segno.

Al tempo stesso sarebbe ugualmente sbagliato ricavare dalla vittoria di Macron un quadro di facile stabilizzazione. Un conto è la sconfitta del lepenismo e della sua minaccia destabilizzante, di fatto mortale per l'Unione. Altra cosa è la costruzione di un nuovo equilibrio politico e istituzionale. Ciò vale innanzitutto per la Francia.


MACRON ALLA RICERCA DI UNA MAGGIORANZA PARLAMENTARE 


Le elezioni del primo turno hanno fotografato la crisi profonda di quel bipolarismo che aveva incardinato la lunga storia della V Repubblica. Il Partito Socialista è collassato e rischia una autentica "pasokizzazione". Il partito gollista, per la prima volta escluso dal ballottaggio, è attraversato da una guerra intestina lacerante. Da un lato Le Pen e il suo alleato Dupont, dall'altro Mélenchon hanno polarizzato sul piano elettorale questa crisi. Insieme hanno raccolto quasi la metà dell'elettorato francese.

Il sistema elettorale del doppio turno ha salvato la Presidenza della Repubblica dagli effetti di questa polarizzazione, incoronando Emmanuel Macron. Ma nessun sistema elettorale può annullare una geografia politica. Da questo punto di vista le prossime elezioni legislative dell'11 giugno saranno un test complicato. Il doppio turno di collegio tra i partiti che superano l'asticella elettorale del 12,5% sarà esposto alle risultanze imprevedibili del nuovo quadro politico. Forte del proprio successo presidenziale, Macron chiede e chiederà un voto di “governabilità” a favore dei propri candidati: ma non dispone di una propria ossatura di partito e di un radicamento sul territorio. Raccoglierà sul carro del vincitore forze di diversa provenienza liberate dalla crisi dei vecchi partiti (Valls si è già prenotato, ambienti gollisti segnalano il proprio interesse), ma può rivelarsi un'ammucchiata imbarazzante per l'immagine dell'”uomo nuovo”. E la competizione collegio per collegio, dove le vecchie strutture di partito e le loro clientele hanno maggiore resistenza, sarà in ogni caso senza risparmio di colpi. Ad oggi Macron non ha a disposizione una maggioranza parlamentare, ma dovrà cercarla nelle urne.


LA RIORGANIZZAZIONE IN CORSO NELLE OPPOSIZIONI 

Parallelamente, tutto si muove sul versante delle opposizioni, in un quadro altrettanto instabile e incerto.

Le Pen annuncia la costituente di un “nuovo partito patriottico” con un nuovo nome. È il tentativo di investire nella crisi del gollismo completando il processo di mutazione politica del Front National in direzione di un partito di governo “sdoganato”. Ma sconta non solo l'opposizione pubblica del padre (“Non consentirò la svendita del nostro nome”), bensì anche quella di Marion Le Pen, già candidata alla successione nel nome dell'integralismo cattolico.

A sinistra Mélenchon punta a investire il proprio straordinario successo elettorale al primo turno (quasi il 20%) nella costruzione della propria forza politica (sovranista di sinistra) con l'ambizione di costruire una forte presenza parlamentare; ma per questa stessa ragione si scontra frontalmente con il PCF che vorrebbe negoziare accordi di desistenza nei collegi. Un accordo reso difficile proprio dai nuovi rapporti di forza. Mentre lo stesso Partito Socialista sarà attraversato sul territorio dalla polarizzazione interna tra Macron e Mélenchon.

La composizione politica del prossimo parlamento francese sarà la risultante imprevedibile di questo quadro di frantumazione. La vittoria di Macron dovrà dunque confrontarsi con uno scenario politico in pieno movimento, ancora senza baricentro, segnato da molte incognite.


IL PROGRAMMA DI MACRON ALLA PROVA DEL FRONTE SOCIALE 

Un secondo ordine di difficoltà è dato dal segno del programma Macron. È il programma del capitale finanziario. Un programma che sviluppa ulteriormente a destra la politica del governo Hollande: aumento dell'età pensionabile, appesantimento della legge El Khomri, taglio verticale della spesa sociale, attacco frontale al posto di lavoro nel settore pubblico. La campagna d'immagine attorno alla propria figura e la contrapposizione a Le Pen hanno in parte velato questo programma, ma esso indica la bussola reale della nuova presidenza. Macron punta a una riforma strutturale del capitalismo francese, combinata con la ricerca negoziale di un nuovo equilibrio con la Germania, dentro il quadro della UE.

