20 Settembre 2022
«Il re conquista tutti: si lascia baciare dai sudditi». Così un commosso Gianni Riotta, giornalista di punta di Repubblica, ha descritto l'incedere regale di Carlo III tra ali di folla osannante (10 settembre). La descrizione di un fatto? Piuttosto una sua rappresentazione incantata, quella che domina la narrazione nazionalpopolare a reti unificate attorno alla morte della regina e alla sua successione.
Ogni principio di realtà scolora nell'immaginario della leggenda.
La realtà è quella di una casta monarchica plurisecolare, segnata dal lusso di corte, dal parassitismo sociale più ostentato, dalle risse familiari esibite o taciute, dal passaggio ereditario di 15 miliardi di sterline come patrimonio intoccabile della famiglia. Segnata dal lascito di sangue e di orrori che ha percorso la storia dell'impero britannico alle più diverse latitudini del mondo, in Africa, in Asia e ovunque.
La leggenda è quella di una monarchia amica del popolo, al servizio del popolo, al di sopra delle diatribe politiche. Non una parola, per stare alla storia recente, sulla repressione della nazione irlandese, sul plauso fornito alla cavalleria della Thatcher contro i minatori, sulla guerra coloniale per le isole Malvinas, su tutto ciò che la monarchia britannica ha difeso e coperto a tutela della propria borghesia.
Perché la celebrazione di un'icona trascende volutamente la dimensione terrena. Il decesso della regina e l'avvento del nuovo re assurgono piuttosto a una dimensione mistica, al di là del tempo e dello spazio.
“Dio salvi la regina”, “Dio salvi il re” dipingono il re e la regina come emissari della volontà divina, secondo la tradizione dell'assolutismo. È la celebrazione dell'autorità terrena come appendice di un'autorità superiore, dunque sottratta per definizione alla volontà del popolo, ridotto a massa anonima i sudditi. Magari plaudenti, ma sudditi.
«La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re, non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi» scriveva con parole magnifiche Karl Marx. Nulla di più appropriato, e non solo per la Gran Bretagna.
Se non che i guai cominciano quando la sudditanza si mescola a sentimenti nuovi. Nella Gran Bretagna di questi giorni non c'è solo la commozione per la regina. Ci sono anche gli scioperi operai contro il carovita, per forti aumenti salariali. Portuali, camionisti, ferrovieri, lavoratori dei trasporti cittadini, operai di Amazon, insegnanti, infermieri, postini, impiegati di banca... Decine di migliaia di lavoratori e di lavoratrici hanno incrociato le braccia come non avveniva da mezzo secolo. Non sappiamo quanti di loro hanno versato lacrime per Elisabetta. Sappiamo che tutti sfidano il nuovo governo thatcheriano di Miss Truss.
La borghesia inglese ha campato a lungo sull'effetto traumatico della sconfitta del grande sciopero del 1984-'85 nelle miniere. Ma la generazione demoralizzata da quell'evento è ormai per lo più in pensione. E si affaccia una generazione nuova nel lavoro salariato, che non sembra disposta a portare la croce troppo a lungo. Darle una coscienza politica anticapitalista, ed anche di conseguenza antimonarchica, è il compito dei marxisti rivoluzionari in Gran Bretagna.