Questo progetto passa per una linea d'attacco al movimento operaio. Il movimento operaio francese ha subito una sconfitta sulla legge El Khomri, per responsabilità preminente delle sue direzioni. Ma ha accumulato un'esperienza di lotta che ha selezionato nuovi settori d'avanguardia, e dispone di un potenziale combattivo non ancora domato. Il fronte sociale può tornare ad essere, come in tanti passaggi della storia francese, il banco di prova del nuovo governo. Per molti aspetti il più difficile.


PER UN PARTITO RIVOLUZIONARIO DELLA CLASSE LAVORATRICE


L'estrema sinistra francese ha raccolto complessivamente al primo turno il voto prezioso di un'avanguardia politica della classe lavoratrice (oltre 600.000 voti tra NPA e LO), in contrapposizione ai candidati padronali, ma anche al sovranismo di sinistra di Mélenchon.

L'indicazione di astensione al secondo turno, fuori e contro ogni fronte repubblicano a sostegno di Macron, ha rappresentato un'indicazione corretta. Tanto più importante considerando la (grave) indicazione di appoggio a Chirac da parte della LCR nel ballottaggio Chirac-Le Pen del 2002. La parola d'ordine “né la peste né il colera” ha costituito il punto di riferimento di mobilitazioni d'avanguardia, conquistando l'adesione di strutture sindacali di classe (a partire dalla CGT della Goodyear). È un capitale da investire nella costruzione di una opposizione sociale radicale e di massa al futuro governo.

La costruzione del partito rivoluzionario della classe operaia francese resta la questione strategica fondamentale. Ed anche il banco di prova di tutti i marxisti rivoluzionari francesi, a partire dalla nuova maggioranza rivoluzionaria nell'NPA.
Partito Comunista dei Lavoratori

La fredda primavera della CGIL

Per sabato 6 maggio la CGIL ha indetto una manifestazione nazionale a Roma a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare “Carta dei Diritti Universali del Lavoro”, un nuovo Statuto dei lavoratori, nato dalla capitolazione della CGIL al Jobs Act. Una manifestazione lanciata sottotono e in assenza di un programma di mobilitazioni, dentro un percorso della CGIL segnato ormai da tempo dall’abbandono del conflitto e dalla mancanza di una strategia sindacale che si fondi sui bisogni materiali dei lavoratori, e che sia in grado di portare miglioramento alle condizioni del lavoro salariato e di conquistare diritti e salari.
L’affidamento che la CGIL pone ad un parlamento borghese non solo porterà a dubbi risultati in termini di riconquista di qualche diritto, ma addirittura potrebbe essere dannosa per la coscienza della classe operaia. La stessa Carta dei diritti è nata nel segno della debolezza perché è costruita sull’impianto del Testo unico sulla rappresentanza, che accresce diritti e prerogative delle organizzazioni sindacali a scapito dei lavoratori e delle lavoratrici, che vedono, per esempio, vincolata la possibilità di opporsi e scioperare contro gli accordi a favore dell’esigibilità padronale; e perché non si prefigge la riconquista dell’art. 18 con l’eliminazione del Jobs Act e di tutte le leggi precarizzanti.

Una manifestazione depotenziata dalla sospensione della campagna – per quanto debole nello svolgimento e nei contenuti - sui tre referendum, quello sull’articolo 18, bocciato dalla Corte Costituzionale che ha giudicato errata la formulazione del quesito, quello sull’abolizione dei voucher e quello sulla responsabilità solidale negli appalti, superati nei fatti da un decreto legge che il governo ha varato per paura di una ulteriore sconfitta, dopo quella subita per il referendum costituzionale.

La CGIL festeggia per quello che giudica un suo successo, ma la verità è che la cancellazione dei voucher, senza la soppressione di tutte le leggi che precarizzano il lavoro, è insufficiente; il governo è già impegnato ad aggirare l’ostacolo con altre proposte legislative (si è già parlato non a caso di introdurre forme di lavoro precario come i mini jobs). La stessa campagna di raccolta firme per i referendum è stata peraltro condotta nel vuoto più totale della mobilitazione, e nei fatti, dopo la resa davanti al pesante attacco padronale e governativo, questa manifestazione si prefigura come l’ennesima sfilata che rischia di incrementare la passivizzazione della classe lavoratrice. Se si aggiunge che la CGIL è lontana anche da qualsiasi mobilitazione sociale, come ha dimostrato per esempio con il rifiuto di proclamare lo sciopero generale in occasione dello sciopero internazionale delle donne dell’8 marzo, il quadro che ne esce mostra una grande debolezza e inconsistenza di questa iniziativa. In questi anni, grazie al sistematico tradimento della direzione maggioritaria del movimento operaio i lavoratori hanno subito enormi arretramenti.

Un peso non indifferente lo hanno le responsabilità delle burocrazie sindacali, soprattutto della CGIL, per il ruolo storico di consenso e rappresentanza che ha avuto questo sindacato nelle grandi masse di lavoratori. Ogni passo indietro della CGIL ha contribuito all’arretramento della coscienza collettiva. Il perseguire di politiche di accomodamento e compatibilità, accompagnato da pratiche di frantumazione delle lotte di resistenza, ha favorito disgregazione e sconfitte. Bisogna invertire la rotta e liberare le potenziali forze dei lavoratori.

Nella stagione passata i lavoratori francesi nonostante l’assenza di una direzione realmente conseguente sono stati in grado di mobilitarsi contro il Jobs Act d’oltralpe, e dentro un quadro di isolamento nel contesto europeo hanno subito una battuta d’arresto; mentre in Italia la CGIL aveva già capitolato al governo e al padronato. Anche nel nostro Paese ci sono stati e ci sono tuttora importanti episodi di resistenza che vengono da ampi settori di classe. Basti pensare alla resistenza dei lavoratori Almaviva, alla campagna per il no nel rinnovo del CCNL metalmeccanico, che ha ottenendo un risultato del 40% nelle grandi fabbriche, alle lotte della logistica, agli scioperi in Fincantieri a Palermo, e per ultimo lo straordinario risultato del referendum Alitalia, in cui i lavoratori e le lavoratrici hanno respinto l’ennesimo accordo capestro. Serve dare una svolta alle lotte. Questi segnali di resistenza non possono essere lasciati soli ad affrontare lo scontro di classe. Serve fare un salto di qualità dotandosi di un programma efficace per contrastare le nostre controparti e unificando le numerose battaglie disperse.

Bisogna organizzare una grande assemblea nazionale di delegati eletti nei posti di lavoro per varare un piano di lotta efficace, sostenuto da parole d’ordine che devono essere tanto radicali quanto radicale è l’aggressione in atto, e che sia in grado di mobilitare milioni di salariati e sfruttati contro il padronato e il governo.

Ritiro di tutte le leggi precarizzanti (dal pacchetto Treu al Jobs Act); riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario; rivendicazione di un salario sociale per i disoccupati e per chi è in cerca di una occupazione; blocco dei licenziamenti; esproprio senza indennizzo delle aziende che chiudono e licenziano, comprese le società dei trasporti (Trenitalia e Alitalia), con la rivendicazione della nazionalizzazione sotto il controllo di chi lavora, devono essere parte del piano di lotta. È necessario mettere in campo una mobilitazione prolungata, radicale e di massa, sostenuta da una cassa di resistenza nazionale per finanziare gli scioperi. Bisogna arrivare ad un vero sciopero generale ad oltranza, perché è l'unica via capace di opporre una resistenza reale all'aggressione sociale di padronato e governi. L'unica via che può realmente incidere sui rapporti di forza e strappare risultati.
Queste rivendicazioni e questo piano di lotta dovrebbero fare parte del programma messo in campo da un sindacato combattivo e di classe.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, attraverso i propri militanti, è impegnato ogni giorno in ogni fronte di lotta, dentro i sindacati conflittuali e dentro la CGIL, per portare avanti questo programma, consapevoli che solo una lotta che metta in discussione il sistema capitalistico può essere il primo passo per la liberazione di tutti gli sfruttati.

Partito Comunista dei Lavoratori

C'est dans la rue que ça se gagne! È nelle strade che si vince!

Francia. Al ballottaggio né Le Pen né Macron

5 Maggio 2017
Contro l'estrema destra, contro le politiche antisociali che la alimentano, imponiamo nelle strade le nostre rivendicazioni!
(Comunicato di Anticapitalisme & Révolution, sinistra dell'NPA)
 Con due candidati totalmente avversari del mondo del lavoro, una cosa è certa: i giovani, i lavoratori e le classi popolari non saranno rappresentate al secondo turno delle elezioni presidenziali. Da una parte, la figlia del miliardario Le Pen, razzista, xenofoba e omofoba. Dall'altra, l'ex banchiere di Rothschild, divenuto consigliere e poi ministro di Hollande, al servizio del progetto più liberale del capitalismo finanziario.

LE PEN, UN PERICOLO MORTALE PER I LAVORATORI

Le Pen tenta di farci credere che lei sta dalla parte degli operai e dei lavoratori, degli sfruttati e degli oppressi. Ci racconta anche che, se eletta, abrogherebbe la legge El Khomri. Ma non dimentichiamo che la scorsa primavera reclamò l'indurimento della loi travail, e chiese la proibizione delle manifestazioni di opposizione a quella legge. Marine Le Pen si è sempre opposta agli scioperi e ai sindacati, perché è dalla parte dei padroni!
È per indebolire il nostro campo sociale che fomenta l'odio contro le popolazioni immigrate al fine di dividere meglio i lavoratori fra di essi. Davanti ai danni causati dalla mondializzazione capitalista, lei propone al padronato di privilegiare la produzione «francese», ripiegando dietro le frontiere nazionali. Ma questa ricetta non risolverà in alcun modo lo sfruttamento crescente che subiamo, e che lei non mette in discussione. Anzi, per mantenere i suoi profitti, il padronato non avrà altra soluzione che attaccare brutalmente i nostri salari e le nostre condizioni di vita.


MACRON SPIANERÀ ANCORA DI PIÙ LA STRADA ALL'ESTREMA DESTRA

Domenica in molti vorranno impedire a Marine Le Pen di essere eletta votando Macron. Ma Macron non sarà in nessun modo una difesa contro l'estrema destra, perché egli è il miglior rappresentante delle politiche d'austerità e di distruzione delle conquiste sociali. Cioè proprio le politiche che sono la causa della crescita del Front National.
Lo stesso Macron che non trovò nulla da dire, l'anno scorso, quando il governo inviava i suoi sbirri a caricare i cortei sindacali e a impedire brutalmente le nostre lotte. Lo stesso ex ministro di Hollande che ha esteso il lavoro di domenica, che ha facilitato i licenziamenti economici, che ha ostacolato il ricorso alle cause di lavoro da parte dei salariati.
Il suo programma, una volta eletto? Porre fine alle 35 ore, abbattere la previdenza sociale, lanciare una nuova offensiva contro le pensioni, licenziare 120.000 dipendenti pubblici, completare la distruzione del Codice del lavoro. E per evitare qualsiasi tipo di opposizione alla sua politica, prevede anche di governare per «ordinanze», cioè senza neanche passare per il Parlamento. Una sorta di 49.3 permanente! (1)


RIPRENDIAMO L'OFFENSIVA CON GLI SCIOPERI E NELLE STRADE

Quale che sarà il candidato antioperaio che uscirà vincitore questa domenica, non potremo contare che su noi stessi per difendere i nostri diritti e imporre le nostre rivendicazioni.
La sola soluzione per combattere l'estrema destra e impedirle di arrivare al potere è una controffensiva del mondo del lavoro e della gioventù che spazzi via senza riserve il potere della classe dirigente e di tutti i suoi servi politici. La sola soluzione è un giugno 1936 o un maggio 1968 che vada fino in fondo, per mettere fine allo sfruttamento e all'oppressione del sistema capitalista.
Per preparare questo scontro, per organizzare il nostro campo sociale contro i padroni e i ricchi, abbiamo bisogno di raggruppare le nostre forze, di partecipare a tutte le mobilitazioni che sostengono che la soluzione non solamente non potrà essere né quella di Le Pen né quella di Macron, ma che verrà da noi, dalle nostre lotte e dalla nostra capacità di prendere la nostra sorte nelle nostre mani. È questo il senso dell'appello a manifestare l'8 maggio ovunque potremo, rivolgendoci alle organizzazioni e ai gruppi «del fronte sociale», per ripetere che è nelle strade che si vince!




Note:

(1) L'articolo 49.3 del Titolo Quinto della Costituzione francese prevede il ricorso da parte del governo ad una procedura di adozione d'urgenza di una legge evitando la discussione ed il voto parlamentare. Il governo Valls se ne è servito per far passare la famosa Legge El Khomri.
Anticapitalisme & Révolution

Il Primo maggio di Alexis Tsipras

Non c'è fine alle misure antipopolari del governo di Syriza in Grecia

2 Maggio 2017
Si era appena conclusa la manifestazione del Primo maggio ad Atene contro le politiche di austerità, quando il governo Tsipras, in piena notte, ha confezionato un nuovo accordo coi creditori strozzini all'insegna di ulteriori sacrifici: nuovo abbassamento del livello di esenzione fiscale (da 8.636 euro a 6.000), ulteriori tagli alle pensioni, altre privatizzazioni a partire dal settore dell'elettricità. In cambio di cosa? Di 7,4 miliardi di cosiddetti aiuti alla Grecia che servono a pagare... i creditori. Cioè i governi imperialisti europei e il capitale finanziario. Gli stessi che dettano, a proprio vantaggio, la politica del governo greco. Gli stessi che acquistano a prezzo di saldo beni e aziende pubbliche greche oggetto di privatizzazione.
Soddisfatti della nuova rapina ottenuta al tavolo negoziale con Tsipras, i governi europei e la BCE si rivolgono ora al Fondo Monetario Internazionale per coinvolgerlo pienamente in un nuovo programma di... "aiuti”. E il giro ricomincia.

Tsipras aveva solennemente giurato due mesi fa, all'apertura del nuovo negoziato, che non avrebbe “chiesto neppure un euro in più al popolo greco” (testuale). Due mesi dopo presenta i nuovi sacrifici come una vittoria per il fatto di aver ottenuto in cambio il permesso di elargire (nel 2018!) qualche aiuto caritatevole alle famiglie povere. Le stesse famiglie affamate nel frattempo dallo strozzinaggio dei creditori. Un'ipocrisia spudorata e senza fine.

Ma la sinistra riformista italiana, vecchia e nuova, continua a difendere Syriza e il governo greco. Nessuna meraviglia. Se il capitalismo è l'unico orizzonte possibile, non vi è alcuna alternativa alla miseria e a chi la governa, né in Grecia né altrove. Al di là degli esercizi retorici del Primo maggio.
Partito Comunista dei Lavoratori

Lavoratori di tutto il mondo unitevi!

Per un Primo maggio internazionalista e di lotta

1 Maggio 2017
Primo maggio è il simbolo dell'unità di classe internazionale dei lavoratori contro lo sfruttamento del capitale.
La Grande Crisi ha portato alla luce ancora una volta l'irrazionalità di questo sistema. Montagne di miliardi a sostegno delle banche, per “salvare la (loro) economia”. Tagli, restrizioni, sacrifici sempre più insopportabili per finanziare questo soccorso pubblico al capitalismo in crisi. Per competere sui mercati si comprimono i salari, si allunga l'orario di lavoro, si tagliano i diritti sindacali individuali e collettivi, si smantella il contratto nazionale, in una corsa infinita che arruola i salariati di ogni paese in una guerra permanente contro altri salariati. Mentre le stesse borghesie che predicano rigore e sacrifici ai propri operai nel nome del superiore “interesse nazionale” imboscano il frutto della propria rapina nei paradisi fiscali.


IL FALLIMENTO DEL RIFORMISMO

Il sogno di un capitalismo onesto e dal volto umano, di una Europa sociale, democratica e di pace, si è rivelato un’utopia e una truffa.

Le socialdemocrazie, negli ultimi trent'anni, hanno aperto la strada alle controriforme sociali: da Blair a Schroeder, da Prodi a Hollande. Ed anche la nuova Sinistra Europea finisce sempre col gestire, una volta al governo, le stesse politiche antioperaie. Tsipras ha gestito la stessa politica della troika che aveva denunciato dall'opposizione. La Rifondazione Comunista di Bertinotti e Ferrero votò al governo (Prodi) guerra e sacrifici, contro cui era nata, sino al suicidio.

La capitolazione riformista in epoca di crisi spiana la strada al populismo reazionario, che monta in larga parte d'Europa, nel segno della guerra ai migranti. Il suicidio della sinistra politica e sindacale ha accompagnato in Italia e in Europa l'avanzata di posizioni nazionalistiche-reazionarie, sovraniste, populiste e securitarie dei Le Pen, Salvini e Grillo, in un’autentica gara per meglio colpire i diritti di lavoratori e sfruttati; e sono la cartina di tornasole dell’assenza di una direzione conseguentemente rivoluzionaria del movimento operaio in Italia in Europa e nel mondo.

Si aggiungono i nuovi venti di guerra: la vittoria di Trump, l'intervento militare degli Stati Uniti in Siria e il bombardamento in Afghanistan rappresentano la smentita nei fatti delle interpretazioni che vedevano gli Stati Uniti pronti a ritirarsi da un ruolo di primo piano nello scenario mondiale. La vittoria di Trump ha invece dimostrato una volta di più come in questa fase storica segnata dalla grande crisi del capitalismo non solo si è esaurito lo spazio per ogni ipotesi riformista, ma che anche le vecchie forme della politica borghese conoscono una crisi senza precedenti.


LA VERA ALTERNATIVA È TRA SOCIALISMO E REAZIONE

La vera alternativa non è tra destra e sinistra, ma tra classe lavoratrice e borghesia. Tra rivoluzione e reazione. Questo è il grande bivio del nostro tempo. Solo il rovesciamento del capitalismo può liberare un orizzonte di progresso. Attraverso un'organizzazione socialista della società che metta nelle mani di chi lavora le leve fondamentali dell'economia, a partire dalla grande industria e dalle banche.

Riducendo l'orario di lavoro a parità di paga per dare a tutti e a tutte un lavoro.
Riconvertendo le produzioni nocive, a difesa della salute e dell'ambiente.
Ricostruendo e allargando le protezioni sociali.
Finalizzando l'intera economia ai bisogni di tutti, non al profitto di pochi.

Solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, può realizzare queste misure. L'alternativa a questa prospettiva rivoluzionaria internazionale è l'imbarbarimento del mondo. Non una minaccia, ma un processo già in atto.


LA CLASSE OPERAIA È UNA POTENZA MONDIALE

La classe ha subito in larga parte del pianeta un arretramento pesante in questi decenni.
Il sistematico tradimento dei propri partiti e delle burocrazie sindacali ha frantumato le sue lotte di resistenza, ha favorito disgregazione e sconfitte, ha trascinato un arretramento diffuso della coscienza di ampi settori di massa. A beneficio del padronato e del populismo reazionario.

Eppure resta l'unica forza che può costruire un ordine nuovo, ponendosi alla testa di tutte le domande di liberazione. I salariati nel mondo superano ormai i due miliardi. Le resistenze sociali continuano a percorrere il mondo. A partire dalle lotte dell'enorme proletariato cinese, che ha strappato in dieci anni la triplicazione del salario. O da quelle per il salario minimo negli USA. Nella stessa Europa la grande mobilitazione francese contro il Jobs Act d’oltralpe, nel segno dell'unità tra salariati e giovani, ha spezzato la morsa dello stato d'assedio e delle leggi eccezionali (votate vergognosamente dal Front de Gauche), riproponendo al centro dello scontro sfruttati e sfruttatori. In Italia ci sono stati e ci sono tuttora numerosi episodi di resistenza che vengono da ampi settori di classe: dal 40% di no che il rinnovo del CCNL metalmeccanico ha ottenuto nelle grandi fabbriche alla resistenza dei lavoratori Almaviva, dalle lotte della logistica agli scioperi in Fincantieri a Palermo, e per ultimo il 70% di no dei lavoratori e delle lavoratrici di Alitalia che hanno respinto l’ennesimo accordo capestro.
Segnali di resistenza che non possono essere lasciati soli ad affrontare lo scontro di classe, e che dimostrano che la ribellione è possibile ed è l'unica via.


PER UN PARTITO RIVOLUZIONARIO IN OGNI PAESE E INTERNAZIONALMENTE

Tutta l'esperienza di classe, passata e recente, ci dice una cosa: non basta il movimento di lotta, è essenziale la coscienza politica. La direzione del movimento. Le lotte più grandi possono persino rovesciare un regime oppressivo, come è accaduto in Tunisia o in Egitto. Ma se non si sviluppa la coscienza politica, congiungendosi a un progetto rivoluzionario, anche la lotta più grande è condannata prima o poi alla sconfitta. Costruire controcorrente tra gli sfruttati una coscienza di classe anticapitalista e rivoluzionaria è il compito insostituibile di un partito comunista, in ogni paese e nel mondo intero. Organizzare i lavoratori più coscienti attorno a un programma di rivoluzione; unire nella stessa organizzazione tutti coloro che condividono questo programma; radicare questa organizzazione tra i lavoratori e in ogni movimento di lotta; ricondurre ogni esperienza di lotta, nella propaganda e agitazione di ogni giorno, alla prospettiva della rivoluzione sociale e del potere dei lavoratori.

Il Partito Comunista dei Lavoratori si batte nelle lotte dei lavoratori, in ogni lotta di resistenza sociale per questo progetto di liberazione e rivoluzione. Per la costruzione di un partito internazionale della classe lavoratrice basato su questa prospettiva: l'unica vera alternativa.
Partito Comunista dei Lavoratori
 
 

Il sogno di rivincita di Matteo Renzi

L'ex Presidente del Consiglio di nuovo incoronato dalle primarie

1 Maggio 2017
La vittoria di Renzi nelle primarie del PD è il trampolino di rilancio dei sogni del renzismo. Ma in condizioni molto diverse dal passato.
Il 4 dicembre ha seppellito sotto una valanga di no un organico progetto bonapartista e reazionario, che mirava a concentrare nell'”uomo solo al comando” tutte le principali leve istituzionali. In realtà quel progetto, ostinatamente perseguito, aveva già visto sfaldarsi progressivamente le proprie basi politiche di appoggio nei due anni precedenti, a partire dalla profonda crisi di consenso del PD renziano, dopo le prove di forza sull'articolo 18 e sulla scuola. Il 60% di no, in larga parte di lavoratori e giovani, ha sancito la sua disfatta definitiva. Le dimissioni del governo Renzi furono la prima conseguenza politica di quella disfatta.

L'intero scenario politico è stato segnato, nella sua evoluzione, dall'effetto domino del 4 dicembre. Da un lato l'indebolimento verticale della forza politica di Renzi e la riconfigurazione tendenzialmente proporzionale del sistema politico elettorale hanno sospinto la scissione del PD. Dall'altro il M5S è sembrato capitalizzare la crisi manifesta del renzismo e la crisi politica parallela del centrodestra, con una ripresa della propria avanzata.
Il nuovo governo Gentiloni è segnato dalla debolezza di una maggioranza politica più composita, attraversata da spinte e interessi divaricanti: la sua ritirata sui voucher, allo scopo di evitare una seconda sconfitta referendaria, ha dato la misura di questa fragilità. L'unica vera base di sopravvivenza del governo in questi mesi è stata assicurata dalla combinazione di tre fattori: l'impossibilità da parte di Renzi di liquidare Gentiloni come avrebbe voluto, a causa del proprio indebolimento politico; il sostegno obbligato al governo da parte del MDP, che ha bisogno di tempo per attrezzarsi in vista delle elezioni; l'appoggio attivo al governo di una presidenza della Repubblica che punta alla conclusione naturale della legislatura, in sintonia con la maggioranza della borghesia italiana.


LA NUOVA AMBIZIONE DEL RENZISMO

Il ritorno di Renzi a segretario del PD, a seguito delle primarie di partito, cambia questo scenario politico? Nei suoi tratti generali no. Ma sarebbe sbagliato considerarlo un fatto irrilevante. Le dinamiche politiche non si fondano solamente sulle condizioni oggettive che fanno loro da sfondo (ovviamente determinanti in ultima analisi), ma anche sulla volontà soggettiva delle forze in campo, sui loro calcoli o sulle loro illusioni.

Di certo Matteo Renzi considera il proprio ritorno alla segreteria del PD come un nuovo giro di boa della propria parabola politica: la fine della ritirata imposta dalla disfatta del 4 dicembre, il rilancio delle proprie ambizioni. Il suo disegno è chiaro e ha una sua logica interna: rilanciare il “proprio” PD in contrapposizione al M5S e alla Lega, fuori da ogni logica di vecchia coalizione di centrosinistra; far leva su questa contrapposizione (e sulla crisi del berlusconismo) per provare a capitalizzare parte dell'elettorato di Forza Italia, spaventato da Grillo ed estraneo al corso lepenista di Salvini; invocare il voto utile al PD contro Grillo e Salvini presso l'elettorato di centrosinistra per asfaltare la sinistra politica, il MDP in primis; affermare il PD come primo partito alle elezioni politiche, e in ogni caso controllare saldamente la sua rappresentanza parlamentare come propria leva politica negoziale nella prossima legislatura.

Per provare a realizzare l'organicità di questo disegno, Renzi ha bisogno (almeno) di due condizioni. Entrambe possibili ma non scontate, in sé e nei loro effetti.

La prima: una legge elettorale che si presti allo scopo. Al nuovo segretario del PD occorre una legge elettorale che preveda il premio di maggioranza e gli consenta di fare campagna per il voto utile; un premio di maggioranza per la lista e non per la coalizione, allo scopo di rivendicare la propria premiership; una soglia di sbarramento alta per l'accesso in Parlamento, per rafforzare la presa del voto utile e provare a escludere (o minimizzare) ogni presenza istituzionale alla sua sinistra; il sistema dei capilista bloccati per selezionare il più possibile una rappresentanza del PD a propria immagine e somiglianza, sottratta ai giochi negoziali delle correnti all'interno della sua stessa maggioranza di partito.

L'attuale legge elettorale, quale risulta dalla sentenza della Consulta, corrisponde in larga misura a queste esigenze. Renzi vorrebbe limitarsi ad estenderla al Senato con una soglia di sbarramento uniforme al 5% nei due rami del Parlamento. Alla fine il M5S, al di là delle sceneggiate, potrebbe avere interesse a convergere su questa soluzione, con l'intento di capitalizzare la contrapposizione frontale col PD e di batterlo elettoralmente. Un traguardo non irrealistico. L'ambizione di Renzi può di fatto tirare la volata a Di Maio, in una sorta di eterogenesi dei fini?

Certo, M5S come primo partito potrebbe trovarsi nell'impossibilità di fare un governo per l'assenza di una maggioranza parlamentare che lo sostenga. In quel caso l'iniziativa tornerebbe a Renzi che già ha aperto a un possibile governo con Berlusconi. Ma neppure un governo PD-Berlusconi avrebbe ad oggi, secondo le proiezioni, una maggioranza in Parlamento. E se anche disponesse di una maggioranza risicata (o la trovasse), l'opposizione dei Cinque Stelle quale primo partito contro la "vittoria mutilata” potrebbe facilmente ritagliarsi uno spazio enorme di polarizzazione e di ulteriore crescita, con effetti imprevedibili.


LA TENTAZIONE DELLE ELEZIONI POLITICHE ANTICIPATE

La seconda condizione che Renzi ricerca è di natura politica. Per avere mani libere in una contrapposizione al M5S con qualche seria possibilità di successo, Renzi non vuole accollarsi l'onere pesante della prossima legge di stabilità. Il che può solo significare due cose. O una legge di stabilità del governo Gentiloni di fatto alleggerita e svuotata dalle pressioni di Renzi, e magari combinata col suo rilancio propagandistico della polemica “anti-UE” (“vogliamo cambiare l'Europa”) a fini elettorali. Oppure elezioni politiche anticipate prima della legge di bilancio, caricando quest'ultima sulle spalle di un nuovo governo. Sono entrambe soluzioni problematiche.

La prima passa per un contenzioso con la Commissione Europea (e coi ministri economici Padoan e Calenda), con possibili ricadute sul mercato finanziario, in un contesto di crisi bancaria irrisolta e alla vigilia di una progressiva ritirata del QE della BCE.
La seconda implica diversi presupposti tra loro combinati: una legge elettorale omogenea per le due camere (condizione preliminare pubblicamente posta da Mattarella), una disponibilità di Gentiloni a farsi da parte (senza resistenze e contrasti come nel caso di Letta), una data elettorale compatibile coi tempi necessari di scioglimento delle camere (il 24 settembre implicherebbe lo scioglimento ad agosto) e con quelli richiesti dalla sessione di bilancio (il 5 novembre sarebbe troppo tardi).

Renzi proverà probabilmente a forzare su legge elettorale ed elezioni a ottobre.
Non è impossibile che riesca nell'intento, nonostante le indubbie difficoltà. La domanda centrale che pongono le forze fondamentali dell'establishment è un'altra: quale governo dopo le elezioni?
È una domanda ad oggi senza risposta. Dopo il crollo del vecchio bipolarismo tra centrosinistra e centrodestra, dopo la disfatta del progetto istituzionale bonapartista del 4 dicembre, la borghesia è rimasta orfana di una soluzione di governo. In un quadro tripolare, nessuno dei tre poli sembra in grado di comporre attorno a sé una maggioranza. Con la caduta del ballottaggio previsto dall'Italicum, nessuna legge elettorale può inventare una maggioranza politica che non c'è. Mentre un parlamento eletto su base proporzionale (al di là degli sbarramenti) non configura ad oggi una maggioranza di governo quale che sia.

La vittoria di Renzi alle primarie del PD, lungi dall'essere una soluzione, è dunque solamente il nuovo capitolo della crisi politica e istituzionale italiana.
Dopo una probabile vittoria di Macron in Francia, sarà l'Italia il nuovo anello debole della crisi dell'Unione Europea?
Partito Comunista dei Lavoratori